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IL sito:  http://www.haroldpinter.org/home/index.shtml

ADDIO HAROLD PINTER

LONDRA 24 DICEMBRE 2008

 

 

da "Il Messaggero.it"

Addio ad Harold Pinter, Nobel
e drammaturgo della lotta

di Roberto Bertinetti
ROMA (26 dicembre) – “Verrà ricordato come il più grande e importante drammaturgo inglese della seconda metà del Novecento”. Erano unanimi ieri tutti critici britannici nel giudicare l’importanza di Harold Pinter, scomparso a 78 anni alla vigilia di Natale, ucciso da un cancro contro il quale combatteva da tempo. La scorsa estate, in un’intervista alla Bbc, Pinter aveva annunciato l’addio al teatro: «Ho composto una trentina di testi e sono stanco, voglio dedicare le energie che mi restano alla poesia e all’impegno politico», disse allora. Leader carismatico della sinistra radicale del Regno Unito, pacifista e difensore dei diritti umani, aveva guidato l’opposizione interna alla guerra in Iraq, attaccando in ogni circostanza Tony Blair, definito «un autentico criminale che va in giro con un ipocrita sorriso cristiano stampato sulla faccia». Ancora più duro il suo giudizio su Bush e sugli Usa: «Gli Stati Uniti sono il vero stato canaglia, un paese arrogante, sempre sprezzante verso le leggi internazionali, la potenza più pericolosa che il pianeta abbia conosciuto», ha scritto.


 


La sua corsa controvento contro il potere iniziò molto presto, nel poverissimo quartiere operaio di Hackney, alla periferia di Londra, dove era nato nel 1930 da una famiglia di sarti di origine ebraica. Per due volte, diciottenne, finì in tribunale dopo aver rifiutato di indossare la divisa militare durante il periodo di addestramento allora obbligatorio. «Fui fortunato, visto che mi capitò in entrambi i casi lo stesso magistrato comprensivo che si limitò a multarmi: 10 sterline la prima volta, 20 la seconda. Forse sarà richiamato per la prossima guerra, ma di sicuro non ci andrò», disse in seguito. Il debutto letterario è del 1950 con alcune poesie apparse su una piccola rivista firmate “Harold Pinta”, nel 1951 esordisce in teatro con l’Enrico VIII di Shakespeare e subito dopo inizia a lavorare per la compagnia di Anew McMaster, che porta i classici del repertorio sui palcoscenici di tutto il Regno Unito.

E’ un periodo difficile ma entusiasmante che permette a Pinter di comprendere le sue doti di drammaturgo e di scrivere il primo testo, La stanza, messo in scena a Bristol nella primavera del 1957. Pochi mesi più tardi il grande salto a Londra, dove un impresario a caccia di giovani talenti produce Il compleanno, oggi ritenuto un capolavoro assoluto che però allora non piace alla critica. «Spiacente, signor Pinter, lei non è abbastanza divertente», sentenziano i quotidiani, sconcertati dal gioco di spec­chi portato sul palcoscenico, dall’atmosfera surreale che fa da contrappunto a una vicenda e un dialogo all’apparenza naturalistici, con un protagonista dall’incerto passato al quale danno la caccia due emissari di una banda crimi­nale.

Neppure ventiquattro mesi più tardi, la sera del 27 aprile 1960, i giudizi su Harold Pinter si ribaltano. Dopo la prima di Il guardiano il consenso è una­nime: «Siamo alle prese con una seducente deviazione dalle consuete vie battu­te in teatro, con un lavoro affascinante», si legge sul Guardian, «Mr Pinter ci abbandona a una piacevolissima confusione», aggiunge il Times, «lo spettacolo che ha debuttato l'altra sera al Lyceum è di un giovane autore che promette di diventare uno dei più importanti del teatro contemporaneo», sostiene il New York Times.

Con una buona dose di sarcasmo lo stesso Pinter avrebbe in se­guito commentato: «A Londra hanno messo in scena due miei lavori completi. Il primo ha ‘tenuto’ una settimana, il secondo un anno. Tra i due ci sono, naturalmente, delle differenze. In Il compleanno ho impiegato delle lineette fra le espressioni, in Il guardiano ho so­stituito le lineette con dei puntini. Si può dedurre, pertanto, che i puntini hanno mag­giore successo delle lineette. Il fatto che in nessun caso si possano sentire durante lo spettacolo lineette e puntini, è una questione secondaria. Non si devono gabbare i cri­tici troppo a lungo. Sanno distinguere un puntino da una lineetta a un miglio di distan­za, anche se non sentono né l’uno né l’altra».

Oltre all’impiego di lineette e puntini (che nei drammi indicano le lunghe pause tra una battuta e l’altra, elemento inconfondibile del suo stile), cosa caratterizza il teatro di Pinter? L'impiego contemporaneo di elementi presi dalla tra­gedia e dalla farsa, si è detto spesso. Aggiungendo che i suoi testi rammentano i quadri iper-realisti in cui tutti gli elementi che vi appaiono sono la riprodu­zione accurata di particolari reali, ma al tempo stesso vengono immersi in una dimensioni al di fuori dal reale. Di fronte a Pinter va in ogni caso evitato il ri­corso a luoghi comuni interpretativi che banalizzano una ricerca articolata e complessa, non riassumibile nelle formule abi­tuali. Campione dell’assurdo, maestro di silenzi, dram­maturgo della minaccia? Certo, Pinter è anche questo. Ma non solo, perché da un’attenta lettura dei suoi testi emergono altri temi di cui schemi troppo rigidi non possono dar conto. E’ lo stile “pinteresque”, così riassunto dagli accademici di Stoccolma quando, nel 2005, gli assegnarono il Nobel: «Una modalità assolutamente originale per svelare il baratro sotto le chiacchiere di ogni giorno e costringerci a entrare nelle chiuse stanze dell’oppressione».

C'è un aneddoto rivelatore, narrato dallo stesso Pinter, che indica l’in­consi­stenza di alcune formule. «Una volta, parecchi anni fa, mi sono trovato in mezzo a una discussione in pubblico a proposito di tea­tro. Uno mi ha chiesto di che cosa parlavano le mie commedie. Ho ri­sposto senza pensarci tanto, tanto per troncarla lì, e ho detto: "Della donnola sotto il mobile bar". Che sba­glio! Per anni e anni ho visto questa espressione citata in non so quante re­cen­sioni. Ora sembra voglia dire chissà cosa, ha acquisito un significato pro­fondo e passa per una os­servazione acuta e sensibile a proposito del mio lavo­ro. Per me non voleva dire assolutamente niente».
Se esiste un denominatore comune per riassumere un lavoro che si è protratto per circa mezzo secolo, consegnando all’umanità capolavori assoluti (Il guardiano, Il calapranzi, Ritorno a casa, Vecchi tempi, Tradimenti, Il linguaggio della montagna) lo si rintraccia nell’idea di “teatro proble­matico”. Pinter, in altri termini, privilegia una ricerca aperta su temi che possono essere di volta in volta esistenziali o politici senza mai chiude­re il cerchio, evitando di offrire risposte. Nel suo teatro, poi, il linguaggio riveste una importanza cruciale, viene usato in una maniera diversa ri­spetto ad altri autori che pure condivi­dono le sue scelte in campo este­tico: non per sottolineare difficoltà di comuni­cazione (è il caso, ad esempio di Beckett o di Ionesco), ma per portare in primo piano il bassissimo livello di conoscenza assicurato dal dialogo, come appunto spiega la motivazione del Nobel per la letteratura.

Che cosa intenda esprimere con questa tecnica è riassunto in un in­tervento del 1984 dove osserva: «Voi, io e i personaggi per la maggior parte del tempo restiamo inespressivi, reticenti, incostanti, elusivi, im­pacciati, svogliati. Ma è da simili attributi che nasce un linguaggio. Un linguaggio in cui sotto ciò che viene detto si dice un’altra cosa». L’obiettivo è, dunque, mettere in evidenza il modo in cui la comuni­cazione tra gli uomini tenda a rivelare la loro miseria spirituale e le loro paure. Si tratta di un tema che ha avuto valenze quasi metafisiche durante la prima parte della sua carriera per assumere in seguito venature politiche a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta. Quando Pinter ha fatto dell’impegno esplicito la sua bandiera, arricchendo di nuove tonalità lavori di altissimo livello artistico, segnati da una forza espressiva e da una originalità estetica che per mezzo secolo gli hanno assicurato una leadership indiscussa nell’ambito del teatro di lingua inglese.

Harold Pinter

 

da "Panorama.it"
http://blog.panorama.it/libri/2008/12/25/morto-il-premio-nobel-harold-pinter/

Morto il premio Nobel Harold Pinter

"Ho scritto 29 piece in 50 anni, non è abbastanza? Certamento lo è per me'’. Harold Pinter amava ripetere questa frase negli ultimi anni, segnati dalla malattia che lo aveva colpito nel 2002, dalla soddisfazione di aver avuto il Premio Nobel nel 2005, ma anche dalla rinnovata voglia di impegno politico e di difesa dei diritti civili, che lo aveva fatto attaccare duramente Bush e Blair.
Lo scrittore, scomparso a Londra all’eta di 78 anni, aveva infatti già consegnato la sua opera al passato, vendendo il suo archivo alla British Library, giusto un anno fa per 1.65 milioni di euro. Centocinquanta scatoloni contenenti lettere, manoscritti, fotografie. Tra le gemme preziose quella del capitolo segnato dalla sua amicizia con Samuel Beckett, con il quale condivideva la passione per cricket e il rugby, ma anche ovviamente quella teatrale.
Non è certo un caso, anzi indica la forza di suggestione che ha la sua opera, il fatto che dal nome di Harold Pinter sia nato un aggettivo, pinteriano, che segue, ma si diversifica da beckettiano, derivato dal nome dell’autore di cui è sempre stato considerato un po’ l’erede. Il primo esprime comunque un disagio, una sensazione forte di incertezza e timore, mentre l’altro ha un sapore di catastrofe e smarrimento più totale.
Raramente un autore è stato così immediatamente metaforico per forza poetica, per qualità e invenzione drammatica come Harlod Pinter, che era considerato da tempo un classico del Novecento. Non si è mai tirato indietro davanti all’impegno civile e col tempo è passato da una vena più esistenziale a una più decisamente politica mantenuta fino all’ultimo. Di pochi mesi fa il suo ultimo appello per fare giustizia ed individuare i responsabili dell’uccisione di Anna Politkovskaia.
Il suo impegno radicale contro ogni prevaricazione del potere, anche quello democratico, e in nome della pace, che diventa pubblico negli anni del governo Thatcher, lo avvicina, per certi versi, a un altro premio Nobel, Dario Fo. L’impegno lo avvicinò anche ad Arthur Miller con il quale nel 1985 fu protagonista in Turchia di una violenta denuncia dell’oppressione politica che costò ad entrambi la cacciata: ne nacque la commedia Mountain language.

Ma tanto fu diretto nella vita quanto invece allusivo sulla scena, dove diede vita al teatro della minaccia ('’La vita di ognuno di noi è sempre minacciata e incerta. Viviamo nella repressione e fingiamo di vivere nella libertà'’). La sua è l’arte di scrivere per sottrazione, costruendo personaggi e vicende esemplari, sganciate da ogni contingenza. E nonostante questo riuscendo a farli sentire vivi, concreti, esemplari.
Vale per le figure dei primi drammi anni Cinquanta e Sessanta, dal Calapranzi al Guardiano, come per quelli più politici degli ultimi venti anni, da Il bicchiere della staffa a Ceneri alle ceneri, passando per le tragicommedie che trattano apparentemente dell’amore e delle sue menzogne, da L’amante a Tradimenti, ma che forse parlano di inganni ben più profondi e esistenziali, della morte inevitabile di illusioni e speranze.
Pinter, nato ad Hackney, un sobborgo di Londra, il 10 ottobre 1930, iniziò la sua carriera teatrale come attore, prima frequentando grandi scuole di recitazione, poi girando l’Irlanda con una compagnia shakespeariana con lo pseudonimo di David Barron. La sua carriera di drammaturgo iniziò, quasi per caso, nel 1957, quando scrisse per un amico in quattro giorni un atto unico intitolato La stanza. Del 1958 il celebre Festa di compleanno, in cui due ignoti visitatori piombano a casa di un giovane misantropo che vive isolato. Ancor maggiore impatto suscita i lavoro di Pinter quando gli argomenti diventano più drammatici, e si capisce che il riferimento è, per esempio, alla tragedia dei desaparecidos argentini in Il bicchiere della staffa del 1984 o alla Shoah in Ceneri alle ceneri del 1996.
Autore del suo tempo, Pinter ha anche scritto testi radiofonici, volumi di poesia e sceneggiature per il cinema, legando il suo nome a film di qualità e successo, come La donna del tenente francese di Reisz, per cui è stato candidato all’Oscar e al Golden Globe, Cortesie per gli ospiti di Schrader, Messaggero d’amore di Losey. Ha adattato per il cinema anche il capolavoro di Proust, mai realizzato e uscito solo in volume.

 

Addio Harold Pinter

 

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