Riflessioni sulla vecchia tra due amici già vecchi

  Corrispondenza con Lino

25 /4/96

Devo dire che apprezzo ed invidio un pò il vostro piacere di continuare ad avventurarvi per il mondo. A me e Bruna forse è rimasto il desiderio di farlo, ma ho la sensazione che l'epoca dei viaggi sia finita. Faccio un esempio. Dobbiamo andare a Brussel ed abbiamo anche dei biglietti gratuiti (frutto degli sconti accumulati come frequent flyer), ma rimandiamo il viaggio di mese in mese, sempre per delle ragioni concrete, degli impegni spiccioli. Avendo tutto il tempo disponibile, in realtà non ne abbiamo.

Il piacere del viaggio forse ci è rimasto come un ricordo del passato. Forse la paura di sentirsi poco bene, del male alle ossa o ai piedi, forse la sensazione o che non vi è niente di nuovo da scoprire o che il nuovo ti fa paura, che non si è più pronti ad affrontare le incognite o anche solo le scomodità del viaggio con spirito di avventura. Vedo che a voi invece questo spirito è rimasto al punto da tentare di perdervi nel deserto.

Che dire allora dei sogni di una vecchiaia serena, passata a fare le cose sognate ma non fatte da giovane? Se non i viaggi, cosa rimane? Le letture forse. Quanti libri non letti, accantonati per un secondo tempo o di cui non si era proprio percepita l'esistenza! Allora se non viaggi reali, viaggi virtuali, avventure dello spirito, visione di vite vissute e raccontate da altri?

Devo dire che organizzare la propria vecchiaia non è facile. Anzitutto perché il tempo che sembra disponibile non lo è. Esempio: devo ora fare degli ultrasuoni ad un piede dolorante. Niente di particolare, ma per 15 giorni non posso muovermi. Gli altri pensano che tu abbia tempo e quindi riversano su di te i loro bisogni. Parlo dei figli. Certamente la cosa ha i suoi lati piacevoli, ma comunque incide sul tempo apparentemente libero.

Ma poi, è proprio necessario porsi il problema di organizzare il tempo per la propria vecchiaia? Uno che lo ha fatto in modo ferreo è Angelo Rossi. Lui teme di avere anche un solo momento libero durante la giornata, perché se così fosse non potrebbe non illanguidirsi a riflettere sui guai di salute per il parkinson che lo affligge. Così si è attrezzato per seguire tutte le conferenze e tutti i concerti possibili. Ed in una città come Torino c'è da essere occupati da mattina a sera. Poi il tempo a casa lo passa leggendo con la pertinacia di quando studiava da giovane, qualunque libro. Ma per poter disporre del suo tempo, lui è riuscito in qualche modo a impedire agli altri di considerare che abbia del tempo disponibile per loro.

Difficile dire cosa sia meglio fare, se lasciare che il proprio tempo venga rosicchiato in piccole faccende quotidiane o cercare di organizzarselo ponendo dei vincoli efficaci contro questo rosicchiamento. Un modo efficace è quello di avere una attività da svolgere. Ma dovrebbe essere un'attività che non ti lascia libertà di fare o non fare, il che equivale ad avere un impegno di lavoro esterno. Scrivere, pensare, leggere è anche un'attività. Ma se non sei professionalmente giustificato - se uno è uno scrittore nessuno si meraviglia che passi il suo tempo a scrivere, se uno è un critico, nessuno si meraviglia se passa il suo tempo a leggere romanzi o a vedere film - ma se uno lo fa per passare il tempo, per se stesso, senza finalità pratiche, allora perché lo fa? Questo si chiedono gli altri. Ma alla fine se lo chiede lui stesso.

Così ogni giorno uno si alza dovendo pensare a cosa farà, lasciandosi poi facilmente prendere dalle futilità reali od apparenti del quotidiano.

Ho sempre preso in giro chi si prende una seconda laurea da vecchio. Ma ora comincio a pensare che forse è un metodo efficace per utilizzare il tempo per leggere o studiare in modo che non sia disponibile per altri. 

Avevo una volta teorizzato ed anche scritto una piccola specifica per un Istituto di Studi Interdisciplinari che servisse agli anziani per portare avanti degli hobby culturali, per fare della cultura attiva e non solo passiva. Ma in realtà non sono riuscito ad organizzarlo. O forse non ci ho neanche provato. Forse il problema è che io non riesco ad avere un hobby culturale. Ho provato con la complessità, ma è troppo difficile portarlo avanti da solo. Ci sono riuscito un po’ solo quando ho avuto occasione di un impegno come per il caso della città. Ora però trovo che impegnarmi - nel senso di assumere degli impegni di produrre in un dato tempo certi risultati, di attivarmi per contatti e collegamenti - mi pesa troppo. Così non cerco occasioni di impegnarmi. E se non le cerchi è difficile che ti si presentino da sole.

Morale, per ora l'impegno principale è scrivere favolette per un uditore - non ancora lettore - che sembra apprezzarle. Le ho raccolte. Naturalmente non mi dispiacerebbe che questa attività dello scrivere venisse in qualche modo riconosciuta come avente statuto di vera e propria professione (per le ragioni sopradette). E così invio gli scritti a dei concorsi. Possibile che nessuno si accorga di quanto è interessante il prodotto del mio lavoro (notato il senso ironico?).

Sollecitato da un concorso per un giallo da tenere in limiti molto precisi di numero di battute, ne ho scritto uno. 

13/5/98

ho ricevuto la tua e-mail con le considerazioni sull’età e sul viale del tramonto.

Se qualche volta penso alla morte lo faccio solo con un senso di curiosità di come avverrà. A poco a poco, o improvvisamente, con una crescente sensazione di degrado oppure senza accorgersene? E’ vero - come dici tu - che almeno finché ci si sente bene non si ha l’impressione che la nostra età sia particolarmente avanzata. Tuttavia, a volte, guardando dei coetanei li trovo molto invecchiati. Chissà se loro, guardandomi, fanno la stessa riflessione.

Provo un po’ di imbarazzo a parlare della morte. Ma è forse un modo per rinviare la data, come si dice di quello che legge sul giornale il suo necrologio. In ogni caso forse é meglio cambiare soggetto di riflessione.

Riflettevo in questi giorni al nostro passato di nucleari. All’entusiasmo con cui ce ne siamo occupati. Certamente non sembrava allora che fosse una scelta di vita sbagliata. Mi pare che abbiamo vissuto anni di impegno totale prendendo molto sul serio noi stessi ed il lavoro che facevamo. Parlo un po’ di tutti quelli che se ne occupavano a partire dal vecchio laboratorio del CISE. Forse che qualcuno sentiva un qualche senso di inferiorità rispetto agli americani? La tecnologia l’avremmo certamente imparata anche noi, anzi. Potevamo più e meglio di loro. Eravamo giovani, entusiasti ed intelligenti.

Non ridere. Ripensandoci, mi sembra che si possa dire che abbiamo vissuto un’epopea. Magari un’epopea all’italiana. Ti va come titolo di un libro che narri dei fatti di allora fino alla ignominiosa uscita dal nucleare? Quando io andavo per laboratori americani od inglesi, ragazzino imberbe, ricco solo di qualche formula su come calcolare la criticità di un reattore, sentivo di rappresentare un paese che aveva gli stessi atouts degli altri, che poteva ambire a realizzare progetti incredibilmente complessi. Era, certo, protervia giovanile. Ma un senso eroico c’era davvero. Poi è rimasta forse solo la protervia, poi l’epopea si è italianizzata, poi ci si è congelati, continuando però a muovere gli occhi spiritatamente. Il corpo congelato, ma la bocca aperta per ingerire miliardi.

Sarebbe forse interessante scrivere di quel tempo, dei sogni e dell’ambizione, anche della sicurezza dell’incoscienza. Forse c’è qualche cosa da dire a chi oggi pensa – noi per primi – che siamo un paese senza spina dorsale, che non saremo mai capaci di fare qualcosa di grande, di essere più bravi degli altri. Naturalmente si deve mettere in luce come, partita come un’epopea, sia poi finita all’italiana. Un’epopea all’italiana, appunto.

 Purtroppo la mia memoria dei fatti cui ho partecipato è scarsa. Può darsi che venga fuori a poco a poco se ci si mette a pensare. Bisognerebbe essere capaci di scrivere in modo epico, anche se su fondo ironico. Un epopea deve parlare di eroi e del coro. Magari il coro viene fuori descrivendo i fatti come ci sono agli atti. Tra parentesi, mi sembra che qualcuno all’ENEA abbia raccolto delle cronache nucleari. Non mi ricordo dove ho visto e cosa. Forse guardando su Internet…

Internet, amore mio. Per ora ci passo abbastanza tempo. Mi stuferò presto? La scusa è l’idea che ho di realizzare un museo virtuale della scienza e della tecnologia. Così devo capire cosa si è già fatto…

  11/11/99

è un po' che non vi scrivo. In parte è legato al fatto che siamo stati via due settimane per le cure inalatorie a Salice Terme.

Inoltre è un periodo che sono un poco rilassato. Ho finito le memorie e ogni tanto mi chiedo cosa devo fare. Non è che il tempo d'ozio sia tanto. In realtà la micro-attività (l'alzarsi tardi la mattina, l'uscire a comperare l'insalata, il pulire la suddetta, ecc.) porta via quasi tutto il giorno. C'è poco tempo anche per la semplice lettura. A fine sera, invece di fare il punto sulla insulsa giornata finisce che uno guarda la televisione. E poiché la televisione è quasi sempre noiosa, si finisce per prendere in mano un libro. Ma poiché gli occhi si chiudono subito dopo, uno finisce per passare ad Internet. E qui si finisce per scaricare un sacco di cose interessanti da guardare poi. Finalmente è mezzanotte e si va a rigirarsi nel letto.

Tutto bene per tirare a campare. Ma poi mi viene un dubbio terribile. A 70 anni c'è il rischio al giorno d'oggi di camparne altri venti. E vent'anni sono tanti per passarli con la sola micro-attività. Il guaio di chi va in pensione psicologicamente è che non pensa di aver ancora tanto da vivere e di non poter quindi pianificare niente di serio e a lungo termine. Eppure se alla fine avrà passato vent'anni volgendosi indietro sarà inorridito a vedere come li hai buttati. O dovrebbe esserlo. Ma allora uno che fa? Si rimette a lavorare?

Come vedi mi riprende il tarlo dell'idea che nella vita bisogna combinare qualcosa. Pensavo di esserne uscito, ma non è così. Beati quelli che avendo una professione liberale la possono portarla avanti fin che tirano le cuoia, continuando a sognare il momento tanto desiderato in cui andranno a pescare le trote.

Ma noi cosa potremmo fare? Bruna dice, tu con la tua testa potresti fare chissà cosa. E mi rimprovera uno spirito rinunciatario. Ma cosa? Posso scrivere, ma occorre avere talento. Lavoro tecnico purtroppo non ne faccio da quarant'anni. Difficile cominciare ora (non c'è nessuna Alta Direzione che sembra apprezzare la mia consulenza). Forse è il caso di pensare di aprire una libreria e di vendere libri. Magari solo su Internet. Adesso che la parola d'ordine è l'e-commerce magari una ci fa pure i soldi. Come quel ragazzo americano che si è messo su Internet a vendere i formaggini del posto.

In realtà un po' di tempo me lo portano via i nipoti veri e quelli d'acquisto. Quelli della V b sono passati alla Media e si sono diradati. Ma qualcuno ancora mi scrive. In compenso la maestra ha ora la I b e così ho cominciato a scrivere per conto di un certo lupo Ezechiele amico di Sara. Con Pietro mantengo un rapporto epistolare via fax. Mi ero proposto di parlargli della Divina Commedia, ma lui mi ha fatto chiaramente capire la cosa non gli interessa. E se io volevo rileggermi la Divina Commedia, potevo benissimo prendere il libro e fare da solo. Per fregarlo, allora ho cominciato un giallo a puntate dove si parla di un famoso manoscritto della Divina Commedia che è stato rubato e venduto a quinterni (uno per canto). C'è tutta una serie di gatti, topi ecc. (presi dai cartoni animati e che con Pietro definiamo 'i nostri amici ') incaricati di ritrovare il manoscritto. Canto per canto. Per ora sono a Caronte che se ne sta sul traghetto di Imbersago. Non so come continuare. Any idea?

9/2/2000

è un po’ di tempo che non scambiamo due chiacchiere. Anzitutto, ti fa impressione scrivere 2000 nella data, quando ad esempio fai un assegno?

Io di salute sto bene. Vado a ginnastica due volte alla settimana in mezzo a delle signore che mi ricordano quelle che frequentavano il mio albergo a Greenwhich (ultrasettantenni tutte) nel Connecticut. Solo che allora io non ne avevo neanche 30. Fa un effetto strano pensare di avere 70 anni e trovare che li hanno, e quindi sono vecchietti, solo gli altri. Forse ha ragione Sara che alla domanda, ma i tuoi nonni sono vecchi, risponde. " Sono vecchi quasi giovani".

La sensazione che non è più come una volta tuttavia ti capita spesso. Per esempio, trovo difficile decidermi per un viaggio. Ho un non so che senso di paura. Tuttavia ho deciso di portare Pietro a Venezia per carnevale. Solo io e lui. Forse è una ringiovanita (si dice?).

Certo che l'ambiente che frequenti aiuta a sentirti più o meno vecchio. Per esempio la routine quotidiana, il tempo perso in tante piccole cose, finisce per renderti oltre che casalingo, poco avventuroso. In compenso di notte sogno e molto.

Naturalmente non me li ricordo, ma sono tutti relativi a grandi progetti, a problemi da risolvere che si ripresentano ogni notte e ti sembra che finalmente la soluzione l'abbia trovata. Ma poi la perdi o cerchi inutilmente di ricostruirla. Ad esempio, in un sogno (forse ripetuto, chissà, ogni volta sembra che sia la versione ennesima dello stesso) c'è una macchina che fa, non mi ricordo cosa, (forse costruisce degli oggetti tridimensionali) ma per cui occorre una specie di diapositiva da mettere dentro e che va costruita con un processo nuovo che ho trovato, ma che non riesco a riprodurre E qualche volta mi sembra di esserci riuscito, ma poi il sogno si ripresenta con lo stesso problema. In ogni caso mi sembra che si tratti sempre nei miei sogni di problemi da risolvere che impegnano e non portano da nessuna parte. Tra l'altro io dormo a spizzichi (mi sveglio circa ogni ora e poi mi riaddormento correndo dietro allo stesso sogno, ma che il più delle volte diventa un altro.  Una volta mi sono chiaramente sognato dei numeri e li ho giocati al lotto secondo la migliore tradizione. Ma ovviamente non sono usciti.

 Tornato dal mare dopo venti giorni con Sara, trovo una e-mail di Marchetti, che mi dice: Buh, sei vivo? Che fai? E mi manda un suo lavoro recente in cui specula su come si forma la memoria a lungo termine nel cervello. E' interessante e se vuoi te ne mando una copia. Vedendo gente più vecchia di me (di un paio d'anni) che continua a fare ricerche anche interessanti, mi prende un po’ d'invidia (o forse è solo nostalgia). Mi metto a far qualcosa, a studiare? Ma, poi, penso che sia troppo tardi.

Forse l'unica cosa che so fare è scrivere. Ma pare che a nessuno interessi, salvo naturalmente a Pietro che sollecita sempre nuovi fax. Ora sono impegnato in una telenovela che riguarda la ricerca del manoscritto rubato dell'Inferno. La banda che si è messa alla ricerca è fatta da un certo Pietro, da Speeddy Gonzales, Willie Coyote, gatto Silvestro, ecc. Sono i cosiddetti nostri amici e Pietro vuole solo storie con loro. In una società che a fatica diventa multi-etnica quella che io descrivo (del resto come nei cartoni animati) è addirittura multi-specie. Ed il bello è che nessuno si meraviglia se arriva un topo od un coniglio, si siedono al ristorante ed ordinano da mangiare. Naturalmente il coniglio vuole carote. Scrivere dei gialli con loro è utile perché può servire, per risolvere certe situazioni, che il topo più veloce del mondo in due secondi vada da qui a Roma e ritorno. Il Barone di Munchausen c'aveva già pensato, ma il suo era un servo e non un topo.

  14/3/2000

grazie per la tua lettera che cerca di riportarmi sulla retta via dell'ottimismo. E dire che, se qualcuno avesse detto nel passato chi di noi due fosse più ottimista…

Sono naturalmente d'accordo con te che molto del pessimismo degli anziani è pura nostalgia. Non vedo però che male ci sia ad esercitare un po’ di nostalgia. Ma se depuriamo il tutto da questo fattore, rimane una domanda fondamentale. Ci sono o non ci sono segni di declino della nostra società?

La storia mi pare insegni che il fenomeno del declino esiste (e non solo per l'Impero Romano). A me pare di cogliere ora alcuni segni di effettivo declino. In particolare l'edonismo crescente e l'assoluta mancanza di coscienza che esiste qualcosa come la giusta mercede (che ne pensi dei compensi milionari, in dollari, di chief executives americani od italiani che siano?). Alcuni di questi fenomeni sono mondiali. Altri sono più spiccati da noi che in altri paesi. Ad esempio da noi non esiste più pare il principio di chi sbaglia paga o di selezione dei migliori. I criteri con cui si stabilisce la paga sono in alcuni casi del tutto cervellotici (vedi gli stipendi degli impiegati del Parlamento).

Se questi sono i nuovi ideali (che sostituiscono quelli vecchi perché nel frattempo la società è cambiata), allora sono preoccupato. Gli ideali possono cambiare, certo, con il cambiare della società. Tuttavia certi punti di riferimento possono portare alla rovina, od al declino, se preferisci. Ed allora mi preoccupo. Non è solo, o non soltanto una laudatio temporibus actis (!?). E' una preoccupazione che mi piacerebbe qualcuno - ottimista -  tramutasse in azione.

Capire che i tempi sono cambiati, va bene. Capire da che direzione ora spira il vento o la brezza, come dici tu, va bene. Ma se prevedo la burrasca, cerco di ripararmi. E' segno di pessimismo? Un pessimismo di fondo c'è in me, se vuoi. E' che non mi sento più in grado di fare niente per cambiare. Borbotto ed alzo le spalle. In questo, sono come il vecchietto nostalgico. Ma la posizione di fondo è diversa.