È scomparso ieri a Roma Ennio De Concini, uno dei
maestri del cinema italiano. Aveva 85 anni e circa 150 film all’attivo.
Chissà quale finale avrà immaginato. E quante volte lo avrà scritto e
riscritto prima di quest’ultima dissolvenza di vita. Ieri sera a Roma,
nella sua casa di via Stoppani nel quartiere Parioli si è spento Ennio
De Concini, il più prolifico sceneggiatore del cinema italiano. In
silenzio.Adaccompagnarlo la moglie Ninni, il figlio Corrado e quel
«rumore» del silenzio, così mistico, irreale, che sempre rimbomba nel
sonoro delle colonne cinematografiche. Ennio lo metteva sempre, nei suoi
lavori. Era il suo sigillo, il marchio inconfondibile di un grande
scrittore, ma anche di un grande personaggio. Schivo, riservato, umile e
generoso, che ai clamori della ribalta preferiva le passeggiate
silenziose nel piccolo borgo di Albaneto.
E lì, in quel minuscolo centro di cinquanta famiglie, alla porte di
Leonessa salivano tutti, personaggi noti e meno noti, amici, vip, grandi
attori e registi. Tutti per un consiglio, una visita,masoprattutto alla
ricerca di idee. E di idee Ennio ne aveva tantissime, e grazie alle idee
aveva fatto la sua grande fortuna di autoremaanche quella di decine di
produttori. Era «il maestro». Per tutti, indiscusso, riverito, osannato,
talvolta addirittura inarrivabile. Gli amici, da Risi a Montaldo, lo
definivano il «più grande architetto del cinema». Ma De Concini era
anche altro e, soprattutto, uno straordinario cantore di emozioni. Uno
scrittore di razza, colto e raffinato, che da oggi lascia un grande
vuoto nel panorama cinematografico italiano, e che nella sua lunga
carriera ha raccontato pagine straordinarie di cinema ma anche di
televisione. Nei suoi lavori guardava l’Italia, un Paese diverso, in
continua evoluzione.
Sua l’intuizione della Piovra televisiva, maanche di Storia d’amore
e di amicizia, di Operazione San Gennaro, e di
Divorzio all’italiana con il quale, insieme a Germi e Giannetti,
ottenne nel ‘63 l’Oscar per la miglior sceneggiatura originale. Ennio lo
chiamava «l’Oscaretto», lo teneva appoggiato nella sua libreria insieme
a decine di altri premi e a migliaia di volumi, di ogni genere, che lo
hanno sempre accompagnato nella sua lunga carriera. Ma per Ennio, in
fondo, non contavano poi così tanto. A lui interessavano la vita, le
emozioni. Ogni giorno, ora dopo ora.Amavariflettere, isolarsi nella
scrittura, pensare e soprattutto sperare. Era enigmatico, curioso, alla
continua ricerca di se stesso, dell’aldilà. E nei suoi lavori raccontava
i suoi dubbi, le incertezze dell’uomo, la precarietà della vita. Avrebbe
voluto fare solo lo scrittore e invece diceva di essersi ritrovato,
grazie al cinema, come«un fallito di successo». Di grande successo, con
oltre 200 film scritti. Aveva iniziato come aiuto regista in Sciuscià,
poi la scrittura.
Arrivò il successo, i successi uno dopo l’altro come perle in fila di
una lunga collana: Mambo, L’ombrellone, La lunga
notte del ‘43, Il ferroviere, Italiani brava gente,
Il grido. Ma anche film epici, storici, quelli che De Concini
chiamava «i sandaloni», come Il Colosso di Rodi. E tanta
televisione. Di tutti i generi: da Disperatamente Giulia a
Little Italy, fino a Storia d’amore e d’amicizia. |