Le domande di un non credente
al papa gesuita chiamato Francesco
Il pontefice argentino è lo scandalo benefico
della Chiesa di Roma. Ma cosa risponderebbe agli interrogativi di un
illuminista?
di
EUGENIO SCALFARI
PAPA Francesco è stato
eletto al soglio petrino da pochissimi mesi ma continua a dare scandalo
ogni giorno. Per come veste, per dove abita, per quello che dice, per
quello che decide. Scandalo, ma benefico, tonificante, innovativo.
Con i giornalisti parla poco, anzi non parla affatto, il circo mediatico
non fa per lui, non è nei suoi gusti, ma il suo dialogo con la gente è
continuo, collettivo e individuale, ascolta, domanda, risponde, arriva
nei luoghi più disparati ed ha sempre un testo da leggere tra le mani ma
subito lo butta via. Improvvisa senza sforzo alcuno a cielo aperto o in
una chiesa, in una capanna di pescatori o sulla spiaggia di Copacabana,
nel salone delle udienze o dalla “papamobile” che fende dolcemente la
folla dei fedeli.
È buono come Papa Giovanni, affascina la gente come Wojtyla, è cresciuto
tra i gesuiti, ha scelto di chiamarsi Francesco perché vuole la Chiesa
del poverello di Assisi. Infine: è candido come una colomba ma furbo
come una volpe. Tutti ne scrivono, tutti lo guardano ammirati e tutti,
presbiteri e laici, uomini e donne, giovani e vecchi, credenti e non
credenti aspettano di vedere che cosa farà il giorno dopo.
Di politica non si occupa, non l’ha mai fatto né in Argentina da vescovo
né dal Vaticano da papa. Criticò Videla sistematicamente, ma non per
l’orribile dittatura da lui instaurata ma perché non provvedeva ad
aiutare i poveri, i deboli, i bisognosi. Alla fine il governo, per
liberarsi di quella voce fastidiosa, mise a sua disposizione una
struttura assistenziale fino a quel momento inerte e lui abbandonò la
sua diocesi ad un vicario e cominciò a battere tutto il paese come un
missionario, ma non per convertire bensì per aiutare, educare, infondere
speranza e carità.
Due mesi fa ha pubblicato un’enciclica sulla fede, un testo già scritto
dal suo predecessore con il quale convive senza alcun imbarazzo a poche
centinaia di metri di distanza. Ha ritoccato in pochi punti quel testo e
l’ha firmato e reso pubblico.
L’enciclica è alquanto innovativa rispetto ad altre sullo stesso tema
emesse dai suoi predecessori. La novità sta nel fatto che non si occupa
del rapporto tra fede e ragione. Non esclude affatto che quel rapporto
ci sia, ma a lui (e a Benedetto XVI) interessa la grazia che promana dal
Signore e scende sui fedeli. La grazia coincide con la fede e la fede
con la carità, l’amore per il prossimo, che è il solo modo – attenzione:
il solo modo – di amare il Signore. Si sente il profumo intellettuale di
Agostino. Più di Agostino che di Paolo. Ma qui andiamo già nel
difficile. Si dovrebbe pensare che siano tre i Santi di riferimento per
l’attuale Vescovo di Roma (che insiste molto su questa qualifica che
accompagna e addirittura precede il titolo pontificale): Agostino,
Ignazio, Francesco.
Ma è quest’ultimo che dà al Papa che ne ha preso il nome il connotato
più evidente e da lui sottolineato in ogni occasione. Vuole una Chiesa
povera che predichi il valore della povertà; una Chiesa militante e
missionaria, una Chiesa pastorale, una Chiesa costruita a somiglianza di
un Dio misericordioso, che non giudica ma perdona, che cerchi la pecora
smarrita, che accolga il figliol prodigo.
Certo, la Chiesa cattolica è anche un’istituzione, ma l’istituzione,
come la vede Francesco, è una struttura di servizio, come l’intendenza
di un esercito rispetto alle truppe combattenti. L’intendenza segue, non
precede. E così siano l’istituzione, la Curia, la Segreteria di Stato,
la Banca, il Governatorato del Vaticano, le Congregazioni, i Nunzi e i
Tribunali, tutta l’immensa e immensamente complessa architettura che
tiene in piedi da duemila anni la Chiesa, Sposa di Cristo.
Questo, finora, è stato il volto della Chiesa. La pastoralità? Certo, un
bene prezioso. La Chiesa predicante? La Chiesa missionaria? La Chiesa
povera? Certo, la vera sostanza che l’istituzione contiene come un
gioiello prezioso dentro una scatola d’acciaio
Ma attenzione: per duemila anni la Chiesa
ha parlato, ha deciso, ha agito come istituzione. Non c’è mai stato un
papa che abbia inalberato il vessillo della povertà, non c’è mai stato
un papa che non abbia gestito il potere, che non abbia difeso,
rafforzato, amato il potere, non c’è mai stato un papa che abbia sentito
come proprio il pensiero e il comportamento del poverello di Assisi. E
non c’è mai stata, se non nei casi di debolezza e di agitazione, una
Chiesa orizzontale invece che verticale. In duemila anni di storia la
chiesa cattolica ha indetto 21 Concili ecumenici, per lo più addensati
tra il III e il V secolo dell’era cristiana e tra il IX e il XIII. Dal
Concilio di Trento passarono più di trecent’anni fino al Vaticano I
preceduto dal Sillabo e poi ne passarono ottanta fino al Vaticano II.
I Sinodi sono stati ovviamente molto più numerosi, ma tutti indetti e
guidati dalla Curia e dal Papa.
Il cardinale Martini (vedi caso anch’egli gesuita) voleva accanto al
magistero del Papa la struttura orizzontale dei Concili e dei Sinodi dei
vescovi, delle Conferenze episcopali e della pastoralità. Non fu amato a
Roma, come Bergoglio nel conclave che terminò con l’elezione di
Ratzinger.
Bergoglio ama anche lui la struttura orizzontale. La sua missione
contiene insomma due scandalose novità: la Chiesa povera di Francesco,
la Chiesa orizzontale di Martini. E una terza: un Dio che non giudica ma
perdona. Non c’è dannazione, non c’è Inferno. Forse Purgatorio?
Sicuramente pentimento come condizione per il perdono. «Chi sono io per
giudicare i gay o i divorziati che cercano Dio?» così Bergoglio.
* * *
Vorrei però a questo punto porgli qualche domanda. Non credo risponderà,
ma qui ed oggi non sono un giornalista, sono un non credente che è da
molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di
Nazareth, figlio di Maria e di Giuseppe, ebreo della stirpe di David. Ho
una cultura illuminista e non cerco Dio. Penso che Dio sia un’invenzione
consolatoria e affascinate della mente degli uomini.
Ebbene, è in questa veste che mi permetto di porre a Papa Francesco
qualche domanda e di aggiungere qualche mia riflessione.
Prima domanda: se una persona non ha fede né la cerca, ma commette
quello che per la Chiesa è un peccato, sarà perdonato dal Dio cristiano?
Seconda domanda: il credente crede nella verità rivelata, il non
credente pensa che non esista alcun assoluto e quindi neppure una verità
assoluta, ma una serie di verità relative e soggettive. Questo modo di
pensare per la Chiesa è un errore o un peccato?
Terza domanda: Papa Francesco ha detto durante il suo viaggio in Brasile
che anche la nostra specie perirà come tutte le cose che hanno un inizio
e una fine. Anch’io penso allo stesso modo, ma penso anche che con la
scomparsa della nostra specie scomparirà anche il pensiero capace di
pensare Dio e che quindi, quando la nostra specie scomparirà, allora
scomparirà anche Dio perché nessuno sarà più in grado di pensarlo. Il
Papa ha certamente una sua risposta a questo tema e a me piacerebbe
molto conoscerla.
Ed ora una riflessione. Credo che il Papa, che predica la Chiesa povera,
sia un miracolo che fa bene al mondo. Ma credo anche che non ci sarà un
Francesco II. Una Chiesa povera, che bandisca il potere e smantelli gli
strumenti di potere, diventerebbe irrilevante. È accaduto con Lutero ed
oggi le sette luterane sonomigliaia e continuano a moltiplicarsi. Non
hanno impedito la laicizzazione anzi ne hanno favorito l’espansione. La
Chiesa cattolica, piena di difetti e di peccati, ha resistito ed è anzi
forte perché non ha rinunciato al potere. Ai non credenti come me
Francesco piace molto, anzi moltissimo, come pure Francesco d’Assisi e
Gesù di Nazareth. Ma non credo che Gesù sarebbe diventato Cristo senza
un San Paolo.
Lunga vita a Papa Francesco.
Jorge Mario Bergoglio, Papa Francesco
(Vescovo di Buenos Aires - E' il primo gesuita
Vescovo di Roma)