-XXXIV-

Ci saremmo potuti sposare a Venezia, dopo solo sette mesi, come un parto prematuro. Ma furono tempi congestionati e folli, e solo per una breve distrazione del mio demone, Hannah, io ti ho salvata da me.
Ma tu forse mi hai salvato l'anima, occhi gentili di gazzella: tu con la tua risata trattenuta nell'intimità dell'anima stessa del mondo, nel centro più dolce dell'armonia vera. Tu suonavi gli accordi più belli e più completi: la pienezza e la comprensione, la natura e la perfezione.
Sei l'unica mia compagna, sostegno, forza; e lo sei solo perché io ti ho sottratta da me, ti ho salvata. Il mio amore è nel distacco, ahimè, non nelle unioni.
Ritardai di un giorno la mia partenza per il concerto di Venezia programmato per il due dicembre, così tu, Hannah, partisti con me, come per una vacanza d'amore. Le "seconde" Sonate di Piatti e di Mendelssohn erano in quel programma, per il salone barocco di un nobile palazzo sul Canal Grande.
Il proprietario era un miliardario americano, un conoscente del mio Barone viennese; si era assicurato la mia presenza per una serata di gala: duecento invitati del bel mondo, in un'orgia di musica, e di erotismo e strofinamenti di genitali. Fu felice di ospitare me e Hannah nell'appartamento all'ultimo piano del palazzo, fra mobili e quadri antichi, e finestre dalla vista incantevole, come inquadrature del Guardi, o del Canaletto.
Il mio nuovo amico americano sapeva tutto dell'annullamento del concerto al Music Verein, ma questo sembrava non inquietarlo affatto, anzi, dargli semmai una certa soddisfazione, come la prova che la sua intuizione sul mio talento, sull'eccezionalità del mio talento, fosse superata dai fatti avvenuti, nel momento, luogo e tempo giusto per dimostrare che io ero molto al di sopra di ciò che un Barone del vecchio mondo poteva capire o scoprire.
Al pianoforte avevo un ottimo professionista torinese, col quale si era studiato lungamente quel repertorio e quei brani; non c'era molto lavoro da fare: io e Hannah ci godevamo Venezia di fine autunno, bellissima e non triste, per due anime folli di gioia e novità. Camminando per le calli ci si teneva stretti, come se l'uno potesse volar via, scivolando fra le braccia dell'altro. Ci recitavamo una poesia d'amore del grande poeta svedese Pär Lagertvist, che diceva: «Ho camminato sotto le stelle per giungere fino a te,/ qui dove tu mi hai atteso con mani divenute calde...»; e le nostre mani si cercavano, si carezzavano, s'intrecciavano senza sosta...
Visitavamo le Chiese, i palazzi più famosi, i musei; quel pomeriggio arrivammo all'antico Ghetto, l'isola con tre ponti, tre pozzi e tre antiche Sinagoghe, nel luogo in cui si era formato ed era nato quel nome.

 

 

 

 

 

 

 

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