I. Evoluzione storica della teoria conciliare

I.1. Il Grande Scisma d'Occidente

Tra il 1378 e il 1417 il governo della Chiesa entrò in crisi con il Grande Scisma d'Occidente. Esso si inserisce nel quadro della lotta tra papato e Francia che portò allo spostamento della sede papale ad Avignone ed alla sorveglianza del re di Francia sulle rendite pontificie, che ammontavano a circa il triplo di quelle della stessa corte francese.
La crisi esplose poco dopo la morte dell'ultimo papa avignonese, Gregorio XI (Pierre Roger de Beaufort). Il successore, Urbano VI (Bartolomeo Prignano), fu eletto nel conclave del 7-8 aprile 1378, in cui sicuramente la volontà dei cardinali venne forzata da quella del popolo romano, che pretendeva l'elezione di un papa italiano. Nel frattempo, il 13 settembre 1378, i cardinali francesi elessero a Fondi, presso Latina, con il sostegno del re di Francia e di Giovanna I d'Angiò, regina di Napoli, un nuovo papa, Clemente VII (Roberto conte di Ginevra), protestando che la prima elezione doveva ritenersi nulla perché compiuta sotto la violenza.
Dopo varie questioni l'11 novembre 1417 venne eletto papa Martino V (Oddone Colonna), che riportò la sede a Roma e restituì l'unità alla Chiesa.
Il Grande Scisma d'Occidente non nasce per ragioni dogmatiche o per motivi che comunque riguardino la spiritualità cristiana, ma per problemi di potere che videro affrontarsi obbedienze opposte (quella clementina e quella urbanista) dietro alle quali si schierarono i vari Stati europei.
Il Grande Scisma d'Occidente ebbe immediate ripercussioni a livello sociale, sollevando un profondo malessere che era latente da tempo, e mise all'ordine del giorno il problema di una vera riforma; fu durante la guerra tra Bonifacio VIII (Benedetto Caetani) e Filippo il Bello che iniziò ad essere affrontato con decisione il problema della posizione del Papa all'interno della Chiesa, posizione fino a quel momento praticamente incontrastata, e cominciò ad affermarsi il principio che il concilio ecumenico, che rappresenta l'intera Chiesa, fosse superiore al Pontefice e potesse addirittura deporlo nel caso in cui il Papa usasse la sua autorità in modo improprio.

I.2. La teoria conciliare

Il Grande Scisma d'Occidente pose dunque le condizioni per l'evoluzione di quella che venne poi chiamata teoria conciliare o "conciliarismo". La spaccatura della cristianità in due obbedienze, ciascuna delle quali riconosceva un Pontefice, creò il problema della ricostituzione dell'unità cattolica; la soluzione di questo problema venne identificata nell'incaricare al concilio la composizione dello scisma.
«Il nocciolo della teoria conciliare - come la si è chiamata con espressione non del tutto esatta - può riassumersi nelle seguenti brevi proposizioni: solo attraverso una decisione del concilio ecumenico può venir eliminata la triste situazione nella quale è caduta la Chiesa a causa dello scisma, e la sola via che può condurre ad una vera riforma implica la limitazione del potere papale da parte del concilio ecumenico. Un simile programma significava né più né meno che la distruzione della costituzione ecclesiastica monarchica [...]
Tutti i conciliaristi dell'epoca dello scisma hanno in comune la dottrina che la Chiesa universale, intesa quale comunità di tutti i credenti in Cristo, è la portatrice suprema e più alta dell'autorità ecclesiastica e in certi casi esercita questa autorità per mezzo della sua rappresentanza, cioè del concilio ecumenico [...]
Ne consegue che secondo la teoria conciliare la suprema e più alta autorità spirituale non sta nel Papa, ma nella Chiesa universale, la quale per mezzo del concilio ecumenico può esercitare tale autorità anche sullo stesso Papa, quando questi senza sua colpa vien meno al suo compito oppure abusa colpevolmente del suo potere di pastore. Il concilio ecumenico è al di sopra del Papa, in quanto esso rappresenta l'ultima istanza di controllo di tutta la vita della Chiesa e come tale regola questa vita e vigila anche sulla funzionalità del papato»1.
Esaminiamo ora alcuni autori che, in qualche modo, fanno proprio il principio che il concilio ecumenico, in quanto rappresentante tutta la Chiesa, sia superiore al Papa.

I.3. Uguccione da Pisa

Chiamato anche Uguccio da Bologna, fu maestro di Lotario de' Conti, il futuro papa Innocenzo III. Uguccione riteneva che il Papa potesse errare in quanto persona, la Chiesa no. In questo modo per Uguccione la Chiesa è prima di tutto come la Chiesa romana, ma anche la Chiesa universale, definita come l'insieme dei fedeli.
La domanda è: chi verifica se un Papa erra in materia di fede? La risposta più intuitiva sembrerebbe: il concilio, in quanto rappresentante di tutta la Chiesa. Tuttavia Uguccione non va oltre, cercando di non conferire al concilio un potere di giudizio nei confronti del Papa; il concilio potrebbe al massimo riscontrare l'errore, e conseguentemente il Papa in errore ipso facto non sarebbe più Papa.
Si tentò di superare questo inconveniente sostenendo che nelle provvedimenti in materia di fede il parere dei vescovi è vincolante per il Papa; dopo aver acquisito questo parere nel concilio, che rappresenta tutta la Chiesa, il Papa detiene l'infallibilità. Per questa attività collettiva di Papa e concilio vale la massima: il concilio (col Papa) è superiore al Papa (da solo)2.

I.4. William of Occam

Per Occam la Chiesa era la totalità dei veri credenti3. Nei suoi numerosi lavori analizzò innumerevoli alternative da ogni campo di pensiero - dottrinale, storico, legale, politico. Le sue conclusioni non furono sempre ben definite, ma i suoi trattati furono al vetriolo contro l'assolutismo papale4.
Occam sostiene, tra l'altro, un diritto di disobbedienza ai decreti papali che siano contrari alla legge divina e naturale, che contengano errori intollerabili o che siano estranei alla giurisdizione papale5.

I.5. Jean Quidort de Paris

Jean de Paris (Giovanni di Parigi) si interessò principalmente della difesa dei diritti secolari dal controllo ecclesiastico, ma incidentalmente si oppose agli argomenti a favore di un illimitato potere papale entro la Chiesa: nella Chiesa il potere non si trova esclusivamente nel capo, ma si allarga fino alle membra. Per mezzo della scelta compiuta dai cardinali, le membra hanno dato i loro diritti al Papa; sarebbe tuttavia possibile revocare la delega al Papa nel caso in cui egli errasse nella fede o abusasse del suo potere a scapito della Chiesa6.
Egli descrisse la Chiesa come una monarchia mista, e dichiarò che il potere dei prelati derivava da Dio e dai fedeli, asserendo che solo il concilio poteva decidere in materia di fede e che il concilio - o i cardinali - potevano deporre il Papa. Il suo trattato, De potestate regia et papali, sebbene non presenti una vera e propria teoria conciliare, influenzò il pensiero conciliarista successivo, specialmente quello della scuola parigina moderata7.

I.6. Marsilio da Padova

Una posizione più radicale fu presa da Marsilio da Padova, il quale non solo negava che il clero avesse qualche potere di censura («coercive jurisdiction»), ma negava anche l'istituzione divina del primato papale e applicò drasticamente al governo della Chiesa la sua concezione dell'intera universitas come luogo originale dell'autorità8.
Il piano di Marsilio per il governo della Chiesa, che troviamo nel Defensor Pacis9, è un'applicazione di due princìpi fondamentali: che l'intera comunità dei credenti sia la sola detentrice dell'autorità nella Chiesa e che in uno stato cristiano la comunità dei credenti sia identica con la comunità dei cittadini che ha creato il "legislatore" originario. E quindi un concilio che rappresenti la totalità dei cristiani sarebbe la massima autorità nella definizione e nella prescrizione di questioni di fede; e il governo secolare, che agisce in nome e per conto del "legislatore" cristiano, e il cui potere deriva dalla sua autorità, può opportunamente convocare il concilio e, se necessario, dare forza coercitiva alle sue decisioni.
Entro questo quadro generale, il vescovo di Roma trova posto nel sistema di Marsilio come il capo amministrativo e giudiziario dell'organizzazione religiosa, con la premessa che la sua istituzione ed autorità dipende interamente dalla suprema autorità della comunità dei credenti.

I.7. Heinrich von Langenstein e Conrad Gelnhausen

Heinrich von Langenstein e Conrad Gelnhausen non erano dei teologi innovatori, ma abbastanza tradizionalisti; essi ricordavano che nei concili del basso Medioevo, (Lateranensi, 1123-1215; Lione, 1245-1274, Vienne, 1311-1312), di fatto era stato rappresentato tutto il mondo cristiano, ecclesiastici e laici, e dunque loro ritennero che i concili ecumenici avessero la rappresentanza totale della Chiesa universale.
Come teologi essi sapevano benissimo che pure la dottrina della Curia riconosce l'esistenza di un caso nel quale il Papa possa perdere il suo potere e la sua autorità, e ciò si verifica appunto quando egli cada in eresia: in un caso del genere è di competenza del concilio formulare un giudizio sul Papa, oppure soltanto riscontrare l'eresia mediante una dichiarazione pubblica10.
In particolare nel 1379 Heinrich von Langenstein, con l'Epistola pacis, spera che il prossimo concilio (di Costanza) sia rimedio allo scisma e alla corruzione della Chiesa. Con la successiva Epistula concilii pacis (1381) assegna al concilio convocato per l'unione anche il còmpito di riformare la Chiesa11.

I.8. Nicolas de Clémanges

Nel 1393 l'Università di Parigi, in un memoriale scritto in suo nome da Nicolas de Clémanges per il re Carlo VI di Francia, fa propria la soluzione del concilio nel caso in cui non si riesca a raggiungere l'abdicazione volontaria dei due papi o la loro sottomissione ad un collegio arbitrale12.

I.9. Guglielmo Durante il Giovane

Guglielmo Durante (o Durando) il Giovane, nel suo trattato sul modo di tenere un concilio generale, De modo generalis Concilii tenendi, fa qualche importante riflessione sul dovere, da parte dei governanti, sia temporali sia spirituali, di sottostare alla legge, e afferma inoltre che il Papa non dovrebbe legiferare senza l'assenso dei cardinali, così come né i re né prìncipi dovrebbero legiferare senza l'assenso dei probi, perché ciò che riguarda tutti dovrebbe essere sottoscritto da tutti13.

I.10. Pierre d'Ailly

L'Università di Parigi, sotto la guida di Pierre d'Ailly e di Jean Gerson, divenne il centro del pensiero conciliare.
Pierre d'Ailly, arcivescovo di Cambray, teorizza energicamente la supremazia del concilio ed il diritto dello stesso concilio a rappresentare la massima guida della Chiesa14. D'Ailly vede la Chiesa come corpus mysticum; l'autorità dei vescovi discende direttamente da Cristo e non dal Papa.
È vero che la Chiesa deriva la sua autorità da Dio, ma secondariamente la riceve dal concilio15. Perciò è legittimo appellarsi al concilio contro il Papa, che può errare e perfino cadere nell'eresia, perché solo la Chiesa universale è infallibile16.

I.11. Jean le Charlier de Gerson

Per Gerson la Chiesa è la totalità del clero17. Gerson mantiene l'istituzione divina del papato e di tutti gli uffici ecclesiastici, ma sottolinea che, mentre l'autorità dell'ufficio deriva direttamente da Cristo, la mediazione umana controlla la scelta del detentore dell'ufficio e regola l'esercizio e l'uso del potere. Molti poteri esercitati dal Papa non sono inerenti all'ufficio, ma, continua Gerson, sono assegnati ad esso dalla Chiesa per una maggiore convenienza18. Gerson suggerisce che le aree entro le quali dovrebbe essere esercitata l'autorità siano stabilite da un concilio generale, e che, in ogni caso, sia da escludere una delega al Papa19.
Tutti i membri della Chiesa devono ubbidire al concilio ecumenico, compreso il Papa. Il concilio non ha la facoltà di abolire i poteri del Papa, ma è tuttavia in grado di limitarli quando lo esiga il bene della Chiesa. Il vincolo di Cristo con la sua Chiesa è inscindibile, ma non quello del Papa con essa20.


1. Hubert Jedin, Geschichte des Konzils von Trient, 4 Bände, Bonn, 1949; in it. Storia del concilio di Trento. La lotta per il Concilio, trad. di Clara Valente, 4 voll., Brescia, Morcelliana, 1949, I 16-7.
2. H. Jedin, Kleine Konziliengeschichte Mit einem Bericht über das Zweite Vatikanische Konzil, 8ª ed., Freiburg i. Br., Verlag-Herder, 1978; in it. Breve storia dei concili. I ventuno concili ecumenici nel quadro della storia della Chiesa, trad. di Nerina Beduschi, 5ª ed. aggiornata, Roma-Brescia, Herder-Morcelliana, 1978, p. 97.
3. Ewart Lewis, Medieval political ideas, 2 vols., London, Routledge & Kegan Paul Ltd., 1954, p. 208.
4. Ivi, p. 369.
5. Ivi, p. 371.
6. H. Jedin, Breve storia dei concili, p. 96.
7. E. Lewis, Medieval political ideas, p. 368.
8. Ivi, p. 391.
9. Sulla paternità del Defensor pacis si veda Charles Howard McIlwain, The Growth of Political Thought in the West, New York (NY), Macmillan Company; in it. Il pensiero politico occidentale dai Greci al tardo Medioevo, a cura di Giovanni Ferrara, 1ª ed., Venezia, Neri Pozza (Studi Politici 6), 1959, p. 365.
10. H. Jedin, Storia del concilio di Trento, I 16.
11. Ivi, I 17.
12. H. Jedin, Breve storia dei concili, p. 99.
13. Robert W. & Alexander J. Carlyle, A History of Mediaeval Political Theory in the West, 2nd impression, 6 vols., Edinburgh and London, W. Blackwood & Sons Ltd., 1950, vol. VI (1936); in it. Il pensiero politico medievale, a cura di Luigi Firpo, trad. di Vittorio Radicati, 4 voll., Bari, Laterza (Collezione storica), 1968, IV 28.
14. Cesare Vasoli, «La cultura filosofica dei grandi centri scolastici: da Pietro d'Ailly a Paolo Veneto e Niccolò Cusano», in Storia della filosofia, Milano, Vallardi, 1975, VII 61.
15. E. Lewis, Medieval political ideas, p. 370.
16. Georges Bourgin, «Ailly, Pietro di», in Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti, Roma, Treccani (I.P.Z.S.), 1949.
17. E. Lewis, Medieval political ideas, p. 208.
18. Ivi, p. 370.
19. Ivi, p. 370-1.
20. H. Jedin, Breve storia dei concili, p. 104.

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