9 maggio 1995
1 Premessa
2 Etica ambientale ed approccio sistemico
3 Le risposte organizzative a sfide complesse
5 Osservazioni conclusive: per un'etica sistemica
La complessità e la novità dei problemi ambientali mettendo a dura prova la capacità di prendere decisioni che trovino consenso e comunque rispettino i diritti di tutti - non solo degli uomini che abitano il pianeta oggi, ma anche di quelli del futuro - portano a riflettere sulla necessità che ogni singolo individuo si faccia carico dei problemi relativi come interessanti il suo proprio agire.
Se per etica si intende la scienza della condotta umana - l'intero complesso delle direttive che hanno per oggetto l'agire umano - è allora all'etica che occorre rifarsi per affrontare al livello adeguato le problematiche poste dalle sfide ambientali. Questa, almeno, è la tesi sostenuta in un recente dibattito cui hanno partecipato vari filosofi e riportata nel volume: Corrado Poli (ed.), Etica ambientale, teoria e pratica, Guerini, Milano, 1994.
Prendendo spunto dalla lettura del volume si è pensato di riportare qui
alcune riflessioni che tentano di allargare il dibattito con il contributo di
esperienze che derivano da attività al di fuori delle discipline filosofiche.
Poiché è centrale alla comprensione delle riflessioni qui esposte il
riferimento al dibattito riportato nel volume, si è ritenuto opportuno
riportarne ampi stralci e non solo tentarne una sintesi.
Ecco come il dibattito sulla necessità di fare riferimento a considerazioni etiche per le preoccupazioni ambientali è presentato nella prefazione al volume edito dal Poli.
"Sono molti oggi a parlare della necessità di una nuova etica. L'etica tradizionale della società industriale... era incentrata intorno all'uomo.... ed era prevalentemente individualistica Con una tale premessa, ... abbiamo depauperato ed offeso l'ambiente. ... ma una nuova etica non nasce semplicemente... dalla fronte di Zeus... [Vi sono] quattro forti stimoli che possono portare a un tale cambiamento. ... La scienza ecologica, ... la metafisica femminista, ... la filosofia cinese, .. la tecnologia olistica post-moderna, ... possono tutte avere un ruolo fondamentale nella crescita di una nuova etica. ... [Per i filosofi] che vogliono indirizzare più direttamente la loro professione verso le difficoltà e l'urgenza delle nuove realtà che il mondo deve affrontare... una strada possibile consiste nel demolire tutte le soluzioni incomplete e nel rivolgere attenzione totale al bisogno di un nuovo orientamento culturale di base; ... un'altra è quella di prendere delle posizioni chiare su controversie ambientali di carattere sociale; ... un'altra ancora consiste nell'installare un senso di autocritica e di umiltà culturale .. tra i filosofi; e una quarta strada consiste nel pensare con una nuova profondità filosofica a quale sia la posta nella lotta per salvare la natura. [Nel riconoscere l'importanza del contributo filosofico alcune università, come quella della Georgia, hanno addirittura dato vita ad] una Facoltà di Etica Ambientale.
Il problema di "quale etica" entra nel dibattito ambientale data la radicalità dei problemi relativi. Il dibattito parte dalla base stessa del nostro concetto di natura e dei rapporti uomo-natura. Non meraviglia che la tecnologia sia un punto fondamentale del dibattito, spesso vista come la vera colpevole del degrado ambientale perpretato dall'uomo".
Ecco come il filosofo J.B. Callicott inquadra la discussione.
" Molti ambientalisti contemporanei temono che la natura sia ormai morta. ... La natura intesa come libera, selvaggia e indipendente è finita. ... [Perlomeno] è l'idea di natura che è finita ... della natura intesa come 'Altro', come un mondo che esiste a prescindere da noi e dagli artifici umani. ... [Tuttavia va osservato che tutto ciò è eccessivo. È] la rappresentazione moderna della natura come 'Altro' che è falsa. ... L'idea moderna di natura come 'Altro' rappresenta la metà di un falso dualismo, e cioè la dicotomia tra uomo e natura. ...
Fino a poco tempo fa l'uomo sembrava l'eroe attivo armato dalla scienza prometeica in lotta con la natura titanica. .. Oggi però ... l'uomo vittorioso sembra più un tiranno, la sua conquista una preda e la natura una vittima sventurata. Però per molti ardenti Geremia ambientali, mentre i ruoli di eroe e canaglia sono senz'altro invertiti, il dualismo implicito, la radicale dicotomia uomo/natura resta incontestata... [Da Cartesio in poi] la natura diventa interamente oggetto e solo l'uomo è anche soggetto. .. Nel ventesimo secolo, tenaci scienziati hanno continuato a conformarsi piuttosto fedelmente alla moderna visione del mondo. La gestione delle risorse dei nostri tempi ne è un esempio perfetto. Il concetto stesso è tendenzioso. Considera la natura come materia grezza, che ha valore solo come concentrato di beni ad uso dell'uomo. Perché solo per uso umano? ... Gli ambientalisti... toccati dalla rivolta romantica contro l'Illuminismo, hanno concesso un minimo di consapevolezza anche agli animali e hanno celebrato la ricchezza qualitativa e la diversità del mondo naturale. ... Ma [oltre alla] dicotomia uomo natura ... [rimaneva ] profondamente radicata un'idea essenzialmente statica dell' equilibrio della natura. ... Come un termostato, gli ecosistemi venivano rappresentati caratterizzati da un punto di riferimento, uno stato ottimale al quale ritornare attraverso meccanismi di feedback negativo qualora disturbati da siccità, alluvioni ... Le attività umane ... rappresenterebbero degli esempi di impatti 'innaturali' ... sugli ecosistemi, troppo vasti perché essi li possano assorbire..
"Allora, qual'è il presupposto sbagliato in questa immagine moderna di uomo razionale autocosciente contrapposto ad una natura oggettiva, essenzialmente meccanicistica?... [Secondo] la teoria darwiniana dell'evoluzione siamo noi stessi degli animali... siamo una parte della natura e non siamo separati da essa. ... Se la teoria dell'evoluzione 'naturalizza' l'uomo, allo stesso modo 'umanizza' gli altri animali. .... [Questa concezione darwiniana implica forti responsabilità etiche], ma essa implica anche un'idea liberatoria: le opere umane non sono meno naturali di quelle delle termiti. ... Se siamo parte della natura allora le trasformazioni che causiamo nel regno naturale non sono necessariamente distruttive... [Perché] solo gli aborigeni, che appartengono alla nostra stessa specie di homo sapiens dovrebbero essere considerati in equilibrio con la natura, ed i loro interventi, anche di forte disboscamento, simili a quelli causati dall'altra fauna selvatica?... Lamentiamo giustamente la recente estinzione di specie autoctone quali il piccione viaggiatore, ma dimentichiamo che le estinzioni [in America] coincidenti con l'arrivo degli immigranti siberiani ebbero proporzioni maggiori. Cosa successe alle due specie di elefanti che vagavano per l'emisfero occidentale?...
In breve, se la natura è finita, ha cominciato ad esaurirsi molto tempo fa. Nel 1492 l'unica vasta zona vergine deserta era la zona Antartica. L' homo sapiens ha agito come forza globale di alterazione del biota nel corso dell'intero Olocene. ... [Emerge ora un concetto postmoderno] di natura diverso dalla moderna concezione meccanicistica [uomo/natura] per almeno due aspetti. ... In primo luogo ... la natura è sistematicamente integrata e le sue componenti sono internamente correlate tra loro. L'obsoleto concetto meccanicistico della natura ha sollecitato dei tentativi di riparazione [ad es. sostituire specie autoctone estinte con specie esotiche]. ... Ma abbiamo imparato nel modo più drammatico che la natura funziona più come un organismo che un meccanismo. ... Una seconda caratteristica del concetto postmoderno di natura ... è il cambiamento. [Si riteneva che la natura non disturbata dall'uomo si mantenesse in un delicato equilibrio di competizione e collaborazione tra le sue arti. Invece,] ... la natura ha una struttura prettamente dinamica: si trova costantemente in una fase di cambiamento ed, in definitiva, di evoluzione. ...[Porta tutto ciò ad un tradimento dell'etica ambientale come affermano i movimenti alla Barry Commoner?] ... Se l'uomo è parte della natura e se il cambiamento è cosa naturale, allora egli sembrerebbe non avere i mezzi per valutare obiettivamente i cambiamenti completamente naturali che egli stesso, primate iperculturale, impone al resto della natura. ... La maggior parte della gente sembra preferire i centri commerciali e le corse dei cani alle zone umide e alle foreste secolari. Perché i loro gusti, per quanto volgari, non dovrebbero prevalere nel libero mercato e in una società democratica?"
Callicott è un filosofo monista, cioè pensa ad un'etica universale che possa essere di guida alla condotta umana in tutti i contesti. Il discorso del filosofo monista è partito da una considerazione realistica: non si può considerare l'uomo come esterno alla natura. Le modifiche che il suo modo di operare producono vanno accettate come naturali alla stregua di quelle degli altri esseri viventi. La natura è dinamica e quindi abituata al cambiamento. Il problema generale non è pertanto quello di mantenere un impossibile equilibrio statico, ma di assicurare lo stato di salute nel cambiamento dell'organismo natura di cui l'uomo fa parte.
"L'emergente modello postmoderno di natura è più organicistico che meccanicistico. Gli organismi sono un tutto integrato ... ed essi cambiano: da zigote.. ad adolescente, ad adulto. .. Ma gli organismi, obiettivamente, non possono che essere sani o malati. ... La salute è intrinsecamente buona. ... A partire dal 1980, è stata creata una nuova teoria degli ecosistemi chiamata teoria della gerarchia, molto più rigorosa dei vecchi modelli termostatici ... e permette di specificare le norme per descrivere la salute dell'ecosistema. ... Se l'ecologia riesce a specificare con successo degli indici di salute degli ecosistemi in una maniera così inequivocabile come la medicina fa per gli organismi, allora essa potrà anche specificare dei criteri per la valutazione dei cambiamenti prodotti dall'uomo nella natura. ... I cambiamenti positivi sono quelli che non danneggiano la salute di un ecosistema. ... [Come] diamo per scontati i programmi di miglioramento della salute umana ... possiamo immaginare dei programmi di miglioramento della salute dell'ecosistema in cui noi - membri attivi, parte della natura - perseguiamo il nostro interesse personale. ... Cento secoli dopo le depredazioni condotte da genti emigrate dalla Siberia, gli aborigeni dell'America del Nord ... avevano sviluppato degli adattamenti culturali al loro ambiente di tipo simbiotico e sostenibile.. Perciò sembrerebbe che se individui illetterati e privi di conoscenze scientifiche sono in grado di ricostruire dei modi di vita ... senza danneggiare la salute dell'ecosistema, allora lo può fare senz'altro anche una cultura tecnologicamente sofisticata. ... [O non] è proprio la sofisticazione tecnologica il problema? Se l'attività della specie umana causa uno stato di malattia occorre che l'uomo ne prenda atto per la sua stessa sopravvivenza e modifichi i suoi comportamenti di base. Niente quindi interventi particolari per ripristinare condizioni passate, ma nuova direzione di sviluppo che tenga presente questa esigenza fondamentale (mantenere lo stato di salute dell'intero sistema). Per ottenere ciò è fondamentale una nuova visione del mondo che si diffonda capillarmente e che finisca per governare implicitamente le scelte individuali".
Questa sarebbe la visione etica monista. Ma vi sono filosofi che sostengono
che la complessità dei fatti sociali e dei contesti ambientali relativi
richieda maggiore flessibilità. Essi propugnano pertanto una etica 'relativista'.
Ecco le ragioni relative, espresse
dal filosofo 'pluralista' A.S. Gunn.
"Si può pensare ad un'etica universale, applicabile sempre e in tutti i luoghi? L'etica ambientale si è sviluppata in modo diverso da altre aree dell'etica. ... I filosofi ambientali sono spesso altamente specializzati... Ciascuno dei teorici etici del passato - da Platone a Kant - è stato un innovatore in molte aree della filosofia.. Hobbes ad es. comincia il Leviatano come se creasse il mondo. I primi capitoli sono dedicati all'epistemologia, alla fisica, alla filosofia della mente. ... [Invece] il contesto - la visione del mondo - che si trova oltre l'etica ambientale, spesso non è reso esplicito, cosicché sembra che i filosofi pratichino l'etica ambientale o ai sensi della normale visione del mondo 'occidentale' ... oppure in nessun contesto particolare. ... Una caratteristica interessante dell'etica ambientale recente è una sorta di eclettismo. ..."
" L'usuale posizione meta-etica si basa sull'idea che tutte le teorie etiche rientrino in uno dei due gruppi, indicati di solito come universalista (o oggettivista e cognitivista) e relativista (o soggettivista e non-cognitivista). Il primo gruppo comprende tutte le teorie etiche in cui si suppone che i maggiori principi siano conoscibili ed eternamente veri, ed applicabili a tutte le situazioni (Platone, Aristotele, Kant). ... La seconda posizione, rappresentata da Hobbes, Hume e da molti esistenzialisti, è quella secondo cui tutti i principi etici sono niente di più che preferenze individuali o aggregate e che non c'è nessun contesto in cui un qualsiasi valore di un individuo o di una società sia da considerare migliore di altri. ... [Secondo gli universalisti] una teoria etica è una teoria riguardo a come ci dovremmo comportare ... [mentre] il relativismo si riduce allo studio di ciò che la maggior parte della gente in una determinata cultura approva. ... [Con riferimento alla posizione relativista va detto che] se i valori intesi come preferenze fossero veramente la sola alternativa all'universalismo, la posizione relativista sarebbe sicuramente insostenibile. [Tutto cambia, tuttavia, se si adotta il punto di vista] che non esiste un valore isolato dalla prospettiva: ci sono valori cristiani, buddisti ... ma nessuno di essi è 'vero' se isolato dalla dottrina [relativa], cristiana o altre. ... "Recentemente alcuni autori hanno difeso quello che è divenuto noto come 'pluralismo morale' da contrapporre al 'monismo morale' ... L'ambizione dei monisti è di unificare tutta l'etica in una struttura singola che sia in grado di offrire una Sola Risposta Giusta. Il pluralismo morale invece ci invita a concepire il sistema morale composto di svariate attività distinguibili, suddivise in parti separate, ciascuna governata da principi distinti e strutture logiche. ... [Perciò] gli obblighi verso le generazioni future, la famiglia, o altre società non verranno necessariamente determinati dalle stesse regole. ... Diverse considerazioni si applicano a casi diversi ... [ma anche] ogni caso si può valutare da più prospettive. ... [Per superare le difficoltà nel determinare quali siano i principi da applicare in ogni condizione] qualche pluralista pensa che l'appropriatezza dei principi da applicare possa essere determinata su base scientifica]. ... [In cerca di unificare le due posizioni c'è chi pensa che si possano] prendere in qualche modo i migliori elementi di molte culture per costruire un'etica globale. Ma da quale prospettiva possiamo selezionare gli elementi migliori? ... Gli elementi universalistici in realtà sono solo globalizzazioni inconsce degli elementi comuni delle culture euro-americane. ... Come per Callicott, anche per Gunn, tuttavia, l'etica è il risultato di un adattamento evolutivo, adattamento che per lui tuttavia non è uniforme, ma varia da contesto a contesto.
Ne sarebbe testimone la varietà di culture derivate dal processo evolutivo.
"L'evoluzione umana è proceduta principalmente attraverso un cambiamento culturale. ... Vista in termini evoluzionistici l'etica è semplicemente parte del comportamento di adattamento che costituisce la cultura. Il fatto che una cultura esista, significa che funziona, in un certo senso. ... Ma alcune culture hanno più successo di altre, si possono cioè sostenere per un periodo più lungo. ... Alcune culture sono più flessibili di altre [es. Buddismo]. ... Molte società, per contrasto, hanno avuto grandi culture, ma non molto elastiche... Gli scontri tra culture sembrano il risultato inevitabile dell'espansione delle società fuori del loro ambito. ... In un'ottica distorta c'è il rischio che l'universalismo etico formi la base teorica delle azioni di certi imperialisti culturali. ... Un tale approccio ecumenico alle altre culture può approdare ai fondamenti teorici dell'imperialismo etico ed alla distruzione di culture prospere. ... [Alla tesi universalista, ad es. di Stuart Mill che] i valori liberali si debbano applicare in tutti i tempi e in tutti i luoghi ... [si può contrapporre] la tesi molto più sostenibile [e centrale nella tradizione liberale] che certi diritti sono storicamente e logicamente legati ad una visione particolare della natura umana e della società. ... [Un esempio interessante è la vittoria giudiziale di una tribù maori che ottenne che non venisse dato concessione di aprire una miniera in una montagna che era sacra per la loro tradizione culturale e religiosa]..
Passando dalla teoria alla pratica, alla domanda di fondo di come ci possa aiutare l'etica ad affrontare i problemi ambientali, ecco la ricetta del pluralista Gunn.
"Se accettiamo la massima di Aristotele secondo cui il fine dell'etica non è 'sapere' ma 'fare', ne segue che lo scopo dell'etica ambientale è quello di dirci come comportarci rispetto all'ambiente. ... Sfortunatamente, troppa filosofia ambientale recente è stata rovinata dall'oscurantismo, da dibattiti sui meriti delle teorie ad alto livello e da stereotipi romantici e semplicistici sulle culture diverse. ... "È improbabile che la ... discussione accademica sull'ambiente possa essere molto produttiva ... [per il fatto] che i partecipanti sono spesso d'accordo su cosa si debba fare, ma discutono ... il perché debba essere fatto. ... [Si sottolinea] eccessivamente l'importanza della teoria. ... Si scatenano delle liti riguardo al problema se il paradigma dominante sia viziato alla base dall'antroprocentrismo, o dall'androcentrismo; se dobbiamo adottare o meno un'analisi economica marxista prima di cercare di capire i problemi ambientali; e riguardo ai meriti rispettivi di culture diverse. ... "La tendenza a dividere le culture in 'occidentali' e 'orientali' è particolarmente infelice. ... Nell'attuale letteratura sulla gestione, si presuppone troppo spesso che le società tradizionali, gli autoctoni e la gente del luogo [vivano in modo armonioso con l'ambiente, mentre] ... le società moderne, i coloni e altri non indigeni no. ... I modelli alternativi presentati per la nostra emulazione spesso non sono realistici. ... Solo coloro che sono cresciuti in quartieri ricchi si possono ribellare all'iperconsumo. ... Nei paesi poveri la gente vede gli ambientalisti dei paesi ricchi come dei romantici delusi. ... La sfida non consiste nel predicare le virtù di una vita semplice, ma nello scoprire modi di vita che permettano sia la prosperità dell'uomo che una stabilità ecologica. ... "Dovremmo spostare l'enfasi dall'analisi estremamente teorica ed astratta e dalla costruzione teorica, verso la soluzione di problemi. ... È spesso molto facile trovarsi d'accordo su questioni molto astratte ... ma non sulle politiche specifiche per attuare teorie. ... [Se si pongono domande su un dato problema, ad es. quello dello smaltimento dei rifiuti] l'accettabilità delle azioni indicate dalle domande tenderà a diminuire man mano che le domande diventano più specifiche. ... [Siamo, ad es., tutti d'accordo che si debbano minimizzare i rifiuti e trattarli adeguatamente, ma non a porre un inceneritore nella periferia della città dove viviamo]. ... "[Anche se non siamo d'accordo sul perché una azione di salvaguardia ambientale vada fatta, ad es. se la salvaguardia di una specie in via di estinzione] abbia valore intrinseco o solo strumentale ... [occorre agire perché] il bisogno di politiche ambientali sostenibili è 'ultra-determinato': ci sono molti motivi, ciascuno dei quali di per sé sufficiente. ... [Alla base delle azioni per la salvaguardia ambientale si deve dare per scontato che] ... a) i processi ecologici e il loro mantenimento hanno un grande valore ... b) l'uomo e la natura sono correlati ... c) non c'è un modo giusto di fare le cose ..: modi di vita diversi sono appropriati in ambienti diversi [non c'è tempo di cercare il modo più giusto di operare, ammesso che ci fosse. Si devono pertanto] ... mobilitare le risorse culturali locali per sostenere delle politiche sensate ecologiche. ... "Come filosofi abbiamo l'obbligo di renderci utili nella nostra pratica professionale. Forse quando studiamo i problemi ambientali ... [puntiamo] sull'eccessivo razionalismo di molte filosofie occidentali. Ma il ragionamento è centrale nella filosofia, noi abbiamo l'obbligo di sottoporre le opinioni ad un esame razionale. ... "Abbiamo bisogno di un'etica ambientale, nel senso che abbiamo bisogno di incorporare nella nostra cultura la sostenibilità ambientale. Lo scopo di una cultura è il prosperare dei suoi membri. ... Ciò che conta ... dipende da ciò in cui si crede e dai valori su cui ci si basa. ... Il successo di una cultura dipende, a lungo termine, dalla capacità di mantenersi all'interno delle risorse che ha a disposizione. ... "Noi filosofi possiamo contribuire allo sviluppo di una cultura sostenibile dal punto di vista ambientale. ... I cattivi argomenti mossi contro valide azioni ambientali abbondano, specialmente laddove i cambiamenti proposti richiedono che la gente rinunci a qualcosa cui è abituata. ... I filosofi dovrebbero farsi carico di scalzarli. ... Attività che danneggiano l'ambiente, così come lo smerciare la droga, possono anche venir messe in discussione sulla base della virtù etica: a quale tipo di persona non importa se spreca delle risorse naturali o distrugge la vita di adolescenti? È questo il tipo di persona che vuoi essere? ... Possiamo anche contribuire a chiarire e difendere dei concetti e dei valori che sono centrali per una cultura sostenibile dal punto di vista ambientale. ... Se esiste una cosa come il valore intrinseco, non sarà riducibile alle preferenze [misurate in base al numero o a chi grida di più]. ... Dovremmo essere in grado di emulare l'etica medica il cui successo ... è in parte attribuibile alla disponibilità da parte di coloro che si occupano di etica medica ad impegnarsi a lavorare ... con professionisti sanitari. ... Un'etica ambientale funzionerà se viene accettata ampiamente e integrata nella vita di tutti i giorni..."
Il tentativo di 'relativizzare' l'etica ai contesti diversi in cui si pongono i problemi ambientali non sembra tuttavia chiarire molto quale contributo l'etica possa dare alla effettiva soluzione dei problemi. Consideriamo, infatti, come è evidenziato dal Gunn stesso - quando alla fine deve fare proposte concrete - che il ricorso all'etica possa cambiare il comportamento degli individui. In questo senso la relativizzazione al contesto, alla cultura particolare, può assicurare maggior successo rispetto al caso di una etica assoluta unitaria. Ma basta cambiare il comportamento per assicurare che vengano risolti i problemi in atto? Vi possono essere tre tipi di effetti delle preoccupazioni etiche sul comportamento: proibizione di fare (il 'peccato' ecologico); influenza sulle scelte (ad es. acquistare prodotti non inquinanti); decisione su azioni che coinvolgono la società ed accettazione, a livello individuale, dei sacrifici imposti (programmi di intervento per il recupero di situazioni ambientali compromesse). I primi due tipi di comportamento possono servire per non far degradare uno stato dell'ambiente che sia già ora accettabile (sostenibile). Quindi l'effetto si avrebbe a monte, prima che il problema ambientale emerga.
Anche in questo caso tuttavia non è sicuro che basti un comportamento individuale rispettoso dei dettami di un'etica ambientale a evitare un degrado ambientale. Chi ci assicura, infatti, che comportamenti che si sono rivelati rispettosi dell'ambiente nel passato, continuino ad esserlo quando la 'densità' della popolazione in un dato ecosistema superi certe soglie? In ogni caso, poiché ormai si tratta spesso non di mantenere uno stato soddisfacente, ma di intervenire su un ambiente in crisi, occorrono azioni sul sistema per modificarlo. Il richiamo etico riguarda quindi la necessità sia di cambiare i primi due tipi di comportamento, sia e sopratutto di intervenire a livello 'globale' sul sistema ambiente e che detto intervento trovi anzitutto consenso unanime, in quanto tutti interessati e coinvolti direttamente od indirettamente in esso.
Nell'affrontare i problemi ambientali, come per qualunque problema sociale
complesso, occorre quindi anzitutto sviluppare consenso sui valori e su cosa si
vuole alla fine ottenere. Tuttavia, come denunciato dal Gunn stesso, questo
consenso spesso non serve a molto se ad esso non si aggancia anche il consenso
sul tipo di azione, sulla soluzione da portare avanti. Occorrerebbe quindi che
la scelta del risultato desiderabile includesse intrinsecamente anche la scelta
dell'azione. È possibile? Poiché l'intervento finisce per essere 'tecnico' e
coinvolgere la tecnologia, può la indicazione sui risultati desiderati, sui
valori da perseguire, includere intrinsecamente anche le scelte tecnologiche?
Secondo il monista Callicott perché ciò avvenga è necessario un cambiamento
culturale. Il cambiamento culturale porta con se automaticamente una nuova
tecnologia che rende sostenibile il mondo. Ma il cambiamento culturale è esso
stesso prodotto dal cambiamento tecnologico, non lo determina a priori.
Callicott è ottimista rifacendosi al processo storico per cui alle rivoluzioni
scientifiche segue un cambiamento di paradigma tecnologico che poco per volta fa
vedere come sia possibile un cambiamento di visione del mondo usando la nuova
tecnologia. Una tecnologia appropriata si svilupperà perché c'è gia stato un
cambiamento nel paradigma scientifico che va nel senso indicato dalla teoria
'organica' della natura.
"La tecnologia moderna del diciannovesimo e ventesimo secolo è certamente parte del problema, ed in realtà ne costituisce il nucleo, non la soluzione. Ciascuno [dei mali ecologici] ... è virtualmente un effetto collaterale, negativo di qualche tecnologia. ... Ma la tecnologia moderna è l'unica ... immaginabile? ... Sta sorgendo all'orizzonte qualcosa che si chiama 'tecnologia appropriata' ... favorevole all'ambiente. ... Per ricostruire una genuina reintegrazione simbiotica dell'uomo con la natura, c'è bisogno di un netto cambio di direzione dello spirito e dell'idea di base della tecnologia. ... Il passaggio, estremamente discusso, da carburante organico ad energia solare rappresenterebbe un simile cambiamento strutturale profondo. ... Qualunque cosa abbia in serbo il futuro, comunque, un fatto di cui possiamo essere assolutamente certi è che la civiltà futura sarà diversa dalla presente. La natura non è statica. La cultura è dinamica in modo ancora più evidente. ... La moderna tecnologia del ventesimo secolo, così inadatta alle esigenze ecologiche della natura, è arrivata da qualche parte e se ne sta andando da qualche parte. ... La risposta alla domanda da dove è venuta è facile. ... La tecnologia moderna è la traduzione in beni materiali delle leggi, dei principi e dei metodi della scienza moderna. ... Più la gente comune viveva in un mondo sempre più meccanizzato, ... più la visione meccanica del mondo si diffondeva. ... Anche se molti di noi che possono permettersi di farlo si premurano di proteggersi dai più opprimenti condizionamenti dell'ambiente meccanico e chimico creato dall'uomo, la metafora della macchina è così insidiosa che spesso noi stessi accettiamo volontariamente di essere ridotti ad entità meccaniche ... [trapianto di reni, by-pass, ecc.]. ... La lezione della storia sembra essere questa: alla rivoluzione scientifica originale seguì un'applicazione tecnologica del paradigma newtoniano. ... La visione del mondo mistica e religiosa propria del Medio Evo fu ... gradualmente rimpiazzata dalla modernità... Oggi in pratica anche l'ultimo uomo della strada è diventato, piuttosto involontariamente, un cartesiano o un newtoniano. .. "[Ora] dal punto di vista teorico, il meccanicismo ed il dualismo stanno andando fuori moda. ... Una seconda rivoluzione scientifica si è già verificata. ... La relatività e la teoria quantistica dipingono un universo che è sistematicamente integrato ed internamente correlato. ... Il mondo obbiettivo della natura non può essere completamente isolato dai soggetti che lo osservano. ... L'ecologia teorica offre un quadro simile, che dal punto di vista concettuale appare di tipo olistico, interattivo, interdipendente e organicamente unificato. ... Gradualmente questo nuovo paradigma scientifico viene applicato alla tecnologia. ... [Tra queste le tecnologie informatiche]. La storia indica ampiamente come le tecnologie informatiche influenzino profondamente la coscienza umana. ... L'alfabetizzazione ha rivoluzionato la mente umana. Senza dubbio altrettanto farà anche la tecnologia delle comunicazioni elettroniche. ... [Per capire il cambiamento possibile di visione del mondo si paragoni la macchina da scrivere al computer. A differenza della prima] con un personal computer una battuta può cambiare profondamente e istantaneamente l'intera configurazione di un paragrafo, di una tabella o di un grafico. In questo caso abbiamo l'analogo tecnologico di un ecosistema in cui l'estirpazione di una specie fondamentale può causare ripercussioni a cascata all'interno di una comunità biotica. ... Chi usa il personal computer si è abituato all'idea di sistema. ... La gente farà uso di apparecchi ad energia solare così come ora fa uso di televisione, personal computer ... ? Non lo so. [Ma vi sono esempi interessanti di comunità locali che lo fanno]. ... Una transizione globale ad una tecnologia appropriata sarebbe l'unico modo per mantenere una cultura di consumo di massa e una biosfera funzionale e sana. Sarebbe quindi l'unico modo per ottenere una società sostenibile... "Possibili anticipazioni di quello che accadrà risultano contemporaneamente infauste ed ottimistiche. ... Sembra non essere del tutto accidentale che il concetto di salute olistica e il movimento salutista abbiano cominciato a ricevere impulso nello stesso momento in cui 'ecologia' è diventata una parola d'uso corrente. ... Il sospetto popolare crescente nei confronti della chirurgia, delle medicine chimiche, ... segnalano un cambiamento dalla moderna visione meccanica del mondo ad una visione organica postmoderna. ... I venti del cambiamento soffiano ancora più forte sull'agricoltura contemporanea che sulla medicina. ... Nel corso degli ultimi due decenni si è reso noto a tutti che l'agricoltura industriale non è sostenibile. ... "In conclusione si può dire che la natura non è 'finita'. È finito piuttosto il moderno dualismo uomo/natura e il concetto meccanicistico della natura. ... Il nuovo concetto di natura ... include l'uomo come un semplice membro e cittadino della comunità biotica. ... La nuova concezione della natura e della relazione uomo-natura possono entrare poco a poco nella coscienza popolare attraverso la loro rappresentazione nella tecnologia solare-elettronica postmoderna. ... Queste nuove tecnologie possono perciò ispirare ulteriori applicazioni delle stesse idee sistemiche che incarnano e la nostra attuale insostenibile civiltà meccanicista potrebbe rapidamente evolversi in una nuova configurazione sistemica più sostenibile, non solo tecnicamente, ma anche socialmente, politicamente ed economicamente."
C'è da chiedersi, tuttavia, se il ragionamento di Callicott, e l'ottimismo che ne deriva (in concomitanza con problemi nuovi come quello ambientale emergerebbe per via selettiva un nuovo regime tecnologico / una nuova cultura che porterebbe automaticamente alla risoluzione del problema) serva in pratica a qualcosa. Tuttavia, a sua difesa va detto che se egli sfugge al problema di fondo di come affrontare le sfide attuali particolari, una visione ottimista - in qualche modo determinista - può aiutare a sviluppare il consenso non solo sugli obbiettivi da raggiungere (reagire allo stato di malattia dell'ecosistema), ma anche sulle tecnologie da adottare (che sarebbero le uniche possibili perché derivanti dal nuovo paradigma sistemico scientifico).
Intendendo l'etica come un insieme di norme per il comportamento individuale all'agire, la diversità dei contesti tende a sottolineare la necessità di un relativismo etico. Il monismo etico è possibile solo se ci si sposta ad un livello più alto, meno legato alle norme di comportamento: è quello relativo alla visione del mondo. È possibile una visione del mondo uniforme per tutte le situazioni. Essa tuttavia lascia aperto il problema di come trasferire in termini di agire specifico detta visione. Callicott se la cava con il processo deterministico che lega visione del mondo e sviluppo tecnologico e quindi tipologie di intervento. Forse si potrebbero combinare i due diversi approcci - monista e relativista - in un una visione gerarchica a più livelli dell'agire: è importante che nell'affrontare problemi specifici si parta dalla visione globale del sistema per poi passare a contesti più specifici. Prima di isolare la parte su cui si vuole operare, occorre tener conto della interazione con il tutto e come si tratti alla fine di assicurare che l'intervento ripristini lo stato di salute del tutto.
A conclusione rimane aperto il problema di come l'etica - comunque la si
intenda - possa aiutare in pratica ad affrontare i problemi ambientali. Nella
introduzione al libro, Poli tenta una sintesi dei vari punti di vista ed
introduce il concetto dell'approccio sistemico come fondamentale cambiamento
culturale necessario per affrontare i problemi ambientali.
Questo escursus nei problemi dell'etica e di un suo eventuale adattamento (etica ambientale?) per essere di guida alla condotta per affrontare problemi ambientali fa riemergere come fondamentale il problema del processo organizzativo per decidere ed agire. Se è facile percepire e convenire sulle sfide ambientali, le difficoltà emergono già al primo passo, quello di identificare e consentire sugli obiettivi e sugli scopi dell'azione che si dovrà intraprendere per affrontare le sfide ambientali. Ma l'etica, intesa come guida all'azione non dovrebbe proprio servire per definire i fini dell'agire?
Alla voce 'etica' nel Dizionario Filosofico dell'Abbagnano si ricorda
che esistono due concezione fondamentali dell'etica come scienza della condotta:
quella che la considera come scienza del 'fine' cui la condotta deve essere
indirizzata e quella che la considera come scienza del 'movente' della condotta
umana in vista di dirigere o disciplinare la condotta stessa.
Non vi differenza
tra le due concezioni nel caso che il 'fine' non venga messo in discussione (sia
cioè un 'valore') ed esso rappresenti quindi una necessità cui non ci si può
sottrarre. Movente dell'uomo in tal caso non può essere altro che il
raggiungimento di detto fine.
Diverso invece il caso se il 'fine' è relativo e
può coincidere con l'interesse od il piacere del singolo.
Trasferendo al campo ambientale la discussione sui due intendimenti dell'etica, si tratta di decidere se la salvaguardia ambientale sia un 'valore' o meno, sia una 'necessità' o rappresenti solo una 'problematicità'.
Dalla discussione precedente emerge come sia problematico già definire cosa si intenda per salvaguardia ambientale: se ritornare ad un non ben precisato e romantico stato di natura originario o se si debba intendere invece il mantenimento di uno stato di salute dell'ecosistema per altro considerato come dinamico. Il dibattito tra pluralismo e monismo etico sembra rimanere nell'ambito della prima concezione dell'etica. Il dibattito è sulla definizione del valore da considerare comunque come necessario e influente sul comportamento degli attori.
Questo tipo di approccio ha, come già osservato, il limite di essere utile sopratutto per evitare che i problemi del degrado ambientale emergano, piuttosto che per affrontare e risolvere i problemi risultanti da un comportamento non in linea con detti valori. Riconoscere alla fine, come fa il Poli nell'introduzione al volume, che il problema è organizzativo e si riferisce alla capacità di sviluppare un processo decisionale sociale all'altezza delle sfide, sembrerebbe più centrato sul riferimento alla seconda concezione dell'etica, quella in cui il 'fine' od il 'valore' non è definito in base alla sua perfezione o necessità intrinseca, ma solo come oggetto della volontà umana o delle regole che la dirigono (Abbagnano).
Ricercare il consenso su quale obiettivo darsi per affrontare una data sfida ambientale rappresenta appunto il primo passo del processo decisionale.
Un altro modo per introdurre il problema di un comportamento etico o 'morale'
che salvaguardi l'ambiente può essere quello di rifarsi ai dibattiti sui
rapporti tra etica e politica, che tra l'altro mettono in evidenza l'importanza
del comportamento non solo degli individui, ma anche di soggetti collettivi. In
quell'ambito, due sono i tipi fondamentali di comportamento applicabili sia
all'agire individuale che collettivo: o agire in funzione di principi non
discutibili, oppure in vista di risultati voluti. In ambedue i casi, tuttavia,
se la decisione involve situazioni complesse, si rischia fortemente che i
risultati siano catastrofici.
Nel primo tipo di comportamento chi agisce in base a principi per lui
incontestabili, dovrebbe essere pronto ad accettare fatalisticamente qualsiasi
risultato. Tuttavia, vi è il sospetto che egli abbia agito così, in quanto
fiducioso che se i principi sono veramente validi sia difficile immaginare un
risultato negativo.
Nel secondo caso, chi ha deciso un certo corso d'azione in vista dei risultati
sarà anche stato pronto ad accettare azioni 'moralmente' criticabili (in
relazioni a certi principi), purché tuttavia il risultato sia in linea con i
valori o le finalità attese (il fine giustifica i mezzi). Se i risultati non
saranno poi quelli attesi la sua reazione sarà meno fatalista e dovrà
ammettere che vi è stato errore. Sarà tanto più difficile in tal caso
sopportare di aver utilizzato mezzi discutibili per un fine che non è stato
raggiunto.
Con riferimento al caso ambientale sembrano agire in base a principi quelli che ritengono che in ogni caso sia la 'natura' ad avere ragione, e che bisogna ripristinare uno stato di natura. I discorsi sopra riferiti - sia rispondenti ad un'etica monista che relativista - sembrano invece più improntati all'attenzione sui risultati, se non altro per la critica ai 'novelli Geremia' ambientali.
Sia nel caso del problema del rapporto tra etica e politica che di quello tra etica ed ambiente va osservato, tuttavia, che la complessità crescente dei problemi da affrontare fa sì che diventi sempre più difficile - sia nell'agire secondo i principi che in funzione di risultati desiderati - arrivare alla fine a conclusioni soddisfacenti. Da qui, una crisi profonda dell'azione umana, sia essa inquadrata nello schema del trattamento etico o più semplicemente come problema di processo organizzativo di fronte alla necessità di rispondere alle sfide che si presentano all'agire individuale ed ancor più all'agire collettivo.
Utilizzando la parola 'agire' non si può non ricordare come i filosofi facciano una certa distinzione tra 'agire' e 'costruire'. L'agire sarebbe più propriamente oggetto dell'etica in quanto riguarderebbe il problema dell'uomo (soggetto individuale o collettivo) di fronte a delle scelte. Nella terminologia organizzativa la corrispondenza dovrebbe essere con 'il prendere delle decisioni'. Per il 'costruire' si tende invece a far riferimento al dominio delle attività 'razionali' (scientifiche e tecnologiche) in quanto si tratterebbe di applicare le conoscenze per ottenere qualcosa di nuovo.
Nella terminologia organizzativa la corrispondenza dovrebbe essere con la 'risoluzione di problemi dati'.
La separazione in due categorie dell'azione sembra tuttavia discutibile: il processo di risoluzione di problemi dati passa attraverso una sequenza di scelte tra alternative possibili. D'altra parte, spesso le decisioni non possono venir prese - in vista di certi risultati o di motivazioni da certi principi - per mancanza delle alternative appropriate. Anche in questo caso, quindi, prima di decidere è necessario 'costruire' delle alternative.
La selezione naturale in proposito può insegnare molto: l'evoluzione come processo di scelta non ci sarebbe se nel contempo non vi fosse anche un processo di creazione di 'novità' biologiche che partecipano poi alla selezione.
Se il problema ambientale fosse riducibile a quello di mantenere o conservare un ambiente accettabile già ora, forse si potrebbe immaginare che sia solo un problema di scelte 'giuste' (etiche o morali) tra alternative tutte disponibili. Anche in questo caso tuttavia, come già accennato sopra, la conservazione dell'ambiente sembra difficile a lungo andare se non si riesce a mantenere allo stesso livello anche le variabili legate alla densità di individui presenti nell'ambiente dato (si tratta di un problema essenzialmente dinamico e non statico). Il problema diventa quindi quello di dare risposte nuove per le quali le alternative appropriate non è detto che vi siano. A maggiore ragione questo è il caso se si tratta di modificare lo stato attuale di un ambiente ormai degradato per renderlo accettabile malgrado le variazioni qualitative e quantitative avvenute negli individui che lo abitano.
È quindi difficile immaginare che si tratti solo di sviluppare un adeguato processo decisionale per scegliere, ma che occorra riferirsi ad un processo di risoluzione di problemi. Vi è poi una difficoltà ulteriore. Non solo si tratta di problemi difficili da risolvere, ma il punto di partenza non è quello di un problema dato, ma piuttosto è la percezione di una sfida. Un primo passo importante del processo di risoluzione del problema è quello di trasformare la percezione della sfida nella definizione di un problema da risolvere.
Prima di procedere oltre può essere opportuno una premessa. I problemi ambientali non sono gli unici in cui il processo organizzativo sociale è messo in crisi. La complessità crescente di tutte le sfide sociali fa sì che questo sia la norma piuttosto che l'eccezione. Perché allora parlare di un'etica ambientale e non anche di un etica urbana, di un'etica dell'educazione, di un'etica della solidarietà, ecc.?
Forse, è la sensazione che con le sfide ambientali sia in gioco l'avvenire stesso dell'uomo che porta a sviluppare un discorso sull'agire umano innalzato al livello dell'etica. Rimane tuttavia il fatto che di fronte alle sfide ambientali attuali (e non a come 'mantenere' l'ecosistema in una condizione ottimale in cui già esso si trovi) si tratta di affrontare delle sfide specifiche che dovranno portare il processo di risposta a definire e risolvere dei problemi specifici sia pure molto complessi.
Ma, è la complessità delle sfide ambientali tale da richiedere dei metodi nuovi di organizzazione sociale (e per i quali si potrebbe sperare di ottenere lumi da un discorso a livello etico) come sembra ritenere il Poli nella sue conclusioni nell'introduzione al libro? Il Poli si riferisce alla necessità di introdurre un approccio sistemico come rivoluzionario rispetto ad un approccio 'riduttivo' razionale Cartesiano fino ad ora seguito.
L'approccio nuovo sarebbe ora necessario per il grado di complessità
raggiunto dai problemi da affrontare. Ma è l'approccio sistemico - per
rispondere a delle sfide, per risolvere dei problemi complessi - una vera
novità o non è piuttosto vero che si lo si è sempre adottato? L'ipotesi che
si può fare è che in effetti non esista un grado di complessità dei problemi
al di là del quale occorra riferirsi ad un metodo nuovo per affrontarli.
Infatti, in tutti i problemi che si affrontano a livello individuale o
collettivo, anche quelli apparentemente più semplici, la complessità entra in
modo intrinseco. In tal caso c'è da sperare che dall'analisi attenta del
processo utilizzato per affrontare problemi apparentemente più semplici vi sia
molto da imparare.
Ci riferiamo in particolare all'approccio tipico della progettazione (design) come a un paradigma che può essere esteso a problemi di complessità diversa, incluso quelli ambientali, purché applicato non solo alla fase di progettazione vera e propria (sviluppo di una soluzione per un problema ben definito e specificato nei vincoli oltre che negli obiettivi), ma già alla fase del passaggio tra la percezione di una sfida e la sua trasformazione in una specifica dettagliata del problema da risolvere.
Come metafora per questo primo passo del processo vale quella del malato che sentendo un malessere non ben identificato deve andare da un medico generico non tanto per avere la cura ma per una diagnosi che gli permetta di identificare lo specialista. Anche per l'ambiente (per l'ecosistema) si può parlare, come fa Callicott, di salute e stato di malattia. Qui, come nel caso del malato dai sintomi non chiari, va respinta la tentazione di passare troppo rapidamente dalla sindrome alla diagnosi, alla cura. Va invece applicato il paradigma del design ad un livello "meta-progettuale" che consideri la sfida percepita come il problema da risolvere e la diagnosi come la soluzione.
Per capire come funzioni il metodo del design iniziamo con ricordare
come per la risoluzione di qualsiasi problema esista un paradosso tra il 'tutto'
e le 'parti'. Un problema è definito quando sono specificati i risultati finali
che si vogliono ottenere (ad es. le specifiche per un nuovo prodotto) che
caratterizzeranno il 'tutto', il sistema oggetto dell'intervento. Ora le azioni
per costruire un sistema nuovo non possono essere che sulle 'parti' che alla
fine comporranno il sistema.
I risultati attesi sono definiti in via 'olistica' mentre le azioni per
ottenerle sono necessariamente sviluppate per via 'riduzionistica'. Si è quindi
in presenza di un paradosso non eliminabile tra le modalità dell'azione ("riduzionistica")
e gli effetti sul comportamento ("olistico") del sistema: mentre si
può agire solo sulle parti del sistema, il comportamento è di interazione non
riducibile tra il "tutto" e le sue "parti".
Questo paradosso lo ritroviamo nella definizione delle varie tipologie di
azioni etiche: chi agisce in funzione dei risultati attesi affronta il paradosso
privilegiando il 'tutto'. Poiché, tuttavia, non potrà far altro che operare a
livello delle 'parti', egli è soggetto ad errore (i risultati non sono quelli
attesi) tanto più quanto più il sistema sia complesso.
Chi invece agisce sulla base dei principi affronta il paradosso privilegiando le
'parti'. Infatti i 'principi, non sono altro che una 'parte' del processo di
azione (in termini organizzativi diremmo trattarsi di regole, di processi
produttivi particolari, di 'strategie dell'impresa') da mettere assieme ad altre
'parti' per costruire una risposta che sarà quella che sarà come reazione del
'tutto' all'intervento.
Nel processo del design il paradosso tra il "tutto " e le "parti" viene risolto accettando di percorrere il 'circuito' del paradosso un certo numero di volte. In particolare si inizia confrontando la percezione iniziale della sfida in esame con delle potenziali soluzioni, per ritornare ad una migliore definizione della sfida da riconfrontare con soluzioni possibili, e così via. Come nel caso del malato la diagnosi sarà tanto migliore quanto più vasto il portafoglio di soluzioni disponibile (quanto più grande sarà il bagaglio di casi esaminati nel passato dal medico). Da qui emerge un primo compito per ogni attività di 'costruzione' (ricerca) che voglia contribuire alla risoluzione dei problemi ambientali: sviluppare soluzioni nuove, anche solo a livello concettuale, per arricchire il portafoglio di idee con cui affrontare la prima fase dell'approccio sopra ricordato.
L'approccio del progettista si distingue da quello dello scienziato come, secondo Aristotele, il 'sapiente' si distingue dal 'saggio'. Potremmo pertanto dire che l'approccio del design rappresenti una specie di saggezza della complessità utile per affrontare le sfide, di qualsiasi dimensione esse siano.
Questa saggezza della complessità è in realtà sempre applicata dal
progettista. Anche il più semplice artefatto in effetti nasconde complessità
in quanto è comunque parte di un più ampio sistema ed è esso stesso composto
di parti che sono sistemi complessi se analizzati ulteriormente (ad es., lo sono
i materiali che il progettista userà). È il progettista che con "un
trucco" (che richiama una certa similitudine con le ragioni che
sottolineano l'importanza di considerare un etica ambientale 'relativa al
contesto') riesce a rendere semplice, a dominare la complessità.
Il trucco usato è quello di delimitare il sistema che il progettista considera
come campo di intervento: egli "espelle" dal suo sistema i livelli
più alti rendendoli parti di un "ambiente" da prendere come dato ed
esogeno, e considera inoltre ai livelli più bassi come "atomi"
immodificabili qualcuna delle parti e degli "inputs" che entreranno
nel "sistema" oggetto di progettazione.
Parte importante nel processo di semplificazione è la definizione di alcuni
attori chiave per la realizzazione del progetto. Altrettanto importanti del
progettista sono il cliente, il costruttore, l'utilizzatore. Il processo di
progettazione non può partire senza una chiara definizione di questi attori.
L'utilizzatore, per fare un esempio, può essere lo stesso del cliente. Ma non
necessariamente.
Ad es. nel caso di un progetto ambientale per migliorare la qualità della vita urbana, l'utilizzatore è il cittadino mentre il "cliente" si materializzerà sotto la forma di una qualche istituzione. Definiti gli attori chiave, il processo di progettazione si sviluppa in una serie di fasi successive, come una catena di "circoli" (tra il "tutto e le parti" del sistema oggetto di progettazione) centrati ciascuno via via su uno degli attori: dal cliente, al progettista, al costruttore, all'utilizzatore. A ciascuna fase partecipano (o dovrebbero partecipare per il successo del progetto) tutti gli attori coinvolti. Ciascun circolo è percorso un certo numero di volte finché non si giudichi di aver sufficientemente chiarito il ruolo del relativo attore principale.
Il processo di progettazione si può in particolare suddividere in tre fasi.
La prima fase di definizione del problema parte dal "cliente"
con la percezione di una sfida alla quale va data una risposta. Il
"circolo" si conclude con la redazione di una specifica del
problema da risolvere. La seconda fase - la fase di progettazione vera e propria
- vede il progettista come attore principale. Essa parte con la
sua accettazione della "specifica" e termina con lo sviluppo di una
soluzione dettagliata del problema così specificato. La terza fase è
quella della attuazione della soluzione progettuale ed è responsabilità
del produttore.
A queste tre fasi del processo di progettazione in realtà ne va aggiunta una
quarta di accettazione della soluzione da parte dell'utilizzatore.
Questa fase diventa tanto più esplicita ed importante quanto più complessa è
la sfida ed il sistema oggetto di modifiche. Questa fase può in realtà venir
avviata anche prima che la costruzione abbia inizio e può portare alla modifica
del progetto. Si veda al riguardo, ad es., l'importanza assunta dagli studi di
impatto ambientale. Questa fase può essere oggetto di una sperimentazione
"simulata".
La creatività è un elemento fondamentale nel processo di progettazione. Essa si sviluppa nel "circolo" tra "il tutto e le parti" ed è tanto più efficiente quanto da una parte sia maggiore la conoscenza del sistema e dall'altra ampio il portafoglio di soluzioni possibili per intervenire su di esso.
Nell'applicare il processo della progettazione come paradigma valido per
affrontare qualsiasi sfida - non importa quanto complesso sia il sistema e la
situazione coinvolta - occorre naturalmente approfondire e rendere espliciti gli
approcci ed i processi di azione spesso non esplicitati quando l'oggetto della
progettazione è semplice.
Così, nella fase di percezione delle sfide è importante afferrare gli aspetti
olistici del sistema. Con riferimento al caso dell'ecosistema, è meglio partire
confessando di non conoscere di che "razza di animale" si tratti
guardando alla sua globalità, piuttosto che partire con una visione già
riduzionista (l'ecosistema fatto di sottosistemi definiti, ciascuno con proprie
problematiche note). È nel processo per arrivare a specificare di quale
problema si tratti che si dovrà (dopo aver percorso il circolo tra il tutto e
le parti un certo numero di volte) delimitare il sottosistema.
Nella fase di progettazione vera e propria, la ricerca di una soluzione dovrà
passare da una fase "divergente" (ritornare di nuovo a considerare il
sistema globale rispetto alla specifica data) ad una "convergente"
(disegno delle parti da modificare) più volte, in modo iterativo, ai livelli
via via più bassi a cui la progettazione si rivolge (dal tutto, ai
sottosistemi, ai componenti, alle parti).
La fase di attuazione è certamente una fase riduzionista: le parti da
modificare sono individuate dal progetto. Tuttavia anche in questa fase vi sono
delle preoccupazioni olistiche, quando, ad es., il costruttore deve verificare
la fattibilità pratica della soluzione, senza escludere la possibilità di
dover ritornare per delle modifiche alla fase di progettazione.
Infine è di nuovo prevalentemente olistico l'approccio da seguire nella fase di
accettazione del sistema modificato, "riduzionisticamente", nelle sue
parti e componenti.
Il modo migliore per assicurare che il paradigma della progettazione venga applicato correttamente a problemi molto complessi è di considerare ogni fase come un processo di progettazione essa stessa. Se in generale il processo di progettazione parte da un "problema" per sviluppare una "soluzione", nella fase di sviluppo della specifica il problema è la "sfida percepita" e la soluzione è la "specifica del problema". Nella fase di progettazione vera e propria il problema è la "specifica" e la soluzione sono i "disegni". Nella fase di costruzione il problema sono i "disegni" e la soluzione è data dalla "realizzazione".
Naturalmente occorre definire in modo appropriato in ogni fase sia l'oggetto
della progettazione, che il tipo di azione di modifica possibile, oltre a
considerare in modo esteso il concetto di "progettazione" rispetto a
quello cui siamo abituati per l'intervento su oggetti concreti Così l'oggetto
della progettazione passa dal tutto al sistema (un tutto già articolato in
sottosistemi e componenti), alle parti che lo compongono. L'azione può venire
definita come: politica (definire valori, obiettivi, fini) al livello di
percepire la sfida; strategica (quali alternative di intervento seguire tra
quelle possibili od immaginate tali) al livello di definire la specifica del
problema; tattica (ottimizzazione) quando si passi al livello di sviluppare una
soluzione ed attuarla. Possiamo corrispondentemente classificare il processo
progettuale come metafisico quando si tratta di scegliere valori e fini da
ottenere con l'azione, meta-progettuale (intervento sulle idee più che sviluppo
di soluzioni concrete vere e proprie) nella fase di definizione della specifica,
per usare infine il termine proprio di progettazione quando si passa allo
sviluppo di una soluzione per il problema specificato. Le domande prevalenti cui
il processo dovrà rispondere nelle tre fasi sono rispettivamente: perchè?,
come?, cosa?
Cercare di operare secondo i dettami del comportamento etico - sia in funzione dei fini o dei moventi, sia applicando i principi o pensando ai risultati - diventa difficile quando, in ogni caso, alla fine la situazione in cui ci si viene a trovare è insoddisfacente. Con la complessità crescente del mondo d'oggi questo è la norma più che l'eccezione. Da qui una crisi crescente che coglie sia l'individuo singolo che la società di fronte alle sfide molteplici che percepiamo. Il che porta sconforto ed incapacità di operare.
Le sfide ambientali sono in prima linea per la loro dimensione e radicalità, mettendo in evidenza la complessità intrinseca del sistema in cui operiamo, la non-linearità e circolarità (tutto interagisce con tutto). L'etica nelle varie concezioni sviluppatesi storicamente, considera il comportamento dell'uomo come un insieme lineare di azioni: o in una catena 'in avanti' di cause ed effetti o 'all'indietro', dai fini ai mezzi per raggiungerli. In condizioni di complessità è proprio questa linearità che non è più accettabile come descrizione delle modalità dell'agire se alla fine si vogliono ottenere risultati soddisfacenti. Non è infatti più possibile considerare che dei fini diventino motore dell'agire umano se per il loro raggiungimento mancano i mezzi adeguati. Viceversa, se non vi sono i mezzi non si deve necessariamente adattare i fini ai mezzi, ma porsi l'obiettivo di sviluppare nuovi mezzi adeguati ai fini da realizzare.
Occorre quindi un riesame dell'etica come scienza per la condotta umana che tenga conto della circolarità intrinseca tra il tutto e le parti, tra i fini ed i moventi, tra i principi ed i risultati. Questa circolarità comincia ad essere riconosciuta nel tentativo di sviluppare un'etica ambientale. Così, è un passo in detta direzione l'ammettere, come fa l'etica pluralista, che i fini sono legati al contesto sociale. Un altro passo è quello del filosofo monista quando ammette che i problemi etici richiedono un cambiamento culturale profondo e che questo cambiamento richiede un cambiamento di tecnologia che a sua volta induce un cambiamento culturale.
Si ha tuttavia l'impressione che occorra procedere fino in fondo in detta direzione. Se si pensa che per affrontare le sfide ambientali occorra un approccio sistemico, allora per mantenere il ruolo dell'etica come guida alla condotta, occorrerà stabilire che occorre un 'etica sistemica'.
Si è cercato sopra di mostrare che in realtà l'homo faber, colui che cerca di 'costruire' soluzioni in risposta a problemi definiti, opera secondo procedure che accettano la circolarità tra il tutto e le parti con una metodologia che supera per gradi la circolarità stabilendo preliminarmente gli obiettivi in funzione delle soluzioni disponibili, per poi identificare il fabbisogno di nuove soluzioni che permetteranno di aggiornare gli obiettivi, e così via.
Lo sviluppo di un'etica sistemica può quindi prendere spunto dal bagaglio di conoscenze sul comportamento del progettista per sviluppare una teoria comportamentale che metta assieme l'agire' (come guida alle scelte tra i mezzi esistenti per realizzare dei fini compatibili con detti mezzi), ed il 'costruire' (per sviluppare nuovi mezzi che permettano di porsi nuovi fini).
Senza una revisione profonda delle concezioni dell'etica vi è il rischio che - per superare il senso di impotenza sul cosa fare, che comunque va fatto perché occorre dare una risposta alle sfide ambientali percepite - si ricorra all'autorevolezza della guida dell'etica senza che questa sia all'altezza del compito, producendo alla fine dei disastri. Così, da una parte c'è il rischio che un ricorso all'etica dei principi assoluti porti a rinunciare a valutare quali saranno i risultati, costretti ad accettarli qualunque essi siano data la prevalenza dei principi. Per fare un esempio, se inquinare è 'peccato' allora dobbiamo rinunciare a tutti i prodotti inquinanti con le conseguenze di un 'ritorno indietro' rinunciando al benessere che il loro sviluppo ci ha portato. D'altra parte, applicando l'etica dei risultati si può facilmente accordarsi sui risultati desiderati. Poi, per superare le difficoltà di concordare un programma di azioni, possono svilupparsi soluzioni autoritarie che impongono un programma. Se alla fine i risultati non corrisponderanno alle attese, il gioco di potere che si è sviluppato nel realizzare il programma (si tratterà spesso di grandi programmi con utilizzazione di ingenti risorse) può portare a non ammettere l'errore imponendo come buono il risultato stesso. Si pensi, ad esempio, ad uno scenario in cui le città diventino delle megastrutture (ad es. siano coperte da megacupole, per poter trattare tutti gli effluenti e non modificare così l'ambiente esterno) che apparentemente mantengono le facilità attuali in un ambiente che tuttavia diventa alienante.
Se si riconosce che occorre sviluppare un'etica sistemica, vi sono già alcuni indicazioni per azioni da sviluppare in termini di iniziative per rispondere alle sfide ambientali. Da una parte verificare quali obiettivi-fini si possono realisticamente sviluppare con i mezzi-tecnologie attuali, d'altra parte sviluppare un programma di azioni per costruire mezzi-tecnologie nuovi che permettano di porsi fini ambientali più adeguati alle sfide.