Il regista si è spento a Roma a 91 anni. Nella
sua lunga carriera, tanti capolavori
Senza toni ideologici o melodrammatici, ha dipinto i disagi del nostro
Paese
Il cinema italiano piange Dino Risi
maestro della commedia all'italiana
Tra i suoi film indimenticabili "Il Sorpasso",
"I Mostri" e "Profumo di donna"
di CLAUDIA MORGOGLIONE
Una recente immagine di
Dino Risi
ROMA - Con Mario Monicelli, Nanni Loy, Ettore
Scola, Luigi Comencini, è stato uno dei grandi maestri della commedia
all'italiana. E oggi il nostro cinema piange la morte di Dino Risi, che
si è spento questa mattina nel residence Aldovrandi della capitale, in
cui risiedeva da tempo. Aveva 91 anni. Se ne va così un grande vecchio
della settima arte: protagonista di una stagione irripetibile, che vanta
- specie negli ultimi anni - numerosi, ma mai del tutto riusciti,
tentativi di imitazione. Una formula capace di piacere sia ai critici
che al pubblico, con la sua capacità di coniugare divertimento e
affresco sociale.
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Insomma, una sorta di Billy Wilder ma made in Italy, come dimostrano i
suoi capolavori: dal Sorpasso ai Mostri. Eppure, il
milanesissimo Risi - nasce il 23 dicembre 1916, nel capoluogo lombardo -
al cinema non ci arriva proprio da ragazzino. Prima, infatti, studia e
consegue una laurea in Medicina. I genitori immaginano per lui una
carriera in psichiatria, ma il giovane Dino ha altri progetti. E si
butta a capofitto nel mondo della celluloide. I primi lavori degni di
nota arrivano al servizio di altri registi: ad esempio, come aiuto di
Mario Soldati, in Piccolo mondo antico (1940), o di Alberto
Lattuada, in Giacomo l'idealista (1943). Nel 1948, il suo debutto
dietro la macchina da presa, col cortometraggio I Barboni,
ambientato tra i poveri della sua città d'origine.
Il suo primo lungometraggio arriva solo nel 1952,
ed è Vacanze col gangster. Ma il vero successo arriva un po' più
tardi, con la commedia di costume Il segno di Venere e
soprattutto con l'exploit al botteghino di Pane amore e..., con
Sophia Loren protagonista. Pellicola che bissa i successi di Pane
amore e fantasia e Pane amore e gelosia. Un anno dopo, 1956,
nuovo boom: questa volta tocca a Poveri ma belli. Realizzato con mezzi
modesti, diventa un campione d'incassi.
E già questi titoli fanno capire come si svilupperà il cinema di Risi:
popolare ma mai eccessivamente sentimentale, attento al costume ma senza
rivendicazioni ideologiche. Una cifra che resterà anche nelle sue opere
successive: il drammatico Una vita difficile, con un inedito
Alberto Sordi; il supercult Il sorpasso, per molti una delle
vette assolute della commedia all'italiana, col suo attore preferito
Vittorio Gassman; e quello che è e resta un altro dei suoi titoli più
celebri, I Mostri (1963).
Un'attività intensa, quella di Risi, che dura anche per
tutti gli anni Settanta. Decennio in cui realizza, tra gli altri, In
nome del popolo italiano (1971), I nuovi Mostri (1977),
Caro papà (1979). E anche Profumo di donna, ancora con
Gassman, che ottiene due nomination all'Oscar. E che avrà un remake in
salsa hollywoodiana un bel po' di anni dopo, con Al Pacino protagonista.
Negli anni Ottanta, invece, assistiamo a una minore produzione
cinematografica, malgrado film come Fantasma d'amore (1981) e
Sesso e volentieri (1982). Intanto, anche suo figlio Marco si dà
alla regia, ma con uno stile più serioso e temi di denuncia: la sua
pellicola-exploit è Mery per sempre, del 1989 (mentre proprio in
questi giorni sta girando il film sulla morte del giornalista napoletano
Giancarlo Siani). Per Risi senior, invece, nei Novanta assistiamo a un
ulteriore allentamento dell'attività: tra le poche cose da citare, il
tentativo - non riuscito - di far rivivere i fasti di Poveri ma belli
con il film Giovani e belli (1996).
Ma la grande stagione della commedia all'italiana è al tramonto, anche
per la scomparsa dei suoi volti più celebri: Gassman, Tognazzi,
Manfredi, Sordi. E così, a inizio Millennio, Risi si rivolge alla tv e
realizza la fiction Bellissime, ispirata a Miss Italia, e girata
a Salsomaggiore. Un finale un po' malinconico, per questo grande vecchio
della settima arte. A cui però, nel 2002, la Mostra di Venezia assegna
il Leone alla carriera. L'ultima onorificenza di prestigio, nel giugno
2004: quando l'allora presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi,
lo insignisce del titolo di Cavaliere di Gran Croce. E tutto il mondo
del cinema lo applaude. Prima dell'ultimo festeggiamento ufficiale:
quello per i suoi
novant'anni.
Ma lui, uomo arguto e autoironico, certamente non avrebbe voluto toni
troppo pomposi o seriosi, a
commentare la sua scomparsa. Anche perché sulla vecchiaia, e
la morte, ci ha sempre scherzato: "Penso - ha detto una volta - che
bisognerebbe andarsene tutti a ottant'anni. Per legge".
(7 giugno 2008)