Una carriera tra Carta stampata e televisione
Biagi, una vita per il giornalismo
Dagli esordi in Emilia alla direzione del Telegiornale e
dell'Europeo. E il lungo rapporto col Corriere
MILANO - Una vita e tante storie. Vissute e raccontate. Tutto iniziò
nel 1920 a Lizzano in Belvedere, il paesino in provincia di Bologna dove
Enzo Biagi nacque da padre magazziniere e madre casalinga.
Sull’Appennino emiliano trascorse l’infanzia e iniziò a sognare, come in
Martin Eden di Jack London, di fare il giornalista; mestiere che
immaginava come un «vendicatore capace di riparare torti e ingiustizie»
e che lo affascinava per la possibilità di viaggiare e scoprire il
mondo. Testimone del secolo che come pochi altri ha saputo declinare la
sua vocazione al giornalismo in tutti i media - dalla carta stampata, ai
libri, alla tv. Una vita che lo ha visto collezionare tanti successi ma
anche profondi dolori, dai diversi allontanamenti dalla Rai ai lutti
familiari: nel 2002 la perdita della moglie, compagna inseparabile di
una vita e l'anno dopo della figlia Anna. Delle sue quattro donne, a
consolarlo rimasero la primogenita Bice, che ha seguito le orme paterne,
e Carla.
ANTIFASCISTA -
Dopo il diploma in ragioneria seguirono gli anni della gavetta al Resto
del Carlino. Diventa professionista a soli ventuno anni. Allo scoppio
della guerra è richiamato alle armi. Dopo l’8 settembre 1943, per non
aderire alla Repubblica di Salò, varca la linea del fronte aggregandosi
ai gruppi partigiani attivi sull’Appennino. Il 21 aprile 1945 entra a
Bologna con le truppe alleate e annuncia dai microfoni del Pwb la fine
della guerra.
ESORDI - Il
dopoguerra a Bologna è per Biagi un periodo di intenso lavoro: fonda il
settimanale Cronache e il quotidiano
Cronache sera. Viene
assunto nuovamente a Il Resto del Carlino (in quegli anni
Giornale dell’Emilia), ricoprendo il ruolo di inviato e di critico
cinematografico. Sono entrati nella storia del giornalismo i suoi
articoli sull’inondazione del Polesine. Nel 1951 Biagi aderì al
manifesto di Stoccolma contro la bomba atomica e, accusato dal suo
editore di «essere un comunista sovversivo», fu allontanato dal Resto
del Carlino. Qualche mese dopo, fu assunto da Arnoldo Mondadori di
cui diventò in breve tempo direttore trasferendosi per la prima volta a
Milano.
IN RAI - È di
quegli anni l’inizio del suo rapporto con la televisione, destinato a
rafforzarsi e a durare nel tempo. Nel 1961 l’ingresso in Rai, diventa
direttore del Telegiornale e inizia quel difficile rapporto con la
politica che non lo ha mai abbandonato. Nel 1963 cura la nascita del
telegiornale del secondo canale Rai. Nello stesso anno lancia RT, il
primo settimanale della televisione italiana. Ma ben presto arrivarono
critiche durissime soprattutto dal Psdi di Saragat e dalla destra, che
accusò Biagi di essere un comunista. Nel 1963 fu quindi costretto a
dimettersi. Ritorna quindi a La Stampa come inviato speciale,
scrivendo anche per il Corriere della Sera e per il settimanale
L'Europeo. La sua collaborazione con la Rai, riprende nel 1968
quando chiamato dall'allora direttore generale, Ettore Bernabei ritorna
alla tv di Stato, per realizzare programmi di approfondimento
giornalistico. Tra i più seguiti e innovativi: «Dicono di lei» (1969),
una serie di interviste a personaggi famosi, tramite frasi, aforismi,
aneddotti sulle loro personalità e «Terza B, facciamo l'appello» (1971).
NEI QUOTIDIANI -
Biagi alternava l'attività televisiva alla carta stampata. Nel 1971,
dopo numerose collaborazioni al Corriere della Sera e al
settimanale L'Europeo, fu nominato direttore del Resto del
Carlino con l'obiettivo di trasformarlo in un quotidiano nazionale.
Il 30 giugno del 1972 fu allontanato dalla direzione del Resto del
Carlino e tornò quindi al Corriere della Sera. Nel 1975, pur
senza lasciare il Corriere, collaborò con l'amico Indro
Montanelli alla creazione del Giornale.
DI NUOVO IN RAI -
Dal 1977 al 1980, ritorna a collaborare stabilmente alla Rai, conducendo
"Proibito" programma in prima serata su Rai Due che trattava temi
d'attualità. All'interno del programma guida due cicli d'inchieste
internazionali denominati "Douce France" (1978) e "Made in England"
(1980). Intanto, dopo lo scandalo della P2 lascia il Corriere della
Sera e collabora come editorialista con La Repubblica,
quotidiano che lascierà nel 1988, quando ritornerà al Corriere.
Nel 1982 conduce la prima serie di "Film Dossier", un programma che
attraverso film mirati, punta a coinvolgere lo spettatore, nel 1983,
dopo un programma su Rai Tre dedicato ad episodi della seconda guerra
mondiale (La guerra e dintorni), inizia a condurre su Rai Uno "Linea
Diretta", uno dei suoi programmi più seguiti, che propone
l'approfondimento del fatto della settimana, tramite il coinvolgimento
dei vari protagonisti. Linea Diretta viene trasmesso fino al 1985 e poi
di nuovo nel 1989. Negli anno '90 segue attentamente le vicende di "Mani
pulite", con programmi come "Processo al processo su Tangentopoli",
(1993) e "Le inchieste di Enzo Biagi" (1993-1994).
IL
FATTO - Nel 1995 iniziò la trasmissione Il Fatto, un
programma di approfondimento dopo il Tg1 sui principali fatti del
giorno, di cui Biagi era autore e conduttore. Nel 2004 Il Fatto, che
mediamente era seguito da oltre 6milioni di telespettatori, fu nominato
da una giuria di giornalisti il miglior programma giornalistico
realizzato nei cinquant'anni della Rai. Famose resteranno le interviste
a Marcello Mastroianni, a Sofia Loren, a Indro Montanelli e le due
realizzate a Roberto Benigni, l'ultima delle quali nel 2001, in piena
campagna elettorale: il comico toscano, inevitabilmente, parlò di Silvio
Berlusconi e della sua candidatura, commentando a modo suo il conflitto
d'interessi e il contratto con gli italiani. L'intervista scatenò
roventi polemiche contro Benigni e contro Biagi. Berlusconi lo accusò di
avergli fatto perdere un milione e 750 mila voti prima delle elezioni
del 2001. Il deputato di An e futuro ministro delle comunicazioni,
Maurizio Gasparri, parlando ad un'emittente lombarda, auspicò
l'allontanamento dalla Rai dello stesso Biagi.
IL CASO BIAGI -
Il 18 aprile 2002 l'allora premier Silvio Berlusconi dichiarò nel corso
di una conferenza stampa: «La Rai, tornerà ad essere una tv pubblica,
cioè di tutti, non partitica, [...] come è stata durante l'occupazione
militare della sinistra. L'uso fatto da Biagi, da quel...come si chiama?
Ah Santoro e da Luttazzi, è stato veramente criminoso e fatto con i
soldi di tutti. Preciso dovere di questa dirigenza sia quello di non
permettere più che questo avvenga». Una dichiarazione che passerà alla
storia come «Editto bulgaro» a cui Biagi replicò nella puntata del
Fatto, dichiarando: «Presidente del Consiglio, non trova niente di
meglio che segnalare tre biechi individui: Santoro,
Luttazzi
e il sottoscritto. Quale sarebbe il reato? [...] Lavoro qui in Rai, dal
1961, ed è la prima volta che un presidente del Consiglio decide il
palinsesto [...] Cari telespettatori, questa potrebbe essere l'ultima
puntata del Fatto. Dopo 814 trasmissioni, non è il caso di
commemorarci». Le trasmissioni del Fatto, proseguirono regolarmente fino
alla prima settimana di giugno, quando terminò la stagione. Ma
all'inizio della nuova, dopo un lungo tira e molla, la dirigenza Rai,
decise di cancellare il programma, dopo settecento puntate.
IL RITORNO IN TV - Invitato
anche da Adriano Celentano nel suo
Rock Politik in una puntata dedicata
alla libertà di stampa assieme a Santoro, Biagi ha
però declinato l'offerta: «Non posso ritornare alla rete ammiraglia
della Rai fino a quando ci saranno le persone che hanno chiuso il
programma e impedito alla mia redazione di lavorare» scrisse sul
Corriere nella sua rubrica
Strettamente personale in forma di lettera aperta al
Molleggiato. Dopo 5 anni di silenzio tv Biagi annunciò il suo
ritorno al programma «Che tempo che fa», intervistato per una ventina di
minuti da
Fabio Fazio. Il 22 aprile 2007, tornato in tv con
"RT -
Rotocalco Televisivo", ha aperto la trasmissione dicendo:
«Buonasera, scusate se sono un po' commosso e, magari, si vede. C'è
stato qualche inconveniente tecnico e l'intervallo è durato cinque anni
e parlando di resistenza, di quella odierna di chi resiste alla camorra
fino alla Resistenza con la R maiuscola, con interviste a chi l'ha
vissuta in prima persona».
SCRITTORE - Biagi autore
prolifico ha vinto numerosi premi, tra cui il Bancarella. Ha scritto più
di ottanta libri, tra cui Testimone del tempo, 1970; I come italiani,
1972; La bella vita, 1996, intervista all'attore Marcello Mastroianni;
Come si dice amore, 2000 e Storia d'Italia a fumetti. L'ultimo “Era
ieri”, un libro di rievocazioni, parte da quelle 842 puntate de Il fatto
che sono state il fiore all’occhiello di una lunga carriera. Un successo
strepitoso con i suoi sei milioni di ascoltatori, bruscamente chiusa
dalla decisione del Presidente del Consiglio Berlusconi nel 2002. Una
ferita mai rimarginata.