Se si pensa a Miles Davis, subito vengono alla mente le sue peculiarità: la sua voce, il suo aspetto, il suo stile, tutto ciò che lo contraddistingue e lo caratterizza, come ad esempio la sua firma, tutti elementi di un ritratto che si identificano con Miles. Le linee inarcate, le sinuosità e le spirali delle sue dita ogni qualvolta prende la tromba, sono di per sé la dimostrazione di una particolare unicità che soggiace alle mutazioni, e che è in grado di esercitare su di noi. Ogni assolo è un autoritratto. ma l’essenza di Miles va al di là dello strumento, in quanto, per l’artista, la musica, l’arte, l’attitudine e lo stile, sono espressioni che scaturiscono dalla vita. I quadri dipinti dallo stesso Miles trasmettono la stessa caratteristica peculiare (ancor prima di essere firmati), e sembra che dalle linee che si intrecciano, e che convergendo si trasformano in innumerevoli immagini, riecheggi la sua musica, in onde di colori, come il suono, il calore, o la stessa sua aura, che sgorgano da una sorgente principale.
Il tutto è in armonia con la natura. Sia le note che i colori diventano tonalità, e i "colori" sono stati usati nella Western music da quando la diatonicità è scesa per la prima volta di un semitono, dal Si al severo Sib, verso il 1025 d.C. La nuova rigida nota di partenza venne definita come cromatica, (dal Greco "colore"), e sulla tastiera venne distanziata dalle altre sette (quelle di colore bianco) per il suo colore differente. Ciò, è stato suggerito, potrebbe avere a che fare col fatto che la Western music venga definita nera e blu.
D’accordo con coloro che sono in grado di darvi un’interpretazione, gli aloni diventano colori che possono vibrare in armonia oppure no, che riescono a dare un’interpretazione diversa del singolo (sebbene forse in tonalità di ottave troppo alte per essere percepite dall’occhio). Palle Mikkelborg che compose Aura in omaggio a Miles Davis, non pretende di vedere l’aura di Miles come un chiaroveggente, ma piuttosto sostiene di averla colta dai colori dei lavori di Miles realizzati in tutti quegli anni. Ispirato dalle tonalità di Miles, e queste dalla sua nascita nel periodo caldo del be-bop, dalla nascita di qualcosa di più freddo verso una concezione più modale e molti altri bitch of a brew [titolo di un album di Davis e gioco di parole per indicare la pozione di una strega], Palle ha realizzato un ritratto musicale dell’artista che si ispira ai diversi periodi dello sviluppo di Miles. Il lavoro venne registrato a Copenaghen nel 1985, dove Miles si trovava per ricevere il prestigioso Premio Sonning Music (alcuni illustri vincitori del Premio sono stati Stravinsky, Leonard Bernstein e Isaac Stern).
Lavorando nel così detto stile seriale europeo, Palle compose un tema ricavandolo da dieci note, basandosi sulle dieci lettere che compongono il nome "Miles Davis". Le dieci note danno un accordo, l’accordo un tema, e dal tema ricavò la scala che gli permise di dar vita alla composizione. Questo è senza dubbio un modo meccanico di concepire un’opera, ma ciò gli permise di fare un uso molto libero del materiale a disposizione. Ogni variazione della composizione prende il nome di uno dei sette colori primari che Palle ha potuto vedere nell’aura di Miles.
Se qualcuno si ostina a sostenere che la musica in questo disco contenuta non sia jazz, ciò non impensierisce Miles. Le etichette danno una definizione, e così facendo, pongono dei limiti. L’arte al contrario, si ritiene sia in grado di dare nuovi campi di osservazione; l’artista vede ciò che non si manifesta direttamente, ascolta il risuonare del silenzio, si pone domande che non hanno risposta, maneggia gli elementi con le proprie mani. La musica dovrebbe essere uno strumento per dilatare quello spazio molto spesso ristretto che c’è tra le nostre orecchie. In questo disco, come chiunque dotato di un buon udito può ascoltare, la musica parla da sola - ogni assolo è un autoritratto all’interno di un ritratto - e la parola "Miles" è l’insieme di lettere necessario a darle un nome. Come disse lo stesso Miles: "Sento ciò che sento, suono ciò che suono, sono ciò che sono". Questo disco è il luogo d’incontro tra l’aura e ciò che le è pertinente.
La suite inizia con un’introduzione di John McLaughlin alla chitarra sul tema delle dieci note M.I.L.E.S. D.A.V.I.S., dove il sintetizzatore suona una base che sale in un crescendo, per lanciarsi improvvisamente in un accompagnamento fortemente ritmato ed in levare di 7/8 nel momento in cui inizia lo stacco di gran cassa della batteria. Il tempo è suddiviso in 5/8 - 7/8 e 2/4 - 7/8 con il sintetizzatore e la batteria che attaccano frapposti e interagendo. Le altre tastiere brontolano nell’ombra come fossero coperte da un magma ribollente di musica che alimenta l’esecuzione. Miles mi disse una volta: "Dovresti essere qui. Dovresti lasciare che le note ti penetrino la testa". Aggiunse poi che quello era un accordo difficile da scomporre, ma da lui nascono i fraseggi, e dai fraseggi il ritmo: "Dovetti suonare contro di lui invece che dentro di lui".
L’assolo di tromba di Miles che varia e che talvolta risuona come una voce, introduce "White" con una melodia malinconica che mi ricorda il bel volto di Billie Holiday che potendo sembrare triste, e senza alcun inganno, rende quella tristezza ancor più drammatica e bella per lo sforzo. Qui lo sforzo dura poco, con Miles che si rifugia nell’introspezione ripetendo l’ultima frase del suo pensiero musicale di quattro note, con toni molto morbidi prima di unirsi al passaggio irreale per un duetto sovraregistrato. "Questo silenzio è rumore" ha detto. A questo arazzo Marilyn Mazur aggiunge tocchi magici di triangoli, piatti, campane ed altri effetti percussivi.
"Yellow" è una rappresentazione orchestrata dello stesso tema, ed è divisa in due sezioni. La prima è guidata da un oboe e da un’arpa, con l’orchestra che si dilata e si sgonfia in sottofondo. Nella seconda parte è ancora una volta la chitarra ad esplicitare il tema, con l’arpa che ricopia echeggiando ogni nota. Poi l’orchestra entra a pieno volume con una forte base di fiati: ottoni lucenti ed impetuosi, oscuri e maestosi tromboni, tonanti tamburi. Qui, l’uso che Palle fa della tuba, e il vociare degli ottoni verso la fine di questa sezione, ricordano Gil Evans e il fatto che Miles non lo si sia più sentito suonare con un’orchestra se non quando all’inizio degli anni Sessanta, collaborò con Gil.
Nel simbolismo dei colori della cabala di Palle, l’arancio è associato a "qualcosa che sta per sorgere. Non è ancora nel proprio splendore; qui le cose stanno ancora cercando di assumere una forma propria. Nell’arancio, i musicisti sono in grado di suonare con estrema autonomia". John McLaughlin, ad esempio, si lancia in un assolo infiammato per la durata di tre ritornelli. Miles ne suona due con la sordina, ed il resto senza. Alcuni suoi fraseggi, hanno tutta l’innocenza e la spontaneità dei ritmi primordiali. La familiare figura melodica che suona in questo assolo, mi ha detto essere una melodia che viaggia nella sua testa da parecchio tempo. Iniziando nel settimo ritornello, la zoppicante marcia di "Orange", dà la precedenza ad una serie di variazioni ritmiche e l’illusione di successivi aumenti di tempo. L’orchestra fa il suo ingresso con gli ottoni lucenti.
"Red" ha un ritmo molto lento e verticale. "Rosso significa fuoco" nota Palle. Questa parte inizia piano, e Miles forgia il suo assolo dall’insistente monotonia dei sintetizzatori e dei tromboni, quasi come un mantice sulla fiamma. I fiati e gli ottoni danno forza allo slancio con puntualizzazioni pungenti. Quando quest’inferno dell’aura si esaurisce con le note della chitarra e del basso, "Red" continua con un assolo di Miles sullo stesso ritmo di 7/8 che caratterizza l’introduzione.
"Green" è un pezzo poetico-pastorale diviso in due parti e che descrive la bellezza della natura. Viene immediatamente alla mente "The Unanswered Question" di Charles Ives, e Palle ammette che Ives sia uno dei suoi preferiti compositori americani che operano nella classica tradizione europea. Avendo suonato una volta la tromba nel componimento di Ives con un’orchestra sinfonica, Palle aggiunge che il tema gli faceva venire alla mente il fraseggio che Miles suona. La prima parte si apre con le tastiere, reminiscenza dell’ossessionante tromba in "The Unanswered Question", quasi come la linea di John McLaughlin nella melodia di base di "Intro".
Ma "Green" è anche un omaggio a Gil Evans con il quale Palle ha lavorato l’anno scorso, e la cui influenza emerge nella struttura che egli ha intessuto nella sua opera, nei suoi unici raggruppamenti di strumenti, nel suo strano ed espressivo insieme di note, il solo nato dalle dieci tonalità del nome di Miles.
La prima parte mette in evidenza un ossessionato assolo di basso fretless (elettrico). Il tema è suonato dal corno inglese appoggiato dall’orchestra e dai sintetizzatori. Nella seconda parte Miles emerge per dialogare Niels Henning Oersted Pedersen al basso acustico. Qui, il taciturno lamento di Miles scongiura gli spettri del lavoro realizzato con Evans, Sketches of Spain. Il coro a sedici voci che gli sta dietro, è senza dubbio una sovraregistrazione di un’unica cantante, Eva Thaysen.
"Blu" è un reggae che si risolve in una figura di 7/8 per i fiati dell’orchestra; Miles suona sopra loro meravigliosamente bene fino al loro dissolversi, lasciandolo solo con un accenno di accompagnamento eseguito dall’arpa e dalle campane. Il passaggio ricorda straordinariamente quello dell’album Jack Johnson.
Miles riteneva che "Red" fosse così bella da pensare di eseguirla due volte; la prima con la tromba aperta. Questa parte è suonata con la sordina e s’intitola "Electric Red". Dell’assolo suonato nella seconda versione Miles ha detto: "Talvolta si rimane senza note; esse scompaiono e qualcosa bisogna suonare. I sax tenoristi lo fanno sempre".
Nel comporre "Indigo", Palle stava pensando al più recente periodo acustico di Miles (Filles de Kilimanjaro). Miles non vi suona, ma gli piaceva il brano e volle includerlo. Disse Miles: "Era sufficiente il pianista [Thomas Clausen]". Fate attenzione alla velocità di Marilyn Mazur la percussionista. Fu durante la registrazione di Aura che Miles conobbe Marilyn, che in seguito venne invitata a fermarsi nella sua band.
"Violet" è un blues, e pur essendo parte dell’omaggio a Miles, è anche un onore a Stravinsky ed al compositore francese Olivier Messiaen, entrambi beneficiari del Sonning Music Prize. Palle cita Messiaen nell’accordo d’organo che alla fine diventa l’accordo di apertura di questa parte della suite. Quest’idea balenava nella sua mente da anni, quando si accorse che in qualche modo era legata alla struttura realizzata sul nome di Miles. Dopo aver ascoltato qualche parte degli assoli di Miles incisi su nastro, Palle tornò allo studio di registrazione e li orchestrò come tema della melodia. Miles rimase affascinato da quella sequenza di accordi, e quando ricevette il Sonning Award suonò "Violet" in concerto per ben cinque volte.
Qualsiasi ritratto dell’artista, non importa quanto preciso esso sia, sarà sempre incompleto - non più del dettaglio di una grande fotografia, o di una nota nel libro della vita dell’artista. Le incisioni di Miles sono il ricordo di ciò che lui è stato, solo un accenno della sua musica, di quando lasciò lo studio di registrazione, e non sono certo la sicurezza di poterlo trovare ancora là. (È per questo motivo che devo trovarlo ora finché è ancora vivo). E sempre più spesso da quando gli diamo la caccia laddove ci sembra di vederlo, Miles un batter d’occhio indossa il cappello e scompare
—Khephra Burns
Aura venne composta nel 1984 quando Miles Davis ricevette il Sonning Music Prize; Essa è l’omaggio che gli volli fare. Chiamai l’opera Aura perché volevo proiettare l’impressione di un’immagine che riflettesse l’alone musicale di Miles. Egli mi disse: "Credo che tu mi stia seguendo". È vero. Sin dalla prima volta in cui ascoltai "When Lights Are Low" (una rivelazione!), le sue sonorità ed il suo universo musicale hanno acquistato un ruolo importante nella mia vita. Musicalmente, Miles rappresenta per me ciò che lo Zen è per chi crede nella spiritualità. Un grazie va anche a Gil Evans per l’ispirazione che mi ha dato e che dura da una vita. Grazie al mio angelo custode per aver reso possibile tutto ciò.
—Palle Mikkelborg