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Il corpo del bambino tra relazione educativa e relazione pedofila

di Claudio Foti

Intervento al Convegno “Il Tocco buono. Primo passo per la prevenzione dell’abuso infantile”, Associazione Italiana Massaggio Infantile, Roma 13-14 aprile, 2002

 

 

   Venerdì 12 aprile ’02.  Cioè ieri. Scuola elementare di un paese dell’hinterland milanese. Quarta elementare. E’ il terzo incontro di educazione sessuale con Nadia, psicologa del Centro Studi Hansel e Gretel. Educazione sessuale a trecentosessanta gradi. Almeno ci proviamo. Educazione sessuale basata sui principi dell’intelligenza emotiva per insegnare ai bambini a pensare e a comunicare i sentimenti associati al corpo e alla sessualità, per insegnare a riconoscere  e a mettere in parola i sentimenti tout court, dal momento che la sessualità prende avvio con l’attivazione dei sentimenti, prima ancora che con l’attivazione dei genitali.

 

   Educazione sessuale per mostrare ai bambini che è possibile comunicare  dubbi, ansie, curiosità, che è possibile esprimere i loro piccoli e i grandi problemi, i loro piccoli e grandi disagi. Educazione sessuale per insegnare ai bambini ad ascoltare e ad ascoltarsi, a sentire e a rispettare la propria e l’altrui vita emotiva. Di conseguenza educazione sessuale per prevenire l’abuso e la pedofilia.

 

  Scuola elementare nell’interland milanese,  Nelle scorse settimane nelle prime quattro ore di educazione sessuale c’era stato il caos. Grandi agiti ed irrequietezza. Imbarazzo e provocazioni. “guardate Nadia, si vedono le mutande…” Grandi risate e la tensione aumenta. I bambini giocano rumorosamente a gettarsi per terra.     Battute sessualizzate chiaramente provocatorie ed ostentate per bambini di 9 anni. Contrapposizione pesante tra maschietti e femminucce. Rifiuto di coinvolgersi nei giochi basati sull’intelligenza emotiva. Rifiuto radicale a parlare di sé.

 

   Non è la prima volta che nella fase iniziale della nostra proposta di educazione alla sessualità e all’affettività si scatena la bagarre nella classe. 

Bambini che agiscono o che fanno i bulli per non sentire la sofferenza. Sessualizzazione  per non sentire i bisogni, il disagio, la solitudine. Talvolta circola non già un tocco buono, bensì un tocco cattivo: bambini che si aggrediscono, che si squalificano, che si scherniscono fra loro.

 

    Nella quarta elementare  ieri mattina si susseguivano i tuffi sotto i banchi, i tonfi e le risate. Tante incertezze e tanta fatica per le conduttrici. Ad un certo punto Nadia e Valeria, che percepiscono il disagio del gruppo classe, propongono un gioco sul tema: Cosa vorreste che cambiasse nella vostra classe”. Su proposta di un bambino la consegna s’allarga e diventa : “Cosa vorreste che cambiasse nella vostra classe. Cosa vorreste che cambiasse nella vostra famiglia”.

 

    Nello sviluppo del gioco c’è qualcosa di profondo che cambia nel clima della classe. Un bigliettino dice:

“Vorrei rivedere mio padre, E’ da due anni che non lo vedo…”

“Vorrei che i miei genitori non si separassero. Ci sto male… 

Un altro ancora dice… “Vorrei non sentirmi più solo…

    Nella classe ci sono alcuni figli di separati. Il gioco consente un contatto ed un’espressione dei sentimenti di tristezza, di dolore e di impotenza, che circolavano nella classe, coperti dall’imbarazzo, dall’irrequietezza, dall’aggressione, dai riferimenti ipersessualizzati di tipo provocatorio e difensivo.

   Prima nella classe circolavano gli atteggiamenti ipercinetici ed eccitati con  l’esibizione di un linguaggio sessuale provocatorio. Adesso circola la commozione e il tentativo sollecitato dalle conduttrici di mettere in parola sentimenti dolorosi. Ora i bambini piangono. Piangono insieme senza vergognarsi. Anche la maestra piange.

 

    Non c’è molto tempo dopo l’elaborazione emotiva per l’elaborazione riflessiva. Vien fuori comunque una riflessione sulla solidarietà che può superare le divisioni che nella classe si sono sempre sentite, le contrapposizioni tra i maschi e le femmine, tra i bravi e i meno bravi. Il gioco finale ha un esito inatteso per le stesse conduttrici. Qualcuno si abbraccia. Si abbracciano alcuni bambini e alcune bambine e viene meno quell’imbarazzo sessualizzato che avrebbe impedito a maschi e femmine quella forma di comunicazione tenera, piena ed affettuosa che è l’abbraccio.

     Molti abbracciano le conduttrici. E non c’è più il riferimento carico di tensione e aggressività alle mutande della conduttrice a bloccare l’espressione dell’affetto, del saluto ed anche della gratitudine verso Nadia e Valeria.

 

    

    All’uscita della scuola alcuni bambini hanno gli occhi rossi. Una mamma chiede preoccupata al figlio che cos’è mai successo. “Sapessi mamma com’è stato bello…”

    E’ questo il paradosso dell’intelligenza emotiva: il riconoscimento, la messa in parola e la condivisione dei sentimenti avvicina, affratella, favorisce un contatto relazionale ed anche fisico di tipo positivo, affettuoso, salutare, anche se i sentimenti sono dolorosi e fanno piangere.  Anzi la condivisione dei sentimenti più colpevolizzati e bloccati, dei sentimenti spiacevoli e penosi produce effetti di maggiore integrazione mentale e integrazione relazionale, di maggior benessere nella mente del singolo e del gruppo. 

 

     Alcune riflessioni:

-         per bonificare l’irrequietezza dei bambini occorre aiutarli a riconoscere, distinguere, mettere in parola e rispettare i propri ed altrui sentimenti,

-          per contrastare  il tocco cattivo ed aggressivo nel gruppo dei coetanei,  per aprire la prospettiva di un “tocco buono”, di un contatto fisico tenero ed affettuoso tra bambini e bambini e tra bambini ed adulti,  occorre favorire il contatto mentale dei bambini e dei ragazzi con le emozioni

-         per superare gli atteggiamenti ipereccitati o all’opposto inibiti che impediscono ai bambini la possibilità di comunicare, domandare esprimere ansie, difficoltà, problemi in materia di sessualità  occorre superare l’analfabetismo emotivo dei bambini

 

Ma per battere l’analfabetismo emotivo nei bambini, occorre preliminarmente

battere l’analfabetismo emotivo negli adulti: negli educatori, negli operatori psico-sociali, nei professionisti dell’infanzia ed ovviamente nei genitori.

 

    L’analfabetismo emotivo dei bambini nasce dalla disabitudine ad esprimere i sentimenti. I bambini temono che questi sentimenti, il disagio, la solitudine, la paura, la rabbia, l’impotenza ecc… non saranno accettati ed ascoltati dagli adulti. L’analfabetismo emotivo è la difficoltà dei bambini  a sentire, a legittimare nella loro differenza e specificità la varietà dei sentimenti: per es. fastidio, rabbia, collera, odio, rancore non sono la stessa cosa; amore, affetto, desiderio, attaccamento, eccitazione non sono la stessa cosa. Noi purtroppo insegniamo ai nostri bambini a comprendere le classificazioni degli animali, le classificazioni  delle piante, le classificazioni  grammaticali e non insegniamo loro a distinguere e a valorizzare i diversi sentimenti, conoscenza  fondamentali per la crescita mentale, culturale, e per la crescita della capacità di rapportarsi agli altri.

 

    L’analfabetismo emotivo degli adulti è ancora più radicato e profondo. Gli adulti pensano spesso che le emozioni sono espressione di debolezza, di inferiorità e di scarso autocontrollo razionale. Così l’educatore, il professionista non dovrebbe mai mostrarsi sofferente, mai coinvolto emotivamente, mai capace di partecipare ai sentimenti del bambino di cui si occupa. Sempre al di sopra delle proprie emozioni, cioè al di sopra di se stesso.    Le emozioni vengono viste come un fattore di disturbo, come una prova di debolezza.

 

       La teoria dell’intelligenza emotiva di Daniel Goleman[1] sostiene invece che le emozioni sono una risorsa,  possono rappresentare una ricchezza. Cosa afferma questa teoria? In sintesi afferma che lo sviluppo della capacità di riconoscere e di trattare  i propri sentimenti può migliorare il benessere degli individui e la loro possibilità di motivarsi e di realizzarsi,  di comunicare  e di interagire tra loro, la loro capacità di riconoscere e trattare i sentimenti degli altri.

 

Per intelligenza emotiva  intendiamo la capacità di armonizzare il pensiero e i sentimenti,  la parola con i vissuti emotivi, la dimensione mentale con la dimensione affettiva.

 

     Il processo educativo è interessato all’intelligenza emotiva, perché  non può essere un fatto intellettualistico, né all’opposto un fatto istintivo ed immediatistico; il processo educativo deve saper superare la contrapposizione dualistica tra anima e corpo, tra intelligenza e bisogni, fra sapere ed esperienza.

 

    Le emozioni possono avere una funzione mediatrice essenziale tra la mente e il corpo. Le emozioni sono elaborate dalla mente ma hanno un rapporto con il corpo, con le sue sensazioni e i suoi bisogni.

 

    Le emozioni sono la voce del Sé del bambino. Non del bambino che compiace l’adulto. Non del bambino che piace all’adulto e non piace più a se stesso.

    Le emozioni piacciono al bambino se possono essere rispecchiate se trovano qualcuno che le accolga in modo benevolo ed empatico.

    Le emozioni sono l’espressione di un  corpo pensabile e pensato dal bambino perché c’è un adulto che lo aiuta in questo percorso di ascolto e di mentalizzazione delle proprie sensazioni, dei propri bisogni, dei propri vissuti.

 

    L’abuso sessuale non è solo la strumentalizzazione del sesso del bambino, la degradazione del suo corpo, l’abuso sessuale è un atto distruttivo dei sentimenti del bambino, l’abuso sessuale è un tentato omicidio dei sentimenti del bambino. Talvolta l’abuso riesce purtroppo a diventare  un vero e proprio assassinio della sua anima come diceva Ferenczi. Il maltrattamento all’infanzia è sempre  mal / trattamento, cattivo trattamento delle emozioni del bambino.

 

   Il corpo del bambino nella relazione pedofila è ridotto a strumento di piacere, a oggetto, privo di sentimenti, meritevoli di attenzione e rispetto. 

Il corpo del bambino nella relazione pedofila è ridotto a cosa, reificato  e deprivato della sua alterità, della sua soggettività, della autonomia.  

 

  Il corpo del bambino nell’immaginario pedofilo non è più abitato dalle emozioni proprie del bambino, ma delle emozioni proiettate dal pedofilo stesso che riesce a convincersi e s’affanna a convincerci che anche al bambino piacerebbe fare sesso e che in realtà non si tratterebbe di abuso, ma di realizzazione di un desiderio del bambino che verrebbe represso e colpevolizzato da una morale sessuo-fobica.

 

 

    Che cos’è la perversione? La perversione è la negazione dell’alterità dell’altro. La perversione è una modalità per assumere una posizione di controllo onnipotente su un’altra persona, negando contemporaneamente  la propria difficoltà emotiva, la propria debolezza e la propria bisognosità.

      La perversione ci riguarda da vicino. Tutti.  Uomini e donne. Ci passa accanto e ci passa dentro. La perversione in quanto tale non riguarda necessariamente il sesso.  Secondo Estela Welldon[2] la perversione femminile più che attraverso la sessualità, passa attraverso la negazione dell’autonoma soggettività del figlio, passa attraverso profonde strategie di manipolazione del figlio.

 

Tutti siamo almeno tentati di negare le nostre difficoltà emotiva, assumendo un ruolo di soggetti forti e negando la soggettività e l’emotività dell’altra persona.  Questa tentazione è di tutti, anche se, per fortuna,  non tutti perdono completamente la capacità sana di riconoscimento e rispetto dell’altro, come invece succede ai perversi.   

      La sessualizzazione pedofila  è invece una modalità specifica, prevalentemente maschile,  di realizzare la perversione. Ci  riguarda anch’essa tutti da vicino.  Benché, per fortuna,  non tutti agiscono la fantasia di erotizzare la relazione con il minore, questa fantasia è universalmente diffusa.

     La sessualizzazione pedofila è una tendenza a trasformare la persona in cosa, inseguendo l’eccitazione e il godimento sessuale per riempire la solitudine, la mancanza, la sofferenza mentale, senza tener assolutamente in considerazione la soggettività del bambino e la sua vita emotiva.

 

   La perversione è la negazione più radicale dell’intelligenza emotiva e l’intelligenza emotiva è la strategia più efficace per contrastare la perversione.

 

   Pensiamo alla quarta elementare di cui abbiamo parlato. Già nei bambini è in azione una  tendenza  a trasformare i sentimenti di disagio e di solitudine, quando questi sentimenti   non possono essere pensati e non possono essere comunicati,  in irrequietezza, eccitazione improduttiva, aggressività contro gli altri e contro se stessi. Intelligenza emotiva vuol dire contrastare questa tendenza e nel contempo  dare ai bambini le parole, la forza, la legittimazione  per esprimere, non appena ne sentano la necessità,  i disagi o le violenze che subiscono.

 

Occorre creare un ambiente in cui gli educatori facciano riferimento costante alla vita emotiva, in cui i bambini di conseguenza vengano allenati ad essere sensibili nei confronti di se stessi, a parlare di ciò che è piacevole e di ciò che è spiacevole, di ciò che dà serenità e di ciò che dà ansia in quel che capita quotidianamente intorno a loro e nel loro corpo.

 

In questo clima relazionale ed emotivo i bambini possono essere aiutati a  riconoscere nel contatto fisico con l’adulto ciò che dà tenerezza, piacere e divertimento e ciò che dà fastidio, confusione e paura. I bambini possono apprendere benissimo a sentire e ad esplicitare la differenza tra un abbraccio rassicurante e soddisfacente ed un abbraccio soffocante ed intrusivo, tra un contatto fisico rispettoso in armonia con il Sé e con la realtà da un contatto fisico sessualmente eccitante,associabile al segreto, all’imbroglio, alla minaccia.

 

I bambini possono essere aiutati ad utilizzare una sorta di termometro esistente dentro di loro, possono essere educati ad avvertire ciò che produce nel contatto fisico con gli adulti sentimenti positivi e ciò che produce invece sentimenti negativi e in questo secondo caso devono essere invitati a parlare immediatamente con un adulto di cui si fidano. 

In questa prospettiva la sensibilizzazione al problema dell’abuso sessuale non acquista carattere allarmistico per i bambini ma al contrario diventa uno stimolo per l’arricchimento della loro consapevolezza e per la crescita della percezione del loro Sé.

Ovviamente il problema non è soltanto quello che i bambini parlino e comunichino eventuali disagi derivanti da un contatto corporeo sgradito, il problema è anche e soprattutto quello che gli adulti si rendano disponibili all’ascolto, superando quelle barriere comunicative che nella famiglia e nella scuola sono gli adulti stessi inconsapevolmente a costruire

 

   L’intelligenza emotiva può dunque aiutare i bambini a riconoscere e a valorizzare le sensazioni e le comunicazioni del proprio corpo come ricche di informazioni che meritano di essere ascoltate.

 

   E’ significativo notare come gli avvocati e gli psicologi specializzati nella difesa di imputati accusati di pedofilia ed incesto, siano interessati a disprezzare le competenze intellettive, emotive e testimoniali dei bambini, non già sulla base di una indispensabile valutazione caso per caso, bensì sulla base di un’aprioristica generalizzazione.

 

    Per Daniele Goleman il corpo del bambino può produrre sensazioni ed emozioni intelligenti, cioè cariche di informazioni. Diversi autori hanno dimostrato che un  bambino sano e normalmente intelligente è in grado di percepire, elaborare e comunicare dall’età di tre anni sensazioni ed informazioni relative alla corporeità e alla sessualità.

 

    Per gli avvocati e gli psicologi specializzati nella difesa di imputati accusati di pedofilia ed incesto i bambini a priori, senza una valutazione specifica caso per caso, sarebbero stupidi ed esposti al fraintendimento nelle loro comunicazioni riguardanti la corporeità e la sessualità: uno di loro ha affermato ad un recente Convegno  i bambini non riescono assolutamente a distinguere il fastidio derivante da una supposta da quello derivante da   un dito nel sedere.

 

  Ora, visto che l’abuso sessuale è un delitto che si consuma spesso a porte chiuse, con una scarsissima probabilità di lasciare tracce e riscontri oggettivi, invalidare in modo aprioristico la testimonianza del bambino, significa puntare nei fatti a garantire l’impunità a pedofili e genitori incestuosi.

 

  In conclusione l corpo del bambino deve essere benvoluto e riconosciuto dalla  mente del bambino stesso con un crescente padroneggiamento capace di svilupparsi con il procedere dell’età. Questo si verificherà se il corpo del bambino sarà benvoluto e riconosciuto dalla mente dell’adulto, come centro di iniziativa indipendente,  come luogo di bisogni differenziati  di affetto, di rassicurazione, di tenerezza, di attaccamento, di benessere da contatto, di sessualità. 

 

Il corpo del bambino non sarà un corpo-immagine da esibire, per mostrare, per apparire, per fare bella figura, ma un corpo importante soprattutto per l’ “essere” di chi lo abita.

Il corpo del bambino non sarà un corpo produttivo di cui prendersi cura e da considerarsi importante soltanto quando s’ammala e quando viene minacciato il principio di prestazione.

 

Il corpo del bambino non sarà un corpo peccaminoso  da coprire, da perseguitare, da combattere in quanto si suppone pieno di impulsi pericolosi.

 

L’impegno nella lotta alla prevenzione e al contrasto dell’abuso sessuale non ha nulla a che vedere con una crociata moralistica nei confronti dell’abbraccio, del massaggio, del solletico, delle vastissime forme di “coccolamento” e di affettuosità salutare e creativa tra adulti e bambini.

 

L’impegno nella lotta alla prevenzione e al contrasto dell’abuso sessuale non ha nulla a che vedere con una logica fobica o paranoide in base alla quale dietro qualsiasi gesto corporeo affettuoso o tenero tra adulto e bambino sia necessario sospettare un abuso.

 

L’intelligenza emotiva può aiutare i genitori e a gli educatori a riconoscere il segnale d’allarme che deve portarli a fermare la loro comunicazione corporea altrimenti affettuosa, sana e vitale. Questo segnale-spia è l’eccitazione, l’eccitazione propria e quella del bambino, che possono anche manifestarsi non contemporaneamente.

 

   L’eccitazione è un esito da prevedere e da mentalizzare del contatto corporeo tra adulto e bambino. Nella mia esperienza di formatore ho avuto modo di verificare che non esiste parola maggiormente interdetta e tabuizzata dell’eccitazione. Sembra così semplice. L’essere umano è un essere che si eccita. Senza eccitazione non ci sarebbe riproduzione e pertanto non ci sarebbe specie umana. Eppure negli adulti, anche in quelli portatori di competenze professionali, tra gli educatori, gli psicologi e  i medici si verifica una forte inibizione e un’indubbia colpevolizzazione del concetto e del termine “eccitazione”.

 

Il contatto benevolo ed empatico dell’adulto con il corpo del bambino che permetta al bambino di crescere con il rispetto del proprio corpo e dell’intelligenza del proprio corpo non deve essere bloccato dall’ansia dell’eccitazione. L’eccitazione, idealizzata sempre e comunque dalla cultura perversa, demonizzata all’opposto dalla cultura sessuo-fobica, è una potenzialità psico-fisica che, sviluppando una cultura dei sentimenti, possiamo imparare e possiamo insegnare (agli adulti e ai bambini) a riconoscere e  a mettere in parola, per poterla vivere in modo piacevole e responsabile e poterla fermare quando diventa un tocco cattivo e strumentale.

 

Titolo della relazione: “Il corpo del bambino tra relazione educativa e relazione pedofila”

 

Ho voluto presentarvi questa relazione perché è centrata sul corpo  e la comprensione delle tensioni che attraversano il corpo è fondamentale per capire le radici dell’irrequietezza e dell’aggressività incontrollata dei bambini.

 

Quando ci troviamo di fronte ad un bambino violento sappiamo che c’è stato un qualche fallimento delle risposte di accudimento e di rispecchiamento dei bisogni corporei di quel bambino

 

Nel corpo del bambino l’impossibilità di esprimere i sentimenti si può trasformare in una sovra-attivazione, l’impossibilità di esprimere i sentimenti può produrre un’eccitazione che non va confusa con l’eccitazione sessuale, che può essere definita una tensione psico-fisica, 

una sovra-attivazione che non riesce ad essere controllata dalla mente consapevole, una sovra-attivazione che non riesce ad essere utilizzata dall’Io.

 

La massima espressione di questa tensione psico-fisica, la più acuta manifestazione di questa sovra-attivazione è la cosiddetta arousal (pronuncia: arausal) che si riscontra nelle sindromi post-traumatiche da stress e che si manifesta attraverso sintomi di tensione psico-fisica, di aggressività, di aggressività introflessa ed estroflessa, di insonnia, di ipevigilanza.

 

 

Ricordo che il criterio diagnostico d) del disturbo postraumatico prevede:

sintomi persistenti di aumentato arousal (non presenti prima del trauma) come indicato da almeno due dei seguenti elementi:

 

1)  difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno

2)  irritabilità o scoppi di collera

3)  difficoltà a concentrarsi

4)  ipervigilanza

5)  esagerate risposta di allarme

 

Il trauma è un evento sconvolgente che mette l’individuo di fronte alla morte e che produce una quantità di sentimenti intensi (di dolore, paura, rabbia, impotenza ecc…) che non riescono ad essere espressi e scaricati perché l’evento traumatico non lo consente. Sentimenti di iperpaura, di iper-agitazione, di iper-odio si producono nel soggetto con l’evento traumatico. Ma il soggetto non riesce a scaricarli perché l’esperienza traumatica sopraggiunge improvvisa (pensiamo ad un incidente stradale o ad una scarica imprevedibile di botte) e che risulta sovrastante rispetto al soggetto che risulta una vittima impotente.

 

Il trauma pone il soggetto in una situazione di impotenza, di perdita radicale del controllo su una realtà che diventa carica di una violenza che il soggetto non riesce a fermare, di una violenza  alla quale non riesce a reagire.    

 

 Un trauma non elaborato produce sentimenti non espressi che finiscono per generare una sovraattivazione, un aumentato arousal che inevitabilmente si può manifestare

 

Non necessariamente tutti i bambini violenti hanno subito un trauma, ma sicuramente tutti i bambini violenti provengono da esperienze traumatiche o da esperienzer microtraumatiche prolungate, da situazioni familiari e relazionali che hanno generato nel bambino sentimenti di sofferenza, di rabbia, di umiliazione, di agitazione, di paura, di inadeguatezza, di inferiorità,  di colpa: sentimenti che non sono stati adeguatamente pensati e messi in parola perché non hanno trovato interlocutori capaci di ascolto.

 

La tensione psico fisica può scaricarsi in scoppi di collera, di irritabilità, di aggressività oppure può generare (soprattutto nel bambino maschio) una sovraattivazione sessuale  che - anche quando si scarica in un’attività sessuale (pensiamo per es. ad un’attività masturbatoria intensa o addirittura complusiva) - non produce in genere serenità, rilassettezza, perchè questa attività sessuale non si accompagna ad un rispetto dell’alterità, non si accompagna ad una dimensione affettiva e relazionale capace di restituire al soggetto amore, benevolenza, rispetto di se stesso ed autostima.

 

SE al contrario le emozioni inespresse che generano l’aumento di tensione psicofisica, di arousal, di sovraativazione, possono trovare un contesto ambiente relazionale per essere comunicate e comprese, SE LE EMOZIONI  del soggetto possono trovare  finalmente un interlocutore capace di accettare e dare un senso a questi sentimenti, ecco che la mente del soggetto può cominciare anche lei ad accettare e ad integrare le emozione. In altri termini la mente del soggetto può cominciare grazie all’ascolto empatico e alla comprensione ricevuta a sentirsi  alleviata  da questi sentimenti “iper” (iperpaura, iperansia, iperodio, iperdolore…).    

 

 


 


[1] D. Goleman, L’intelligenza emotiva, Rizzoli, 1996.

[2] cfr. E. Welldon, Madre, madonna, prostituta, Centro Scientifico Torinese, Torino, 1995.