Da "NEFERTITI" - Miles Davis -

 

Con Nefertiti, il quarto e ultimo disco completamente acustico, realizzato in studio con il famoso Miles Davis Quintet, quello che va dalla metà alla fine degli anni sessanta, Miles Davis stava ufficializzando il suo successo. Ciò che seguì vide il graduale dissolversi e il definitivo smantellamento di tutto ciò che Miles aveva suonato fino a quel momento, vale a dire lo swing e il genere del bebop. Con l’introduzione di strumenti elettrici in Miles In The Sky (il disco che seguì a Nefertiti), ritmi rock e funk presero infine il posto del gruppo in via di separazione, formato da Max, Philly, Joe e Tony. Col tempo, la raffinata fantasia armonica - grazie alla trasformazione della melodia - cedette al modello della canzone pop degli anni Ottanta e Novanta, sebbene rimanendo orientata verso la composizione jazz. Nefertiti ci offre una vaga idea di ciò che sarebbe dovuto venire.

Registrato nel 1967, Nefertiti si rivelò come l’ultimo album di Miles concettualmente orientato verso il "jazz". Naturalmente, è così se lo intendiamo come "l’ultima fermata" del jazz, prima del post-bop degli anni Sessanta. La discendenza dal ragtime e da ciò che l’ha seguito, tende ad essere un po’ disordinata una volta che iniziamo ad ascoltare non solo la musica di Cecil Taylor, Ornette Coleman, e del recente John Coltrane, ma anche le influenze rock, funk, e gli influssi del Terzo Mondo. Ogni membro del Quintet li stava percependo, e in alcuni casi stava partecipando ai cambiamenti in atto nel panorama musicale.

In questi casi generalmente c’è fermento. Anche la vivace perla "Fall", dà l’impressione di una pervasione non solo di un senso di melanconia, ma anche di una certa insofferenza (gli assoli sono brevi, il delizioso refrain di sette note serve per far proseguire il brano con dolcezza). E "Fall" è unica, come se fosse stata registrata anni prima, grazie a strutture più tradizionalmente melodiche e armoniche, per non parlare poi dello slancio. L’equilibrio dei pezzi incisi nell’album, presenta sviluppi imprevisti e orientamenti che invitano l’ascoltatore a riconoscere che il contrasto con il jazz tradizionale, che si ha avuto l’occasione di notare nelle prime incisioni come "Limbo" e "Masqualero", è ora una costante. Più che mai, la propensione di Miles per il cambiamento, lo ha spinto ai limiti delle sue riconosciute capacità nel jazz.

Prendete, per esempio, il brano che dà il titolo al disco. Il diffondersi del sentimento che trasmette è un’eccitazione che si miscela al tormento. Ormai, l’enorme contributo di Wayne Shorter come compositore al corpus di Miles, non può essere ignorato. Con quell’aggressivo massaggio della magnifica melodia di Shorter, "Nefertiti" è già un’altra opera significativa. Con le variazioni e gli stravolgimenti che vennero riproposti con meno successo in "Stuff" un anno dopo, "Nefertiti" diede la possibilità a Williams di perfezionare con la sua melodia, il pezzo. Lo stile del brano, che qui appare più rilassato, rivela un Miles Davis che amoreggia con la melodia.

Per quanto riguarda la struttura del brano, la rielaborazione di "Riot" fatta da Miles, risulta essere un chiaro esempio della sua abilità nel saper concettualizzare una composizione e, secondo le parole di Herbie di "capirne l’essenza, e rivisitandola, aumentarne la portata". Paragonata alla versione di Herbie su questo album, "Speak Like A Child", la cover di "Nefertiti" appare meno tranquilla, più esplosiva e più coerente con l’apparente significato del titolo. Invece, sia "Riot" che "Pinocchio", variano con velocità, e allo stesso modo sussurrano i loro indimenticabili motivi nel tentativo di resistere a questo inevitabile ultimo periodo.

Nefertiti è una raccolta di brani che sono il risultato della collaborazione degli elementi del gruppo e del particolare sound di Miles Davis. L’"inquietudine" di questa band, era completamente dovuta alla rottura dei ritmi tradizionali, alla successione delle battute e alle armonie tipiche del bebop, come pure al coinvolgimento di frammenti melodici senza limiti di tempo, di raffinatezze ritmiche che raramente si ha avuto l’occasione di ascoltare prima d’ora. Ma per giungere al nocciolo della questione, Nefertiti rappresenta un significativo punto di mezzo dove la crescita di Miles come musicista jazz, aveva raggiunto il limite di rottura tra il suo florido passato musicale, e la fase presente e futura che abbiamo conosciuto.

In un certo senso, questa musica è l’apice, la sintesi finale di tutto ciò che è venuto prima. E non solo; mira a una visione esteriore, e lo fa anche rifuggendo gli schemi tradizionali.

Si, i tempi stavano cambiando. Mr. Davis e soci ebbero in ciò la loro parte.

¾ John Ephland

 

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