III. La concezione cusaniana della Chiesa

III.1. Le premesse teoriche

L'iniziale visione del mondo di Cusano è attinta a piene mani dalla tradizione neoplatonica di Plotino e di Proclo, ma soprattutto da quella dello pseudo-Dionigi Aeropagita (autore della Gerarchia ecclesiastica e della Gerarchia celeste).
Quest'universo 'dionisiano-cusaniano' ha sicuramente una struttura gerarchica: parte dal grado supremo (Dio), e, grazie ad una serie di mediazioni, giunge fino alla materia, faex elementorum1. Da Dio derivano tutte le cose quali sue immagini, e tutte le creature partecipano del suo essere in modo decrescente, in misura proporzionale alla loro natura individuale, et sic ultimum illius ordinis in umbra terminatur2. E tuttavia la partecipazione di Dio non è diretta: infatti i gradi superiori (che ricevono il principio vitale direttamente da Dio) ne partecipano ai gradi inferiori; sicché ogni grado è allo stesso tempo portatore e ricevitore di vita, illuminatur et illuminat3. Per mezzo di questa serie ininterrotta l'Infinito arriva al finito, Dio arriva a tutte le cose, tutte le cose sono pienamente inserite in quest'ordine divino, e sono unite a Dio per mezzo di un'unità (concordantia), che però è anche un'immagine della trinità: Trinitatis figuram gestant cuncta creata (DCC, I, 2).
La base di partenza per Cusano è proprio questa; su di essa costruisce una riproduzione perfetta dell'ordinamento ecclesiastico.

III.2.1. La Chiesa: L'aspetto mistico-teologico

Cusano inizia il De concordantia catholica descrivendo che cosa sia la Chiesa.
L'ecclesia è variamente intesa da Cusano. La Chiesa è l'unione di angeli e uomini con Dio: ecclesia radicali consideratione4; è anche Chiesa angelica (angelica), dormiente (dormiens), militante (militans), pellegrinante (in linea peregrinantium), trionfante (triumphantem), ma soprattutto è una congregatio fidelium, cioè l'unione di tutti i credenti in Cristo.
Questa relazione che intercorre tra Cristo e la Chiesa viene così spiegata da Cusano: ecclesia universalis est corpus Christi mysticum5, ricordando anche che ecclesia ut sponsa fidelis consideratur6, dove naturalmente lo sposo è Cristo.
La Chiesa così considerata si storicizza, trasformandosi in ecclesia catholica universalis, cui appartengono tutti gli uomini, non soltanto i fedeli o i non peccatori; anzi, sebbene accolga anche i peccatori, è l'unione con Cristo che rende santa questa Chiesa, e la trasforma in un'istituzione che si avvicina molto al modello sovraterreno.
Cusano distingue attentamente tra ecclesia catholica ed ecclesia romana. La prima è la Chiesa universale, la seconda è la Chiesa particolare di Roma, chiamata anche sede apostolica, con la quale intende a volte il Papa, a volte l'episcopato romano (con il suo sinodo), a volte il patriarcato romano (con il relativo sinodo patriarcale). Solo la Chiesa universale è infallibile (unde cum dicitur Romanam ecclesiam numquam errare posse, hoc est verum de tota universali de ultimo modo capta7), mentre alla sede romana Cusano non riconosce un'infallibilità derivata da una particolare posizione del suo vescovo.

III.2.2. La Chiesa: L'aspetto giuridico-istituzionale

L'aspetto che più interessa Cusano nel momento in cui scrive il De concordantia catholica è proprio quello giuridico ed istituzionale della stessa Chiesa: unde erit prima consideratio de toto composito, scilicet ipsa ecclesia. Secunda de anima ipsius, scilicet sacratissimo sacerdotio. Tertia de corpore, scilicet sacro imperio8.
Ed infatti nel primo libro del De concordantia catholica la ricerca di Cusano è basata sulla struttura di tutta l'unionem fidelis populi, che si chiama appunto Chiesa cattolica, poi sul sacerdozio, anima ipsius, e infine sul Sacro Impero, corpore politico di essa.
La Chiesa militante è costituita da tre elementi fondamentali: i sacramenti (Primo [...] sacramentorum connexio), il sacerdozio (Secundo [...] sanctum sacerdotium) ed i fedeli (Tertio [...] homines fideles). Questi tre elementi hanno specifiche caratteristiche: et sunt sacramenta illuminantia et purgantia. Est sacerdotium pastorale purgatum et purgans. Est fidelis populus, qui purgatur et non purgat [...]9.
E fra questi ordini, una maggiore preminenza ha il sacerdozio, elemento di connessione tra i sacramenti e i fedeli; ad esso convenit virtus regitiva, vivificativa et illuminativa10.
Il sacerdozio possiede comunque una struttura gerarchica, dal momento che esiste una certa differenza gradualis nella funzione di governo.
Cusano infine affronta l'argomento della riforma della Chiesa: quod maior deformatio oritur ex deformatione capitis et ex hoc, quod superiores inferiorum potestatem usurpant [...]; et quod maxima deformitas oritur ex hoc, quod praelati tantum saecularibus curis invigilant [...]; quod magna sit deformitas, quod correctio et visitatio vertitur in quaestum11.
Tutto ciò, per Cusano, fa dimenticare quale sia il fine ultimo della Chiesa; ed è con questa inquietudine che Cusano critica la "donazione di Costantino".
Si tratta di un presunto documento diretto a papa Silvestro, con il quale Costantino avrebbe definito le dignità ecclesiastiche e i beni temporali della Chiesa. L'autenticità del documento, che si colloca tra il VII e il IX secolo, fu impugnata da Cusano e, autonomamente, da Lorenzo Valla.
Così il problema è affrontato da Cusano: hanc radicem quoad potui investigavi, presupponens hoc etiam indubitatum esse Constantinum donationem facere potuisse [...] Sed in veritate supra modum admiror, si res ita est, eo quod in autenticis libris et in historiis approbatis non invenitur [...] et nullam invenio concordatiam ad ea quae de illa donatione leguntur [...] Sunt meo iudicio illa de Constantino apocryfa12.

III.3. Il sacerdozio

Anche se il sacerdozio svolge molte funzioni, ed è diviso in numerosi ordini, esso, rispetto a Dio, è unico e indiviso: per mezzo di esso si trasmette la vita soprannaturale di Cristo13.
Ora, poiché totum sacerdotium est ut anima uno in corpore uno fidelium14, ne consegue che il potere il potere di governare la Chiesa risieda essenzialmente nella figura dell'episcopus, visto come espressione delle supremae hierarchiae15, il più alto grado delle quali coincide con Cristo. Allora la Chiesa è costituita dall'insieme dei fedeli con il vescovo, unde scire debes episcopum esse in ecclesia et ecclesiam in episcopo16.
Tuttavia, e qui si inizia a cogliere appieno il senso e la portata del De concordantia catholica, tutti i vescovi hanno ricevuto direttamente da Cristo il precetto apostolico di "amministrare" se stessi ed il gregge, norma con la quale lo Spirito Santo li ha posti a governare l'intera Chiesa (DCC, II, 13). Da ciò17 deriva che tutti i vescovi hanno lo stesso potere di giurisdizione e di ordine esattamente come gli apostoli; anzi, aggiunge Cusano, secundum Augustinum successores Petri in eadem cathedra sedent; ergo privilegium cathedrae aequale tunc et nunc18. Date queste premesse ne consegue che essi vanno visti come una "corporazione", un organo collegiale direttivo della Chiesa: patet omnes episcopos, et forte etiam presbyteros, aequalis potestatis esse quoad iurisdictionem19.
E non si pensi che questo sia un caso isolato, all'interno della concordantia catholica; un passo assai più grave, dal momento che pare essere in conflitto con l'essenza divina della gerarchia si trova poco dopo: omnes episcopi unius sunt potestatis, et dignitates quae supra sunt, scilicet archiepiscopalis, patriarchalis et papalis, sunt administrationis20.
Secondo Felice Battaglia, Cusano «sembra [...] fare del papato e di tutti i gradi episcopali un umano istituto. Ma si pensi che innanzi tutto l'umanità [sic] è limitata all'«administratio» [...] In ogni modo è onesto riconoscere una certa oscillanza nel pensiero cusiniano»21.
Malgrado questa schematizzata caratterizzazione amministrativa e la forte conservazione dell'autonomia del potere di tutti i vescovi, Cusano evidenzia in continuazione la concordia del complesso dei vescovi e della cattedra, che è conservata ancora una volta dalla reciproca unità. La condizione del Papa per cui goda di certi privilegi praticamente senza obblighi corrispondenti ha soltanto la funzione di rappresentare esteriormente l'unità, di impersonare l'episcopato e la Chiesa universale, (come un portavoce, lo definisce Gaia)22 e di evitare i pericoli di scismi: et quoniam haec praesidentia a Christo capite est propter vitare scisma et pacem fidelium et unitatem conservandam instituta, tunc habet suam graduationem ad instar dominiorum temporalium figurative23.

III.4. Il primato del Papa

Nonostante queste premesse Cusano afferma il primato del Papa (primato che, tra l'altro, veniva già affermato dal concilio di Basilea). Dopo averlo definito come una presidenza meramente amministrativa (concetto che Cusano amplierà nel De auctoritate praesidendi in concilio generali) ne esamina l'origine storica e lo limita nel suo esercizio.
Il fatto che il Pontefice sia visto come successore di Pietro si comprende meglio osservando la Bibbia, e cioè nell'analisi della stessa posizione di Pietro e, storicamente, dal confronto con la chiesa romana delle origini. Infatti la posizione di Pietro tra gli apostoli era quella di un primus inter pares; tutti gli apostoli avevano essenzialmente uguale onore, dignità e potere (scimus quod Petrus nihil plus potestatis a Christo recipit aliis apostolis24), ma Pietro, per incarico di Cristo e per consenso degli apostoli, e data anche la sua età avanzata, divenne capo degli apostoli.
Quindi questo primato non è stato un esclusivo primato di potere, dal momento che anche tutti gli altri apostoli ebbero da Cristo la stessa missione e lo stesso "potere delle chiavi". Infatti le parole di Cristo a Pietro non sono rivolte a lui come individuo (Nihil enim dictum est ad Petrum quod etiam aliis siae25), ma come rappresentante dell'intera Chiesa.
Cusano riferisce e commenta il pensiero di Agostino secondo cui nello stesso nome di Pietro è raffigurata la Chiesa: in Petri nomine figurata est ecclesia26, il cui autentico principio è Cristo.
Esiste conseguentemente una sola cathedra Petri, che è «la stessa unità dell'episcopato nel suo potere di governo, e non il primato magisteriale del Papa romano»27. A causa di questa singolarità della cattedra tutti i vescovi sono successori di Pietro, e ciò è appunto esaminato non soltanto teologicamente, ma anche storicamente.
Dal momento che il Pontefice è il successore di Pietro, egli è pure il principe dei vescovi, cosi come Pietro era il principe degli apostoli, ed ha l'identico compito di mezzo di concordia e di simbolo della Chiesa universale.
Dopo avere determinato l'esistenza di questo primato, Cusano si preoccupa di definirne la natura e di determinare i limiti del potere pontificio, seguendo le indicazioni del conciliarismo cattolico. Il fondamento basilare è il seguente: Papa non est universalis episcopus, sed super alios primus28; vale a dire: il primato papale non è un primato giurisdizionale sull'intera Chiesa, ma unicamente un potere di direzione e controllo per fare in modo che siano attuate le decisioni prese collettivamente e siano conservate la fede e l'unità.
Come Pietro, il Papa gode di vantaggi sugli altri, ma solo nella sua funzione di amministratore per il bene della comunità. Dunque si tratta di una carica onorifica, di un'autorità semplicemente morale che ha inoltre un potere esecutivo ed amministrativo ingrandito. Il Papa è il rappresentante dell'unità della Chiesa in quanto titolare della cattedra più importante.

III.5. Conclusioni

Le ovvie conseguenze cui Cusano perviene, dopo avere così definito il primato del Papa, agiscono nella direzione della restrizione effettiva dei poteri di cui il Pontefice dispone.
Complessivamente possiamo affermare che, dal momento che il Pontefice impersona la Chiesa universale, di cui è componente oltre che organo, ed all'interno della quale si trova il potere conferitole dallo stesso Cristo, egli è subordinato alla stessa Chiesa, cosi come quest'ultima è subordinata a Cristo.
Analizzando i particolari poteri dei quali il Papa può disporre, Cusano sostiene per prima cosa che il Papa non può decidere nelle controversie in materia di fede. È chiaro che tutti i fedeli devono sottostare alle sue decisioni nel giudizio della fede; tuttavia ciò non nega quanto detto, perchè Cusano definisce il Papa iudex fidei e conferisce solo a lui il giudizio sulla fede, dove per giudizio vuole dire giudizio esclusivamente in senso esplicativo: il Papa ha la possibilità di affermare se un'idea sia in contrasto con la fede poichè è contrapposta alle dottrine decretrate dall'unica cattedra (sicut episcopatus unus, ita una cathedra29; cathedrali unitate30; ma soprattutto est omnium episcoporum unius episcopatus una cathedra, in qua primus sedet Romanus31), cioè da tutto l'episcopato riunito in concilio, cui solo competono le decisioni di fede, e persino il Papa è sottoposto al giudizio di ultimo grado del concilio. E dal momento che il Pontefice è il capo di questa cattedra, egli è anche il rappresentante ed il massimo giudice nel giudizio di fede, è evidente che omnis fidelis papae submittitur32, almeno fino a quando il Papa non professi dottrine basate su interpretazioni in opposizione agli insegnamenti dei Concili e all'opinione comune dei Padri della Chiesa, nel qual caso questi concilio catholicae ecclesiae subest33. Conseguentemente la più alta istanza dogmatica all'interno della Chiesa è formata dal Concilio, ed il Papa deve risolvere le questioni di fede nel suo concilio patriarcale con decisioni prese sulla base dell'accordo unanime dei suoi coepiscopi34.
Inoltre il Papa, quando emette decreti generali, non ha l'esclusiva del potere legislativo, dato che esso appartiene in egual misura al concilio universale. Quando il Pontefice romano emette decreti generali, la loro forza giuridica ha origine dalla loro accettazione (patet radicem canonum quo ad ligandi vigorem consensu existere35), cioè statutorum obligatorialis virtus requirit consensum per usum et acceptationem36; criterio che può ritenersi «valido per tutti i gradi della gerarchia in quel vivo ed organico rapporto tra comunità ed autorità, che è un presupposto sempre operante in Cusano»37. Ecco allora che il Papa non è in grado di modificare i canoni ecclesiastici, visto che egli non li può fissare da solo, ma anzi è lui che deve attenersi per primo, perchè nessuno è superiore ai canoni, e soprattutto non lo è il Papa, che li ha ratificati nei concili38.
Il Papa ha una potestas statuendi all'interno del suo patriarcato di Roma, allo stesso modo degli altri vescovi. E persino in questo caso il Papa non può comportarsi dispoticamente, quasi fosse un sovrano assoluto, ma semplicemente come portavoce della sua chiesa patriarcale; l'organo legittimo della chiesa patriarcale risulta essere il concilio patriarcale, l'autorizzazione del quale è fondamentale: ancora una volta, dunque, la forza vincolante della legge è fondata in radice sul consenso39.
Per ultimo, e come risultato di quanto si è detto, il potere giudiziario del Papa è vincolato dai canoni ai quali è soggetto, ed in base ai quali appunto si esamina se la sua sentenza sia giusta o meno: non posset iudex, si canonum condendorum potestatem per se haberet, unquam argui de iniusta sententia. Sententia enim ius foret, ergo semper iusta40.
Dal momento che il Papa può esercitare funzioni giurisdizionali all'interno della sua circoscrizione, nelle altre provincie la funzione di giudice è esercitata dagli altri vescovi. Siccome i vescovi hanno un potere minore di quello del Papa, quest'ultimo ha la facoltà di ammettere istanze da altre chiese e concili particolari, ma con alcune limitazioni: gli appelli al Pontefice non devono scavalcare le autorità ecclesiastiche competenti; inoltre il Papa, nel giudicare, è superiore ai concili particolari soltanto nei limiti della norma, in essa contenuta, per la quale il Papa può approvare la sentenza del concilio, ma non impugnarla se non attraverso un nuovo sinodo41. Ecco dunque che l'attività amministrativa del Papa dipende moltissimo dal consenso del sinodo, consenso che per Cusano è talmente importante da dedicargli quasi tutto il secondo libro della concordantia catholica.


1. «Feccia degli elementi» (De Concordantia Catholica=DCC, I, 2). Le citazioni in latino sono tratte dall'edizione critica a cura di G. Kallen, in Nicolai de Cusa opera omnia, De concordantia catholica, Lipsiae, Academiae Litterarum Heidelbergensis (Opera omnia), 1940. La traduzione in italiano non sempre è resa letteralmente, per esigenze di maggiore scorrevolezza.
2. «E così l'ultimo grado di quella serie termina nell'ombra» (DCC, I, 2).
3. «Illuminato ed illuminante» (DCC, I, 5).
4. «Chiesa radicalmente considerata» (DCC, I, 5).
5. «La Chiesa universale è il corpo mistico di Cristo» (DCC, I, 6).
6. «La Chiesa viene concepita come una sposa fedele» (DCC, I, 4).
7. «Questo è il senso inteso quando si afferma che la chiesa romana non può mai sbagliare, poiché ciò è vero della Chiesa universale nel suo complesso» (DCC, I, 17).
8. «Quindi dapprima si considererà tutto il composto, cioè la Chiesa stessa, poi l'anima di essa, cioè il sacro sacerdozio, ed infine il corpo, cioè il Sacro Impero» (DCC, praefatio).
9. «I sacramenti sono illuminanti e purificanti. Il sacerdozio pastorale è purificato e purificante. Il popolo fedele è purificato e non purificante» (DCC, I, 6). Secondo P. Gaia (Opere religiose, p. 17) questi tre ordini corrisponderebbero alla Chiesa trionfante. In realtà si tratta di elementi appartenenti esclusivamente alla Chiesa militante (lo afferma espressamente Cusano, al termine del quinto capitolo: Sed haec missa faciamus, ut ad viventium hominum ecclesiam nunc stilum convertamus), anche perchè la Chiesa militante, nella concezione cusaniana della Chiesa, sta all'ultimo posto (est in infimo loco, DCC, I, 5), mentre la chiesa dormiente occupa un posto intermedio e quella trionfante è la parte suprema.
10. «Spetta il potere di governare, vivificare e illuminare» (DCC, I, 6). La citazione nel testo di P. Gaia è leggermente differente da quella dell'edizione critica di G. Kallen (P. Gaia, Opere filosofiche, p. 17 e 110).
11. «La maggior corruzione è quella che deriva dalla corruzione del capo e dal fatto che i superiori usurpano il potere degli inferiori [...]; la massima corruzione deriva dal fatto che i prelati si dedicano soltanto agli affari spirituali [...]; un grande abuso consiste nel fatto che la correzione e la visita pastorale si risolvono in un lucro» (DCC, registrum).
12. «Ho indagato sulle fonti [di quella donazione], presupponendo come indubitato che Costantino abbia potuto fare quella donazione [...] Ma se il fatto fosse vero mi meraviglio che i documenti autentici e le storie ufficiali non lo riportino [...] e non ho trovato nessuna conferma di una tale donazione [...] A mio giudizio gli scritti della donazione di Costantino sono apocrifi» (DCC, III, 2).
13. Questi concetti sono espressi in I, 6. Si noti che Cusano, a proposito di questo sesto capitolo, scrive: «Est singularissimum capitulum» (DCC, registrum).
14. «Il sacerdozio tutto è come un'unica anima nell'unico corpo dei fedeli» (DCC, I, 6).
15. P. Gaia vede il vescovo come supremus hierarca (Opere religiose, p. 18). Probabilmente è più corretto considerare il vescovo come facente parte delle supremae hierarchiae, anche perchè lo stesso Cusano, riferendosi a Cipriano, scrive: «Est enim unus tantum episcopatus, cuisque partem tenet» (DCC, I, 6). [evidenziazione mia].
16. «Per cui si deve capire che il vescovo è nella Chiesa e la Chiesa è nel vescovo» (DCC, I, 6). Anche qui la citazione di P. Gaia (Opere religiose, p. 19) non è la stessa dell'edizione critica di G. Kallen.
17. Vedi nota 24.
18. «Secondo Agostino i successori di Pietro siedono sulla sua stessa cattedra; quindi il privilegio della cattedra è uguale ora come allora» (DCC, I, 15).
19. «È chiaro che tutti i vescovi, anzi forse anche tutti i sacerdoti, hanno uguale potere di giurisdizione» (DCC, II, 13).
20. «Tutti i vescovi sono uguali nel potere, e le dignità superiori a quella vescovile, cioè quella di arcivescovo, patriarca e papa, riguardano solo l'amministrazione» (DCC, II, 13). Naturalmente si tratta dell'amministrazione del potere giurisdizionale; cfr. P. Gaia, Opere religiose, p. 246.
21. Felice Battaglia, «Il pensiero giuridico e politico di Nicolò Cusano», in Rivista di storia del diritto italiano 8 (1935), p. 412, n. 35.
22. P. Gaia, Opere filosofiche, p. 20.
23. «E poichè questa funzione di governo è stata istituita dal capo Cristo per evitare gli scismi e conservare la pace dei fedeli e l'unità della Chiesa, essa deve avere una sua articolazione gerarchica, analoga a quella dei regni temporali» (DCC, I, 6).
24. «Sappiamo che Pietro non ricevette da Cristo poteri maggiori di quelli degli altri apostoli» (DCC, II, 13).
25. «Infatti niente è stato detto a Pietro che non sia stato detto anche agli altri» (DCC, II, 13).
26. DCC, II, 18.
27. P. Gaia, Opere religiose, p. 21.
28. «Il Papa non è vescovo universale, ma primo sugli altri» (DCC, II, 13). La traduzione di P. Gaia (Opere religiose, p. 255) non ricalca molto l'edizione critica. Si vedano anche Giuseppe Rossi, Niccolò di Cusa e la direzione monistica della filosofia nel Rinascimento, Pisa, Spoerri, 1893, p. 26, e F. Battaglia, Il pensiero giuridico e politico di Nicolò Cusano, p. 47.
29. «Come vi è un solo episcopato, così vi è una sola cattedra» (DCC, I, 6).
30. «Unità della cattedra» (DCC, I, 8).
31. «Esiste un'unica cattedra di tutti i vescovi dell'unico episcopato, e su tale cattedra siede per primo il vescovo romano» (DCC, I, 14).
32. «Ogni fedele è soggetto al Papa» (DCC, I, 15).
33. «E' soggetto al concilio della Chiesa cattolica» (DCC, I, 15).
34. Cfr. DCC, II, 7.
35. «È chiaro che la forza vincolante dei canoni è fondata in radice sul consenso» (DCC, II, 13).
36. «La forza vincolante degli statuti richiede il consenso, che si esprime nell'uso e nell'accettazione» (DCC, II, 9).
37. P. Gaia, Opere religiose, p. 24.
38. Cfr. DCC, II, 14.
39. Vedi note 32 e 33.
40. «Se il giudice avesse il potere di fissare personalmente i canoni, non potrebbe mai essere accusato di sentenza ingiusta, in quanto la sua sentenza sarebbe legge e quindi sarebbe sempre giusta» (DCC, II, 14).
41. Cfr. DCC, II, 15.

Ritorna all'indice