VI. Gli influssi del De concordantia catholica sulle dottrine politiche successive

VI.1. Sviluppi contemporanei a Cusano

Con lo scisma, e con la successiva crisi, l'autorità del papato era drammaticamente affievolita. Nel concilio di Costanza i padri conciliari, che avevano usato l'accentramento di Roma come capro espiatorio, cercavano soluzioni ai mali della Chiesa. Furono provvedimenti molto drastici: i decreti Frequens e Haec Sancta frenarono il potere del Papa. Ma di fronte agli altri attacchi sferrati dal concilio di Basilea, Eugenio IV era insorto. E la sua testardaggine nel rifiuto gli fruttò un successo su un'assemblea screditata da pettegolezzi e rumori. Nel 1449, con la resa di Felice V, terminava la seconda fase del contrasto tra conciliaristi e papalisti.
I papi ricavarono un sicuro guadagno dal sollievo causato dal termine dei contrasti. I cristiani erano stufi delle discussioni e delle questioni che erano molto pericolose per l'unità della Chiesa. Da questo punto di vista il grande giubileo del 1450 arrivò al momento opportuno per incoraggiare il Sommo Pontefice1.

VI.2. Sviluppi successivi a Cusano

Già dal 1438, con l'emanazione da parte di Carlo VII della "Prammatica Sanzione", la Francia prese la decisione di tradurre in legge dello stato ben 24 decreti emessi dal concilio di Basilea. La Francia era in conclusione spinta dall'idea di riformare autonomamente la Chiesa. Nel problema riguardante la superiorità del concilio sul Papa i francesi appoggiarono le tesi del concilio di Basilea.
La "Prammatica sanzione" era contemporaneamente una legge statale ed una legge ecclesiastica, e fino a che il re si atteneva ad essa, il clero era assicurato nella sua autonomia finanziaria ed amministrativa; ma se il re iniziava ad accordare qualcosa all'insistenza dei Papi affinché la "Prammatica Sanzione" fosse rimpiazzata da un concordato, allora il clero si richiamava alla forza dei decreti conciliari compresi nella "Sanzione".
L'8 gennaio 1476 Luigi XI, per evitare che Sisto IV sostenesse Carlo il Temerario, duca di Borgogna, comunicò l'imminente convocazione di un concilio generale a Lione, riferendosi al decreto Frequens. Come ordine del giorno della riunione furono posti i seguenti problemi: la guerra contro i turchi, lo scisma boemo, la riforma della Chiesa. Il cardinale Orsini dichiarò in quell'occasione che il còmpito del re di Francia non era quello di preoccuparsi per un concilio ma solo quello di combattere i turchi.
Nel 1478 Luigi XI tornò alla carica, quando la congiura dei Pazzi gli fornì il pretesto di cominciare un nuovo periodo della politica francese in Italia; Luigi XI annunciò la convocazione di un concilio in Francia ancora una volta per la riforma della Chiesa e per la formazione di una lega per ricacciare i turchi; il clero francese convalidò la procedura seguita dal re, perché tra i còmpiti del re di Francia vi è anche quello di preoccuparsi di convocare un concilio qualora il Papa sia incerto in questo campo. In pratica veniva usata la convocazione del concilio come minaccia nei confronti del Papa. Intanto i Medici venivano assoggettati e Luigi XI non portò in fondo la sua minaccia.
Anche Il successore di Luigi XI, Carlo VIII, usò lo spauracchio del concilio nei confronti di Alessandro VI se quest'ultimo avesse riconosciuto Alfonso II quale re di Napoli.
Naturalmente, se i "re cristianissimi" di Francia utilizzavano il concilio come minaccia nei confronti del Papa per la loro politica, i governanti italiani potevano trarre molti più profitti dalla restaurazione pontificia, con cui la Curia ed il collegio dei Cardinali furono in larga misura italianizzati: il clero italiano non aveva nessun motivo di mettere in forse i benefici reali che gli erano dati se avessero sostenuto le idee conciliariste; e per lo stesso motivo gli stati italiani erano veramente interessati alla collaborazione con il papato, ed eventuali forzature furono dettate solo per perfezionare la loro posizione nelle questioni di carattere politico-religioso con il papato.
Per esempio Venezia si appellò per due volte ad un futuro concilio (1483 e 1509) per rendere inutili le censure di Sisto IV e di Giulio II. In entrambe le circostanze Venezia si richiamò al decreto Frequens, ma non mise in atto nulla di risolutivo per convocare un concilio: appelli come questi avevano un valore esclusivamente politico.
In definitiva si può dire che non ci si scontra tanto per il decreto Haec Sancta, quanto per il decreto Frequens, vale a dire che non importa tanto il problema della superiorità del concilio quanto la reale possibilità di convocare un concilio. Inoltre nasce il pericolo che l'idea del concilio sia ridotta a strumento occasionale di politica e si arriva ad abusare della minaccia di convocare un concilio come un mezzo di pressione sui Papi2.

VI.3. La rezione del papato nei confronti dell'idea conciliare

I Papi della restaurazione avevano paura che in un concilio sarebbe venuta fuori ancora una volta il solito problema dei poteri, non ancora risolto, e che lo stesso concilio sarebbe immediatamente peggiorato, diventando cioè un mezzo docile al volere di potenti prìncipi o un punto di raduno di personaggi avversi alla Curia romana.
I fautori dell'idea conciliare volevano necessariamente un concilio per la riforma della Chiesa, per la crociata contro i Turchi, e per reprimere l'eresia. A Roma si diceva che tutti questi còmpiti potessero essere compiuti solamente dal Papa: Cristo ha stabilito che fosse il Pontefice l'unico giudice che dovesse decidere su tutte le questioni che riguardassero la fede, ed in caso di bisogno può utilizzare l'aiuto del braccio secolare per sconfiggere l'eresia e i Turchi.
Ma sulla questione della riforma della Chiesa, essa poteva venire sviluppata sia dal Papa sia da un concilio, anche se il Papa era in realtà più adatto a fare convergere e poi coordinare le esigenze delle singole nazioni e di tutti i gruppi ecclesiastici: questi sono i ragionamenti con cui i Papi della restaurazione sostenevano il loro comportamento contrario all'idea conciliare; e a queste argomentazioni si aggiungevano spesso altri motivi di carattere personale.
In opposizione alla teoria conciliare sembrò esistere sùbito uno strumento molto efficace: l'abrogazione del decreto Haec Sancta, ma occorre ricordare che la deposizione dei Papi dello scisma e la validità dell'elezione di Martino V erano basati sull'influenza del concilio di Costanza.
Pio II trovò una soluzione. Lui stesso era stato seguace della teoria conciliarista, e, dopo averla abbandonata, ribadì la sua svolta come Papa con la "Bolla di ritrattazione". Nel 1459 Pio II convocò le grandi potenze europee al congresso di Mantova per organizzare una lega contro i Turchi. Per riuscire ad ottenere i mezzi per la realizzazione della crociata il Papa intimò delle "imposte di crociata", che però, secondo la dottrina gallicana, esigevano l'assenso di quelli che avrebbero dovuto pagare. Per eliminare i problemi che sarebbero potuti sorgere con eventuali appelli ad un futuro concilio da parte dei contribuenti, Pio II, con la bolla Execrabilis, vietò di appellarsi al concilio, e sostenne che qualsiasi procedura in questo senso sarebbe stata giuridicamente non valida, minacciando persino scomuniche.
Alcuni canonisti, come Giovanni Gozzadini e Mattia Ugonio, pensarono tuttavia che la bolla Execrabilis non fosse legittima, dato che non era mai stata sottoscritta dai sudditi della Chiesa, dichiarando che la Bolla di Pio II non rappresenta un problema per chi voglia appellarsi al concilio, poiché la bolla Execrabilis pare essere in contrasto con il diritto naturale3.
Da questi avvenimenti e da questi ragionamenti si può concludere che il disordine relativo ai concetti di Chiesa, concilio e papato non era ancora passato. Per questo motivo, quando veniva avanzata la richiesta di convocazione di un concilio, i pontefici dovevano ancora tenere in considerazione questo fatto.
Anche Sisto IV voleva evitare che gli fosse in qualche modo imposta la convocazione di un concilio, se non altro perché aveva paura, come il suo predecessore, Paolo II, che il concilio rendesse non valida la legittimità del suo potere papale.
Innocenzo VIII non fu costretto a contrastare richieste di concilio che rivestissero una qualche importanza; solamente sotto Alessandro VI ricominciarono le richieste di convocazione di un concilio, sia perché l'elezione, il comportamento ed l'amministrazione di papa Borgia prestavano facilmente il fianco a critiche, sia perché Alessandro VI non tentò neppure di manifestare la più lontana idea di essere pronto a convocare un concilio.
Il pontificato di Alessandro VI portò i cardinali a fare parte di quelli che potevano richiedere la convocazione di un concilio: in questo modo la richiesta di convocazione del concilio diventò un componente di quel duro contrasto che i cardinali portavano entro i nuovi rapporti di forza che si stabilirono con la restaurazione, allo scopo di conservare le proprie prerogative. In modo particolare, a partire da adesso, il collegio dei cardinali ha il primo posto tra gli elementi che venivano presi in considerazione qualora fosse indispensabile convocare un concilio a causa della difficile situazione della Chiesa.

VI.4. Autori a noi contemporanei

Alcuni storici del pensiero politico medievale, hanno studiato Cusano per trovare tracce della sua esaltazione della coscienza nazionalistica, del Volkstum, e addirittura del popolo e dell'impero tedesco. Soltanto dopo la pubblicazione dell'edizione critica del De concordantia catholica fatta da Kallen, si è verificato un certo risveglio di interesse e di studi, che sono stati incoraggiati anche dall'edizione dell'Opera omnia e dalle ricerche della Cusanus-Gesellschaft dell'Università di Magonza.
Felice Battaglia sostiene che dopo Cusano la politica non è più subordinata all'etica, e che non riunisce più la filosofia della storia: in sostanza S. Agostino non avrà più eredi. Ma, si chiede Battaglia, come capire il contrattualismo di Grozio, Hobbes, Locke, come capire il sistema rappresentativo come sarà nello stesso Locke o in Montesquieu senza Cusano4?
Per ciò che riguarda il diritto naturale Cusano rappresenta un sforzo di armonizzazione, peraltro pienamente riuscito, tra il vecchio e il nuovo5. Certamente è giusto ammettere un certo tentennamento nel pensiero di Cusano6, ma per Battaglia il suo passato conciliare non è sprecato; il contrattualismo, la rappresentanza, la sovranità popolare, passano dall'àmbito religioso a quello statale e alimentano la nuova politica. Il principale significato di questa, che peraltro Marsilio aveva già posto, viene spiegato da Cusano, per il quale il soggetto è riconosciuto come principio nell'ordine politico e sociale, oltre che in quello della Chiesa. Ciò non viene dimenticato, ma è alimentato dalla coscienza del Rinascimento, e porterà a nuove prospettive sullo stato7. Battaglia parla di pragmatismo dei conciliaristi a proposito della loro tendenza a fare del papato una specie di ufficio presidenziale di una società istituita per contratto8.
Secondo Andrea Vasa invece questa rappresentazione della vita ecclesiastica è molto lontana dalla mente di Cusano, come quell'altra, che volesse l'unità e la continuità della Chiesa garantite da un tipo di reggimento monarchico-assoluto. L'unione degli uomini nella fede con il loro Capo, e la trinità delle Chiese degli angeli e degli uomini, di quelle puramente spirituali e di quella sensibile, vogliono che su questa terra si realizzi non il fine ultimo, ma solo un processo di avvicinamento continuo alla verità, nella buona volontà di tutti9.
Per Maurice De Gandillac ciò che Cusano scrive nel capitolo XIV del secondo libro del De concordantia catholica assomiglia moltissimo («presque littérarement») alle stesse basi che il Contratto sociale e la Dichiarazione dei diritti dell'uomo attribuiscono al pactum societatis10.
Per Ewart Lewis l'immagine conciliare di una progressiva concordanza tra i vari organi della chiesa resta un'utopia. Una costruzione monistica dell'autorità, qualunque siano i suoi difetti nella comprensione reale, ha sempre la forza della sua semplicità; e in questo caso aveva anche la forza di esprimere più accuratamente la possibilità del suo tempo11.
Lewis sostiene che osservando superficialmente la dottrina di Cusano, essa appare vicina al pensiero moderno. Come Locke e Rousseau, Cusano capì che la validità di un governo coercitivo tra gli uomini che per natura erano uguali e liberi dipendeva dal consenso. Facendo così uso dei diritti naturali dell'uomo, Cusano sembrerebbe aver fatto una rottura decisiva con la tradizione medievale; ma il sistema di Cusano, se esaminato da vicino, porta i segni della sua origine medievale. Perché questo sistema non è uno in cui la volontà individuale è l'ultima unità di autorità. La struttura dell'universo di Cusano è ancora il piano divino che stabilisce l'esistenza necessaria di una gerarchia di autorità, anche se quest'autorità è mediata dal popolo. E, sebbene parli della libertà dell'individuo, lo sviluppo di Cusano delle implicazioni pratiche della sua teoria mostra come la sua enfasi fosse tutta nella libertà naturale della comunità12.
Vi erano, naturalmente, secondo Lewis, strade atraverso le quali i rudimenti delle idee democratiche potevano essere introdotte nello sfondo naturale dell'autorità. La dottrina della libertà e dell'eguaglianza originale degli uomini poteva essere usata, come fece Cusano, per sostenere l'idea che un governo di coercizione dovesse appoggiarsi al consenso popolare. L'argomentazione era che un buon governo fosse meglio accettato attraverso l'inclusione di tutti i cittadini nella base dell'autorità. La conclusione storica di queste idee fu, naturalmente, la teoria e la pratica della democrazia rappresentativa egualitaria dell'età moderna. Ma i loro effetti medievali erano bloccati dal fatto ostinato e quasi ugualmente ostinata teoria della stratificazione sociale e dall'impossibilità di immaginare il complesso sfondo di istituzioni che possono permettere una vera partecipazione degli individui nel governo13.
Edmond Vansteenberghe ha creduto di potere rintracciare nella posizione presa da Cusano, in relazione al grande e drammatico problema dell'autorità di magistero nella Chiesa, la destrezza dell'avvocato, il quale, anche se aveva una particolare e intensa propensione per una delle parti in opposizione (dove naturalmente la simpatia sarebbe per il concilio), cerca di subordinare questa simpatia anche all'altra parte, non avendo il coraggio di sacrificare del tutto anche questa14.
Anche se ciò fosse e non è detto che sia, dal momento che Cusano parteggia per la Chiesa, per Paolo Rotta occorrerebbe comunque affermare che, ad ogni modo, la considerazione per il pontificato era sempre vivo anche allora in Cusano, che d'altra parte avvertiva sicuramente tutto lo squallore dell'epoca, «tempi così pericolosi per la cattolicità proprio in causa di quelli che nella Chiesa e per la Chiesa vivevano»15.
Secondo Vansteenberghe Cusano non fu un dilettante; e se fu un uomo "universale", questa "universalità" non escludeva mai l'unità: per Vasteenberghe, l'azione spiega il pensiero e il pensiero spiega l'azione (da cui il titolo del suo libro). A volte Cusano è visto come autore di uno scritto, altre volte come autore di una missione: è essenziale studiare gli atti e le idee di un uomo che non si lasciava mai sopraffare dagli avvenimenti, ma che affronta in continuazione, e senza tralasciarne nessuno, i campi della sua eccezionale attività16.


1. Francis Rapp, «Dal movimento riformatore alla Riforma», in Storia d'Europa. Il Rinascimento, a cura di Georges Livet e Roland Mousnier, 6 voll., Bari, Laterza (Biblioteca Universale Laterza 37), 1982, III 215.
2. H. Jedin, Storia del concilio di Trento, I 49-53.
3. Ivi, I 62.
4. F. Battaglia, Il pensiero giuridico e politico di Nicolò Cusano, p. 31-2.
5. Ivi, p. 209 nota 6.
6. Ivi, p. 42 nota 35.
7. F. Battaglia, Lineamenti di storia delle dottrine politiche con appendici bibliografiche, Roma, Società Editrice del «Foro Italiano», 1936-XIV, p. 38.
8. F. Battaglia, Il pensiero giuridico e politico di Nicolò Cusano, p. 20-1.
9. Andrea Vasa, «Nicolò da Cusa», in Grande antologia filosofica, Milano, Marzorati, 1964, p. 967.
10. «Poiché tutti gli uomini per natura sono tutti uguali e liberi, il vero ed ordinato potere di uno di loro non può naturalmente basarsi che sull'elezione e sul consenso degli altri, così come la legge stessa si basa sul consenso» (DCC, II, 14); Maurice de Gandillac, «Les "semi-utopies" scientifiques, politiques et religieuses du cardinal Nicolas de Cues», in Les utopies à la Reinassance, Bruxelles - Paris, Presses Universitaires de Bruxelles et de France, 1963, p. 53.
11. E. Lewis, Medieval political ideas, p. 380.
12. Ivi, p. 161.
13. Ivi, p. 222.
14. E. Vansteenberghe, Nicolas de Cues, p. 41.
15. P. Rotta, Nicolò Cusano, p. 24.
16. E. Vansteenberghe, Nicolas de Cues, pp. VI-VII.

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