Non è semplice capire le ragioni per le quali un protagonista assoluto della fotografia italiana come Franco Pinna (La Maddalena, SS, 1925 - Roma, 1978) abbia dovuto attendere quasi vent'anni per ottenere il riconoscimento di una grande mostra monografica che ne comprendesse l'arco dell'intera carriera. Malgrado le note esperienze di Pinna nell'ambito della fotografia etnografica (le celebri indagini degli anni Cinquanta nel Meridione d'Italia al seguito di Ernesto De Martino, 1952-1959; i fotolibri La Sila, 1959 e Sardegna, una civiltà di pietra, 1961), le straordinarie immagini di Roma negli anni 1952-1967, in lacerante contraddizione tra miseria e sfarzo effimero, modernità e provincialismo, consumismo di massa e jet-set, le fotografie di scena dei film di Federico Fellini (da Giulietta degli spiriti, 1965, fino a Casanova, 1976), i vari réportages per riviste quali "Life", "Stern", "Sunday Times", "Vogue", "Paris Match", "Epoca", "L'Espresso" e "Panorama", realizzati anche in giro per Russia, Scozia, Siria, Cina, Albania, Israele, Australia, godano ormai di fama universale e di unanime reputazione, troppo raramente l'attività del sardo ha raccolto un'adeguata attenzione non solo presso il grande pubblico, ma anche presso gli specialisti del settore.
 
 
percorso mostra
 
 
 
cronologia
 
 É una constatazione che sorprende, dal momento che l'opera di Pinna non ha certo perduto nel frattempo niente dell'originario valore. Al contrario, il tempo sembra aver consolidato in maniera perentoria le qualità di una molteplice produzione fotogiornalistica che, come poche altre in Italia, si presta a diversi registri di valutazione. C'è innanzitutto l'attività del reporter, cronaca vibrante di un mondo in caotica evoluzione che si è già fatta storia, ma anche la spietata analisi sociale e di costume, la denuncia civile come sintomo di disagio personale anche quando veste i panni del documento scientifico; c'è ancora, senza affatto contraddire la dichiarata vena realistica dell'autore, una sottile ricerca formale che non viene mai meno, che sa alternare liberamente la poetica dell'istante cara a Cartier-Bresson con le pose lunghe, le inquadrature ribassate con quelle dall'alto, le immagini isolate e le sequenze paracinematografiche, sempre in linea con una cura meticolosa nella resa di toni, dettagli ed equilibri compositivi. In realtà Pinna ha interpretato il fotogiornalismo in un rapporto integrale con la vita, senza concepire settorialismi o etichette di mercato buone solo per gli studiosi più conformisti. Pinna non è antropologo, non è "paparazzo", non è militante politico, non è fotografo di scena, pur essendo in fondo ognuna di queste cose. Egli è piuttosto un fotografo a tutto campo cui l'apparecchio meccanico è servito come strumento di riflessione, indispensabile per carpire e per bloccare l'essenza di una realtà fuggevole nella sua contrastante varietà. L'obiettivo è allora l'appendice naturale di un occhio curiosissimo che si ostina a cercare nella forma degli avvenimenti un significato, una storia, il bandolo di una verità della quale il fotografo si impegna ad essere il testimone. 
  
La prima mostra antologica dedicata a Franco Pinna, frutto di un'accurata ricerca condotta da Giuseppe Pinna (nessuna parentela con il fotografo) per conto dell'Istituto di Studi Scientifici sul Fotogiornalismo/Archivio Franco Pinna, ha l'ambizione di voler essere un avvenimento che contribuisca alla riscoperta di una personalità artistica di indubitabile spessore. Gli esiti critici dello studio, fondato sulla base di una capillare ricognizione filologica che ha preso in considerazione oltre 250.000 tra materiali fotografici, bibliografici ed archivistici, hanno ricostruito un'immagine finalmente attendibile dell'attività fotogiornalistica di Pinna, verificandone nel contempo la levatura nazionale ed internazionale. Oltre ad inquadrare più dettagliatamente la produzione meglio conosciuta del fotografo sardo, la ricerca è riuscita a far emergere aspetti inediti in merito alle suggestioni culturali (l'amicizia con Franco Cagnetta, pioniere della scienza e della fotografia antropologica in Italia) e agli interessi tecnico-formali che interessarono Pinna, quali ad esempio la precoce specializzazione nel colore, nel modulo del fotodocumentario e nell'uso di formati speciali come il panoramico, per il quale si rivela probabilmente come il maggior specialista nazionale.  
Presentata nel maggio 1996 a Napoli e in seguito ospitata a Cagliari (1997), la mostra viene ora allestita in una versione "virtuale", nel ventennale della scomparsa di Franco Pinna, per inaugurare l'attività di Pressphotoitalia/Galleryonline© .  
Una ridotta selezione della mostra (circa 40 immagini) è stata esposta nel novembre 1998 all'interno di Paris Photo.  
 
 I materiali 
 
I materiali fotografici in mostra (oltre 200, in bianco/nero e a colori), ricavati da un'accurata selezione che ha considerato poco meno di 250.000 immagini, sono nella stragrande maggioranza inediti e provengono quasi totalmente dall'archivio Pinna di Roma, oltre che dagli archivi delle riviste "Noi Donne", "Vie Nuove", "Epoca" e del Servizio Turistico della Provincia di Bologna.
 
Vietato rubare
Pubblicazioni che impiegano abusivamente il suo nome e le sue fotografie, premi intitolati alla sua memoria senza nessuna autorizzazione da parte dei familiari, millantatori di lavori scientifici sul suo conto che sono invece di mano altrui: il nome di Franco Pinna, specialmente negli ultimi tempi, continua ad essere oggetto di atti "pirateschi", compiuti da personaggi senza troppi scrupoli, che non hanno certo contribuito ad onorarne degnamente il ricordo. Come titolare dei diritti sull'opera e sull'adeguata memoria di mio marito, compito per il quale non credo di avere demeritato, sento il dovere di dire basta: vietato rubare ancora, vietato utilizzare fraudolentemente le immagini di Franco Pinna, vietato speculare sul suo nome per assecondare interessi personali. Difenderò con ogni mezzo legale i miei diritti da chiunque intenda oltraggiarli. 
ANNAMARIA GRECI PINNA
 
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