sguardi della memoria

Cancellare la memoria di quegli sguardi ci renderebbe così poveri, miserabili, vuoti, vani, tanto che nessun crimine potrebbe essere peggiore, perché nessun amore potrebbe sopravvivere a un tale stato. Così della memoria facciamo una gran retorica, in riti più o meno solenni, finendo col riempir troppo anche questo vaso, saturo di parole e figure altisonanti di troppi secoli d'inganni e ipocrisia; e anche la festa della memoria è festa di parole senz'anima, come cinguettii d'uccelletti in libertà, registrati con eccezionali tecnologie naturalistiche per il perfetto funzionamento delle nostre illusioni.

 

Mura.

Borges ha immaginato gli immortali come esseri ridotti a mostruosa degradazione, inferiori anche alla più elementare forma di vita animale sulla terra. Io spesso ho pensato che colui che porta nel luogo pubblico una valigia riempita di esplosivo, per poi allontanarsi e lasciare che il caso tolga la vita ad altri esseri umani, possa compiere una tale azione non solo per una cultura deviata e priva di amore, ma anche per una formidabile, mostruosa cancellazione della sua memoria, tale da fargli percepire la sua esistenza come qualcosa che non ha fine: la morte è là, dove io ho deposto la mia valigia; qui, dove io sono, è la vita. Assurdo, è vero, ma dal XX secolo anche l'illusione di avere un ideale per uccidere è diventata superflua, quando non obsoleta. E si uccide semplicemente per denaro.

Ecco, ancora in quella città-foresta in cui convivono innumerevoli solitudini stringendo il proprio ascolto nel ristretto spazio intorno al sé, il paesaggio sonoro diventa solo più la desolante disarmonia di suoni incomunicanti, come le voci di lavoratrici africane su un autobus pubblico europeo, che parlandosi nel loro modo vitale e chiassoso generano equivoco e rabbia fra gli europei presenti, sempre più intolleranti, sempre più razzisti, nonostante i rinnovamenti della cultura e la televisione. Forse lo spettacolo di canti e danze africane soddisferà un vasto pubblico, ma difficilmente quel teatro convertirà in positivo la generica capacità di condividere lo spazio di un autobus pubblico con quella stessa cultura che si era apprezzata sulla scena dell'arte.

Così mi capita di pensare che un muro di pietra, nella storia dell'uomo, è servito tanto a dividere quanto a proteggere e accogliere una società.
Oggi si possono ammirare i resti imponenti di mura antiche, ma difficilmente ci si accorge di come mura simili siano erette con i suoni: ogni radio o televisione che si accende per non subire quella del vicino è, di fatto, un muro di suoni, e funziona come protezione, separando, dividendo. Quei muri sonori non narrano storie e saghe, non sussurrano misteri alla fantasia; si limitano alla loro semplice funzione protettiva, e senza alcuna lungimiranza né flessibilità, difficilmente hanno porte o finestre da cui entrare e uscire.

Questo, più o meno, è l'ambiente in cui cerchiamo di convivere come società resa sapiente e saggia dalla lunga e dolorosa lezione della nostra storia, convinti di avere a portata di mano una realtà di pace e benessere, se solo il nostro vicino di casa abbassasse il volume della "sua" musica... o se riuscissimo a possedere tutti delle case perfettamente isolate dalle onde sonore esterne... magari con dei cinguettii d'uccelletti trasmessi da altoparlantini ben nascosti...

 

 

È fra quelle mura invalicabili che si muove e tenta di agire il musicista moderno. Conquista il suo virtuosismo non per un dio o per il mondo, ma solo più per il "suo" mondo, ossia quello che deciderà di chiudersi fra le mura delle sue melodie.