Un nuovo episteme per l'homo faber

Torino, 26 dicembre 1986

E' difficile non avere l'impressione di una crescente difficoltà dell'homo faber a modificare l'ambiente in cui vive. Valga per tutti il caso della vera e propria impasse ad intervenire con la progettazione prima e con la realizzazione poi nell'ambiente urbano. O si pensi alla situazione di patta in cui ci si trova nel gioco dell'energia.
E' impotenza legata alle difficoltà intrinseche di un ambiente umano divenuto ormai sistema troppo complicato sì che ogni intervento finisce per peggiorare la situazione - e non resta altro che bloccare ogni intervento o cercare di tornare indietro? Oppure l'impotenza è legata alla difficoltà a capire come i sistemi complessi reagiscono al tentativo di intervento?
Personalmente opto per la seconda ipotesi. Si tratta allora di chiedersi se la nostra incapacità di comprendere il comportamento di sistemi molto complessi non sia legato alla metodologia con cui siamo abituati ad affrontare il problema della conoscenza: all'episteme dominante.

Il grande cambiamento metodologico, il nuovo episteme che ha contrassegnato il sorgere e lo sviluppo della scienza moderna è l'analisi, la capacità cioè di aggredire la complessità del mondo che ci circonda, spezzandolo prima nelle sue parti componenti - riducendone la complessità -, sperimentando poi il comportamento delle parti bloccando artificialmente il rapporto di esse con il tutto. Dalla conoscenza del comportamento delle parti si risale quindi alla comprensione del comportamento del tutto.
Il successo di questo episteme - l'approccio riduzionista alla conoscenza di ciò che è complesso - è ben evidente nei progressi della scienza e della tecnologia negli ultimi quattrocento anni.
Tuttavia non poche sono le voci che si sono sollevate a sottolineare i limiti di questo approccio. Basti pensare che, spinto all'estremo, l'approccio riduzionista dovrebbe far ritenere che quando si conoscerà con esattezza il comportamento delle parti componenti il cervello - i neuroni - si dovrebbe essere in grado, almeno in teoria, di comprendere il meccanismo con cui nascono le idee, e quindi di progettare e realizzare dei veri cervelli artificiali.

Qual'è allora l'approccio più adatto alla conoscenza di sistemi così complessi per cui il comportamento del tutto non è più dato dalla somma delle parti? Di questo approccio si è coniato il nome: approccio olistico
Ma al di là della tautologia ("olistico" vuol semplicemente dire che afferisce al "tutto"), si può indicare un approccio conoscitivo che permetta di affrontare sistematicamente e razionalmente il problema della conoscenza di sistemi "olistici"? Qual'è il nuovo episteme che guidando la ricerca finirà per porre le basi ad un recuperato ardire dell'homo faber ad affrontare e a governare attraverso le sue realizzazioni i problemi della complessità a partire da quello dell'ambiente in cui vive?

La risposta alla domanda non sembra ancora molto chiara. Lungi dall'avere già sviluppato un nuovo episteme, siamo in quella fase pre-scientifica dello sviluppo del sapere che Michel Foucault chiamerebbe "archeologica". Ma è proprio osservando l'archeologia del sapere che si possono individuare le radici lungo cui si svilupperà il discorso scientifico.
Se l'episteme che caratterizza il mondo moderno è quello dell'analisi, qual'è stato l'episteme precedente che ha avuto il suo periodo di massimo fulgore nel Rinascimento? E' lo stesso Foucault, nel suo Le parole e le cose a darcene un interessante resoconto. L'approccio alla conoscenza era allora basato principalmente sulla similitudine, sull'analogia tra un sistema ed un altro. Alla base dell'episteme rinascimentale vi era la convinzione che non esista niente in terra (nel microcosmo) che non sia già nei cieli (nel macrocosmo), e che il problema della conoscenza sia quindi un problema di lettura di sistemi simili. E la similitudine si riconosce dai "segni". Come sottolinea Foucault
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non è la razionalità che è carente, durante il Rinascimento, nell'approccio alla conoscenza generale e più specificamente nell'alchimia. Al contrario. Se a noi suona come tale è proprio perché il presupposto metodologico, l'episteme, è fortemente diverso. E se da una parte questo approccio ha portato all'impasse dell'alchimia, d'altro canto non si può negare che esso invece abbia fortemente ispirato l'homo faber in tutte le sue manifestazioni di costruttore: dall'artista, all'artigiano, al banchiere, all'ingegnere delle grandi opere militari od idrauliche.

Depurato dalle convinzioni ideologiche sull'esistenza di "segni" per riconoscere le "simpatie" tra sistemi simili, l'approccio della analogia e della similitudine ha una sua validità come guida alla conoscenza scientifica, tanto è vero che è sempre più utilizzato proprio per lo studio di sistemi complessi. Basti pensare al ricorso sempre più esteso ai modelli per simulare, magari su un potente computer, il comportamento di sistemi complessi: da quelli economici, a quelli energetici, e così via. Il modello altro non è, infatti, che un sistema simile (o ritenuto tale) a quello vero, ma più facile da "aggredire" magari con le tecniche dell'analisi.

Vi è tuttavia un limite nel ricorso a modelli artificiali, che è proprio legato al fatto che essi sono costruiti partendo dalle parti componenti. Forse, quindi, essi sono intrinsecamente troppo "semplici" per rappresentare bene il comportamento della "complessità del sistema vero.
Ci si può ora chiedere se vi sia un modo diverso per trovare sistemi simili che da una parte siano più facilmente leggibili di quello allo studio, ma che d'altra parte mantengano una intrinseca complessità non distrutta dal metodo analitico di costruzione.

Anche per questo approccio numerosi sono gli esempi. Basti pensare al valore "conoscitivo" per la comprensione di altri sistemi che ha avuto lo studio dell'evoluzione biologica. Chi scrive ha lui stesso sperimentato la potenza della similitudine biologica nel cercare di comprendere il comportamento di un sistema del tutto diverso, come quello dei prodotti realizzati dall'uomo.

Per inciso, è interessante ricordare che nei manuali di creatività è descritto un metodo - il metodo "sinettico" - di ricerca di soluzione ad un dato problema che consiste proprio nel cercare di porsi in condizioni simili, ma peraltro del tutto diverse come ambiente ed attori: ad esempio cercare similitudini nel mondo animale a problematiche analoghe per trasferire le soluzioni lì adottate al caso di interesse. Un episodio al riguardo che si racconta è quello, durante l'ultima guerra, della ricerca di una soluzione per fare in modo che i carri armati potessero superare i fossati anticarro. Qualcuno sembra avere avuto l'idea di cercare nel mondo animale se si fossero poste condizioni simili. In effetti sembra che degli insetti di fronte al problema di come oltrepassare delle crepe nel terreno, si dispongano in una lunga fila parallela alla crepa, per poi afferrarsi, le zampe posteriori dell'uno con quelle anteriori del seguente, sì da fare come una trave rigida, la quale trave animale poi spinta dalle zampe degli insetti che la costituiscono diventa un ponte per attraversare la crepa. Non so se l'analogia venne poi utilizzata in pratica o meno (i carri che si dispongono in fila "agganciandosi" uno al altro si da formare una trave automovente). Tuttavia la soluzione al problema risulta ora chiara.

E' forse un segno importante da non sottovalutare, dell'emergere di un approccio metodologico del tipo sopradetto, il fatto che i giapponesi abbiano recentemente lanciato un grande ed ambizioso programma di ricerca scientifica, denominato "Nuove Frontiere" che si prefigge di studiare il mondo dei sistemi biologici per scoprire delle soluzioni a problemi complessi. Soluzioni che potrebbero essere poi trasferite - sinetticamente - a problemi di nostro interesse. Le tematiche affrontate dal programma sono di conoscenza scientifica di frontiera, come il titolo del programma dice. Rispetto tuttavia ad altri programmi di ricerca di base la motivazione di partenza è del tutto nuova. Non si tratta di sviluppare la ricerca per allargare le nostre conoscenze per amore della conoscenza, ma per un fine utilitaristico anche se non individuato a priori. In altre parole si tratta andare a scuola di creatività dalla natura: scoprire i segreti della natura per imparare da essa per similitudine ad affrontare e risolvere problemi di tutt'altra specie.

L'approccio olistico è una variazione notevole dall'approccio scientifico corrente (ad esempio quello che caratterizza la fisica dell'ultramicroscopico) che è quello di scoprire le leggi fondamentali, i "mattoni" della conoscenza che serviranno poi, in un approccio riduzionista, a comprendere, smontandoli a pezzi, i sistemi complessi.
Non è forse senza significato che un tale nuovo approccio alla ricerca nasca proprio in oriente, dove l'intera tradizione filosofica e religiosa è di tipo olistico.
Stiamo vivendo un momento in cui la società sembra aver tolto le deleghe agli "esperti" - scienziati o tecnologhi - di affrontare e risolvere problemi di vitale importanza per l'avvenire stesso dell'umanità, a partire dal problema energetico. Forse a giusto titolo, presentendo le difficoltà crescenti che lo scienziato ed il tecnologo hanno ad affrontare i sistemi complessi con il loro armamentario metodologico riduzionista. E'opportuno allora che la società intera non si limiti a togliere le deleghe - il che di per se non assicura che i problemi vengano risolti - ma che sviluppi un discorso corale, utilizzando tutte le proprie risorse (dalla scienza, alla filosofia, alla tecnologia) per sviluppare un nuovo approccio per evitare il blocco dell'azione.

L'homo faber ha bisogno di recuperare fiducia nelle proprie capacità di progettare e realizzare il cambiamento. Forse ha proprio bisogno anzitutto di un nuovo approccio alla conoscenza che integri l'episteme dominante.