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Daniel Goleman

 

scheda a cura di Nadia Bolognini

  

 Daniel Goleman, psicologo cognitivista, professore di psicologia ad Harvard, scrittore ed autore di numerosi libri, ha un grosso merito: quello di aver contribuito a sviluppare un atteggiamento culturale più rispettoso e favorevole alle emozioni.

Fino ad alcuni decenni fa le emozioni erano culturalmente considerate materiale di scarto o fattori di disturbo rispetto al funzionamento delle attività “superiori” della mente connesse all’intelletto e non già un oggetto meritevole di riflessione e di attenzione.  Per Goleman non solo occorre impegnarsi a collegare l’intelligenza alle emozioni, ma – di più – occorre cominciare a considerare le emozioni stesse come intelligenti, capaci di registrare informazioni di grande importanza, informazioni di cui è indispensabile tener conto, che è indispensabile registrare ed elaborare.

Goleman con il suo libro “Intelligenza emotiva” ha permesso di divulgare, non solo nell’ambiente accademico, l’importanza delle emozioni e la necessità di collegare le emozioni con la parola e con il pensiero. Le emozioni sono componenti fondamentali dell’esistenza individuale e collettiva, risorse da conoscere ed utilizzare per un miglior rendimento nella vita sociale, relazionale, affettiva, scolastica e sociale. 

Attraverso l’intelligenza emotiva tutti i sentimenti del soggetto inserito vengono ad acquistare importanza e significato: si può sviluppare un atteggiamento mentale e culturale, in base a cui nelle istituzioni sociali (dalla famiglia alla scuola, dalle istituzioni sanitarie all’industria) vale la pena attivare e sviluppare negli individui, non solo competenze cognitive e tecniche, ma anche competenze e motive e relazionali.

Laddove in un gruppo si creano condizioni di rispetto reciproco, è fondamentale dare cittadinanza e legittimare tutte le emozioni, insegnando ai soggetti a riconoscerle, esprimerle e rispettarle reciprocamente negli altri.

Prima di autori come Gardner e come Goleman la Psicologia scientifica concentrava i suoi studi su un tipo d’intelligenza limitata, quella rappresentata dal quoziente d’intelligenza tradizionale (Q.I.) , in base al quale le persone possono venire classificate in intelligenti e non intelligenti, in base ad un dato genetico immodificabile dall’esperienza.

L’intelligenza emotiva al contrario dell’intelligenza misurata con il Q.I. si può apprendere, perfezionare ed insegnare. Può essere l’oggetto di un impegno generalizzato di sensibilizzazione e di formazione rivolto a tutti i ruoli sociali e professionali, specie quelli connessi a funzioni di aiuto, di cura, di tutela, di educazione, di assistenza.

L’intelligenza basata sul Q.I. rischiava di essere stigmatizzante,  e sicuramente si limitava a classificare gli individui in modo statico. L’intelligenza emotiva apre una prospettiva dinamica e trasformativa.