Da una lettera a Lino (13 maggio 1998)
Riflettevo in questi giorni al nostro passato di nucleari. All’entusiasmo con cui ce ne siamo occupati. Non sembrava certamente allora che fosse una scelta di vita sbagliata. Mi pare che abbiamo vissuto anni di impegno totale prendendo molto sul serio noi stessi ed il lavoro che facevamo. Parlo un po’ di tutti quelli che se ne occupavano a partire dal CISE. Forse che qualcuno sentiva un qualche senso di inferiorità rispetto agli americani? La tecnologia l’avremmo certamente imparata anche noi, anzi. Potevamo più e meglio di loro. Eravamo giovani, entusiasti ed intelligenti.
Non c'è da ridere. Ripensandoci, mi sembra che si possa dire che abbiamo vissuto un’epopea. Magari un’epopea all’italiana. Ti va come titolo di un libro che narri dei fatti di allora fino alla ignominiosa uscita dal nucleare? Quando io andavo per laboratori americani od inglesi, ragazzino imberbe, ricco solo di qualche formula su come calcolare la criticità di un reattore, sentivo di rappresentare un paese che aveva gli stessi atouts degli altri, che poteva ambire a realizzare progetti incredibilmente complessi. Era, certo, protervia giovanile. Ma un senso eroico c’era davvero. Poi è rimasta forse solo la protervia, poi l’epopea si è italianizzata, poi ci si è congelati, continuando però a muovere gli occhi spiritatamente. Il corpo congelato, ma la bocca aperta per ingerire miliardi.
Sarebbe forse interessante scrivere di quel tempo, dei sogni e dell’ambizione, anche della sicurezza dell’incoscienza. Forse c’è qualche cosa da dire a chi oggi pensa – noi per primi – che siamo un paese senza spina dorsale, che non saremo mai capaci di fare qualcosa di grande, di essere più bravi degli altri. Naturalmente si deve mettere in luce come, partita come un’epopea, sia poi finita all’italiana. Un’epopea all’italiana, appunto.
Purtroppo la mia memoria dei fatti cui ho partecipato è scarsa. Può darsi che venga fuori a poco a poco se ci si mette a pensare. Bisognerebbe essere capaci di scrivere in modo epico, anche se su fondo ironico. Un epopea deve parlare di eroi e del coro. Magari il coro viene fuori descrivendo i fatti come ci sono agli atti. Tra parentesi, mi sembra che qualcuno all’ENEA abbia raccolto delle cronache nucleari. Non mi ricordo dove ho visto e cosa. Forse guardando su Internet…