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Orfei dal circo alla favela
Orlando caduto in disgrazia PAOLO MANZO RIO DE JANEIRO
Orlando Orfei con la sua famiglia Dice: «È stata una bellissima avventura». Ora che è davvero finita, il vecchio domatore di leoni ha lo sguardo triste di uno dei suoi clown. Non ci sono più luci, sparito chissà dove il tendone da duemila persone per famiglie e bambini con cui portava in mezzo Sudamerica i suoi numeri con gli animali, uno spettacolo di amore e paura, puzza di stalla e segatura. A 89 anni, Orlando Orfei si confessa a la «Folha de S.Paulo», uno dei più importanti quotidiani del Brasile. Vive in una baracca della periferia di Rio de Janeiro, a Nuova Iguaçu, soffre di cuore, e non ha neanche i soldi per tornare un’ultima volta in Italia. Racconta che un impresario brasiliano gli ha rubato tutto lasciandogli solo i ricordi di una vita. Mentre parla, negli occhi scorrono le immagini di un film felliniano. Con lui c’è la moglie, l’austriaca Herta oggi settantaseienne. Anche lei calcava la scena con un numero di colombe addestrate. E ora ricorda gli anni felici in cui il circo Orfei in Brasile divenne il più importante del Paese. Con tutta la ricchezza che portò, visto che la coppia riuscì perfino a comprare un meraviglioso attico a Sao Conrado, una delle spiagge più esclusive di Rio. Oggi però la musica è un’altra. A causare la fine di questa meravigliosa avventura ha contribuito anche, come una mazzata finale, la legge che ha proibito nelle principali città brasiliane l’uso di animali nello spettacolo circense. «Un circo senza animali non è più nulla - spiega triste Orfei - Come può esistere senza una tigre, un leone, degli elefanti? Una famiglia vuole vedere gli animali». Dopo trent’anni di gloria il circo ha chiuso i battenti nel 2003. Il primo viaggio ai tropici Orlando lo fece nel 1968 quando accettò l’invito di un altro impresario a portare il suo spettacolo in giro per il Brasile. Da allora cominciò a percorrere per ben sette volte il Paese con il suo carrozzone di artisti, funamboli e circensi. «Conosco praticamente tutto di questo Paese, più grande dell’Italia 30 volte - racconta Orfei- il brasiliano è un popolo buono, amico, e gli piace molto il circo. Per me il Brasile è una seconda Italia». Un viaggio che è una metafora stessa dei cammini a volte imprevedibili che la vita di ciascuno può prendere se ci si mette di mezzo lo zampino del destino. E la storia di Orlando si intreccia inevitabilmente non solo con quella degli Orfei ma con quella del circo nel nostro paese. L’ex domatore di belve feroci rievoca nell’intervista tutta la storia della sua famiglia. Dal bisnonno che a Ferrara abbandonò agli inizi dell’800 gli studi ecclesiastici per fuggire con la donna che amava, con la quale avrebbe poi fondato il primo circo Orfei, fino agli inizi della sua carriera a 6 anni come clown. E poi i successi. Orlando che entra nel Colosseo con le sue belve. Il circo che arriva in Brasile, la fama in tutta l’America Latina, le roulotte che si moltiplicano a dismisura, arrivando a superare il centinaio. Perfino l’aereo personale. C’è tristezza adesso nelle parole di Orlando ma la voce si impenna quando la memoria prende il sopravvento come quando racconta di essere andato in giro lui stesso per pubblicizzare i suoi spettacoli con una leonessa sul sedile posteriore di una decappottabile. «Non mi piace restare qui fermo a Nova Iguaçu - ci tiene a specificare- mi piace andare ogni giorno in un luogo diverso: sono nato così. Mi chiedono se non sono stanco di viaggiare. Ma anzi: quello che mi stanca è questa immobilità a cui sono costretto». IL messaggio di Orlando in poche ore ha raggiunto il Brasile intero e l’Italia. Ci si chiede allora se qualcuno dei suoi sei figli, undici nipoti, e quattro pronipoti, per non parlare dei parenti in Italia, possa aiutare quest’uomo a risollevare le sue sorti e a ritornare nel nostro Paese. Perché come lui stesso ha dichiarato «il circo è uno spettacolo eterno: le cose difficili che sono ben fatte non finiranno mai». |
Orlando Orfei
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