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8. «Ritorna la democrazia»
Il neoliberismo in Nicaragua

Con le elezioni del 25 febbraio del 1990, in Nicaragua fa il suo ingresso il neoliberismo economico, causa prima della situazione disastrosa in cui oggi si trova il paese. Nonostante la sconfitta elettorale, il Frente Sandinista de Liberación Nacional (Fsln), portavoce delle aspettative di giustizia e di sviluppo delle fasce più povere del paese, che costituiscono la maggior parte della sua popolazione, resta comunque il partito più forte e più organizzato, con il 41% dei voti espressi, in opposizione ad una maggioranza costituita da una coalizione di ben quattordici partiti di varia tendenza politica (dai conservatori ai liberali, passando per i socialisti ed i comunisti).
«Adesso la palla si trova dall'altro lato, dunque noi, fratelli nicaraguensi, ci impegnamo come militanti sandinisti a continuare nella difesa di questo Nicaragua libero dal 1979. Ci saranno dei codardi che tradiranno come Giuda in momenti come questi, però il popolo non ha mai tradito, perché non può tradire se stesso».


Daniel Ortega, 27 febbraio 1990

Il cambio di governo del 1990 non è un semplice evento elettorale, bensì il primo passaggio pacifico di poteri in oltre mezzo secolo di storia del paese. Inoltre, non meno importante, è il fatto che per la prima volta nella storia del mondo, una rivoluzione si sottopone alla prova elettorale, accettando le regole della democrazia formale. Non solo, accetta pure la sconfitta, diostrando in tal modo la diversità storica della Rivoluzione popolare sandinista. Del resto, non v'è dubbio che l'insediamento di Violeta Barrios alla presidenza, agli occhi di Washington rende molto più omogenea la situazione politica moderata del Centro-America, dove, nel corso di circa un decennio, le varie tirannie di estra vengono poco a poco sostituite con «democrature», ossia dittature mascherate da una facciata democratica. Inoltre, nel nuovo governo «democratico», i cui ministri vengono nominati direttamente da Violeta, compaiono parecchi parenti della presidente: basta nominare il primo ministro Antonio Lacayo, suo genero. Ma, del resto, la storia del Nicaragua può anche essere scritta attraverso le vicende delle quattro famiglie principali, fra loro da secoli strettamente imparentate: Chamorro, Lacayo, Cuadra e Cardenal.
Solo per fare qualche piccolo esempio, il primo ministro del nuovo governo è Antonio Lacayo Oyanguren, marito di Cristiana Chamorro, figlia di Violeta; l'ex contra Alfredo César è sposato in seconde nozze con Silvia Lacayo, sorella di Antonio e tesoriera generale della Repubblica; Carlos Hurtado, ministro degli interni, è il marito di una cugina di Lacayo. Ma il primo ministro è anche imparentato con alcuni importanti esponenti sandinisti: è infatti cugino del generale Joaquín Cuadra Lacayo e del colonnello Oswaldo Lacayo, entrambi membri dello stato maggiore dell'Esercito popolare sandinista (Eps). Infine, è nipote del presidente del Consiglio supremo elettorale, il sandinista Mariano Fiallos Oyanguren.
Immediatamente dopo il 25 febbraio, con la sconfitta elettorale del Frente Sandinista, inizia una delicatissima fase di transizione per il passaggio dei poteri alla coalizione vincente. All'interno di questa trattativa, uno dei nodi più importanti da sciogliere è quello dell'Eps: Humberto Ortega può provvisoriamente restare a capo dell'esercito (sino alla smobilitazione dei contras ed al recupero di tutte le armi distribuite alla popolazione dal governo sandinista), ma non ministro della difesa, e deve assolutamente dimettersi dalla Direzione nazionale del Fsln. I capi della controrivoluzione, assieme al vice presidente della Repubblica Virgilio Godoy, esigono però il completo smantellamento dell'Esercito popolare sandinista, attraverso la rimozione di tutti i capi militari. Così, a metà aprile, Daniel lancia un allarme: «Siamo alle soglie di una vera e propria guerra civile: la mancata smobilitazione dei contras mette in pericolo il passaggio dei poteri». Dal canto suo, Miguel Obando y Bravo scarta completamente l'ipotesi di una ripresa della guerra civile, poiché «Entrambe le parti condivideranno il potere: la Uno quello politico, i sandinisti quello militare».
Nel frattempo, si susseguono numerosi scioperi in varie imprese statali: gli autotrasportatori, i postelegrafonici, gli addetti all'acquedotto, gli insegnanti ed i minatori. La richiesta più pressante è quella di consistenti aumenti salariali, poiché con il cambio di governo la popolazione non è più disposta a fare i sacrifici sopportati a causa della guerra e del blocco economico.
Nonostante i problemi, comunque il passaggio dei poteri avviene regolarmente il 25 aprile, all'interno dello stadio di baseball «Rigoberto López Pérez».
«Ella [Violeta Barrios] non affronta nessun tema. Appare, sorride. Dà la mano a qualcuno. Se ne va. Nei suoi discorsi elettorali v'è abbondanza di lacrimosi riferimenti al suo amato sposo e scarsità di quasi tutto il resto».


Times, novembre 1989 

Il nuovo governo, però, non dispone di una maggioranza sufficiente per apportare modifiche sostanziali alla Costituzione del 1987 e la sua stessa base parlamentare è tutt'altro che solida, data la forte eterogeneità della coalizione della Uno. Il passaggio dei poteri e la transizione non sono così facili per un paese in cui tutte le strutture sono permeate di sandinismo: dall'esercito alla polizia, dai sindacati all'apparato burocratico, dalla Costituzione alla Corte costituzionale. Ed a ciò si deve aggiungere che l'eterogenea coalizione vincitrice non ha alle proprie spalle un'organizzazione di base e buona parte dei suoi dirigenti è animata da un forte istinto vendicativo che è pari solo alla sua incompetenza. Per questo, da parte del gruppo moderato della coalizione vincitrice, viene immediatamente cercato un accordo («concertación») con l'opposizione sandinista, innanzitutto sulla delicata questione dell'esercito.
Fra l'altro, gli accordi di transizione per il passaggio dei poteri, prevedono il totale disarmo della contra, il che fa venir meno il maggior strumento politico-militare di pressione nei confronti del Fsln.
Subito, però, all'interno del nuovo governo si delineano due tendenze: un'ala moderata (rappresentata dalla presidente e da Antonio Lacayo) e l'estrema destra (capeggiata dal vice presidente Virgilio Godoy, dal sindaco di Managua Arnoldo Alemán e dall'ex capo della contra Alfredo César, presidente dell'Assemblea nazionale). Per avere un'idea della situazione, al vice presidente della Repubblica non viene neppure riservato un ufficio all'interno del palazzo presidenziale ed, addirittura, più di una volta gli viene impedito l'accesso. L'obiettivo di queste due fazioni, però, è identico: eliminare completamente il sandinismo e le conquiste di dieci anni di rivoluzione. La differenza sostanziale è soltanto nella strategia adottata: il gruppo «moderato» cerca soprattutto la stabilità di governo, per cui si mostra disposto a scendere a patti con i sandinisti (senza la cui «benevolenza» il paese sarebbe del tutto ingovernabile) e le forze sociali attraverso una serie di accordi di transizione («concertación»), i quali vengono però in buona parte disattesi. Il secondo gruppo mira invece all'eliminazione (anche fisica) del sandinismo, per cui chiede a gran voce la soppressione dell'Eps, la formazione di polizie private, la confisca delle terre e delle abitazioni assegnate dal governo sandinista all'interno della riforma agraria.
Già nel mese di luglio del 1990, scendono in sciopero oltre cinquantamila lavoratori pubblici, a causa del continuo peggioramento della situazione economica (solo in maggio, primo mese di attività del nuovo governo «democratico», l'indice dei prezzi al consumo supera il 100%) e dei continui tentativi di cancellare le conquiste rivoluzionarie. Chiedono anche di poter discutere il Programma economico e la cessazione delle privatizzazioni delle App (cooperative).
Dopo la sconfitta elettorale, per il Fsln non è certo facile la ripresa ed al suo interno iniziano a delinearsi due tendenze: la prima individua nel dialogo e nel negoziato con il governo, la via per mantenere la stabilità sociale, mentre la seconda (più intransigente e coerente nel suo ruolo di partito d'opposizione) è ben decisa a difendere le conquiste della Rivoluzione popolare sandinista e gli interessi delle classi più deboli, anche attraverso l'uso di metodi di lotta radicali, se necessario.
In questi ultimi anni, la conflittualità sociale è molto elevata, soprattutto a causa di vari fattori: la crescente pauperizzazione e la disoccupazione, fanno aumentare notevolmente gli episodi di violenza, sia nelle città che nelle campagne (furti, omicidi, violenze sessuali, ecc.), e Managua diviene una città estrema-mente pericolosa, soprattutto di notte. Le famiglie povere occupano i terreni incolti nel centro della capitale, per costruirvi case di cartone e lamiera zincata. I «licenziati» dall'Esercito popolare sandinista (che cambia la propria denominazione in «Esercito nazionale»), fanno causa comune con alcuni gruppi di ex contras, accomunati dalla medesima situazione di indigenza e dalle promesse disatese dal governo. In questo senso, l'ondata di violenza non obbedisce a posizioni ideologico-politiche, ma è semplicemente dettata dalla pura disperazione.
Nel frattempo, è costante il tentativo dell'estrema destra (Alemán, Godoy, César) di strumentalizzare questa situazione. Del resto, líunica contropartita ed i contras riescono ad ottenere in cambio della smobilitazione, è il diritto a formare i cosiddetti «poli di sviluppo», ossia territori tutti per loro (che in otto anni di guerra non riescono a conquistare). Ma il governo di Violeta si impegna anche ad offrire finanziamenti, progetti di sviluppo ed altri numerosi benefici a livello economico, mai realizzati.
Già all'inizio di maggio, quindici giorni dopo l'insediamento, il nuovo governo si trova a dover fare i conti con uno sciopero a tempo indeterminato di tutti i dipendenti pubblici, in risposta al decreto che abolisce la sicurezza del loro posto di lavoro: molti edifici pubblici vengono occupati dai lavoratori, i quali impedicono l'ingresso ai ministri ed agli alti funzionari. Inoltre, chiedono un aumento salariale del 200%, poiché i primi provvedimenti economici assunti dal nuovo governo ottengono l'unico risultato di svalutare il córdoba del 260% in soli venti giorni, il che significa un raddoppio dei prezzi.
Dopo varie altre manifestazioni di piazza (con anche alcuni morti fra i lavoratori, causati dalla polizia), all'inizio di luglio si giunge alla costruzione di vere e proprie barricate nelle vie di Managua, che ricordano il clima insurrezionale del 1979. Daniel legge alla radio un appello alla calma e contemporaneamente invita Violeta al dialogo con i lavoratori. Pochi giorni dopo, il 19 luglio, oltre centomila persone partecipano alla manifestazione per l'XI anniversario del trionfo della Rivoluzione popolare sandinista.

Che cos'è il neoliberismo?
Questa corrente di pensiero inizia negli Anni Settanta, in seguito alla crisi dell'economia a livello mondiale. In questo periodo termina, infatti, la fase di crescita economica che si registra a partire dal dopoguerra. Questa crisi, poi, si aggrava ulteriormente con il rialzo del prezzo del petrolio nel 1973.
Il liberalismo è la base del capitalismo e si fonda sull'individualismo e sulla libertà di impresa. La nuova fase inizia dopo circa quarant'anni in cui è notevole l'intervento dello Stato in tutti i settori dell'economia. I neoliberisti vogliono che l'impresa privata riprenda il controllo totale dell'economia, anche in quei settori gestiti dallo Stato. Per loro, infatti, lo Stato è solamente un elemento di disturbo nell'ordine naturale delle leggi di mercato. Le soluzioni da loro proposte sono pertanto:
- privatizzazione e liberalizzazione dell'economia;
- abolizione dei programmi di previdenza sociale e per la casa; leggi sul salario minimo ed a favore dei sindacati; dazi sulle importazioni; controllo dei prezzi; eliminazione dei sussidi di varia natura.
L'obiettivo principale è, infatti, la massimizzazione dei profitti degli imprenditori privati. A questo criterio vengono subordinate tutte le necessità sociali, poiché l'unica cosa che conta è il lucro economico.
Insomma: per i neoliberisti, il mercato è la base di tutto.
Intanto, nelle campagne, alcuni gruppi di contras (rientrati all'inizio del 1990), si costituiscono in bande armate dette recontra ed effettuano azioni terroristiche di saccheggio, assaltano le cooperative ed uccidono numerosi militanti sandinisti. L'estrema destra, dal canto suo, legittima questa situazione, con l'obiettivo di indebolire la politica di «concertación» e di pregiudicare sia la ripresa economica che la raccolta del caffè, in modo da creare una sempre maggior difficoltà al governo ed avere più forza contrattuale. Il sorgere di questi gruppi armati, fa sì che alcuni nuclei di sandinisti «licenziati» dall'Eps si costituiscano in recompas, altrettanto armati, per proteggere le persone, le terre e le cooperative.
Anche nelle città (soprattutto a Managua), si costituiscono gruppi armati che provocano attentati, disordini ed aggressioni a sindacalisti ed a militanti sandinisti. Questo stato di tensione culmina il 9 novembre del 1991, con la profanazione e la parziale distruzione della tomba-monumento di Carlos Fonseca, sulla Plaza de la Revolución, il che scatena la furia popolare che porta all'assalto del municipio e di alcune emittenti reazionarie sia nella capitale che in altre città del paese.
Il processo di trasformazioni sociali realizzato dal governo sandinista negli Anni Ottanta, sebbene con limiti ed errori, rappresenta indubbiamente un mutamento storico fondamentale nella storia del paese, facendolo uscire dalla condizione di «Repubblica delle banane». Questo processo avviene sia per quanto concerne una maggior distribuzione della proprietà privata, riducendo sensibilmente il latifondismo, che facendo sorgere nuovi soggetti economici; al tempo stesso sviluppa la capacità organizzativa e rappresentativa di numerosi settori in precedenza totalmente esclusi (contadini, operai, donne, giovani e così via). Il modello socioeconomico del governo sandinista si orienta verso una struttura che ha come centro la base sociale delle cooperative ed il settore statale, unitamente ai piccoli e medi proprietari. All'interno di questo schema, variano anche in maniera rilevante gli spazi dell'imprenditorialità tradizionale, ma non scompaiono del tutto. La controriforma neoliberista degli Anni Novanta assolve al compito di disarticolare questo modello economico sandinista ed il ruolo centrale inizia ad essere svolto dai settori commerciale e finanziario, mentre relega in una posizione del tutto subordinata i settori maggiormente produttivi del paese.
In Nicaragua, il modello neoliberista segue una politica di bassa inflazione, la quale ha come inevitabile contropartita un sempre più elevato tasso di recessione e di disoccupazione (che alla metà degli Anni Novanta supera il 60% della popolazione economicamente attiva).
Gli effetti della politica neoliberista, come vedremo entro breve, sono gli stessi (oramai ben noti) dell'insieme dei paesi del Sud del mondo. Con l'apertura al libero mercato, la produzione precipita e la disoccupazione tocca livelli impensabili; lo Stato, progressivamente spogliato delle sue funzioni economiche attraverso successive privatizzazioni, ha una capacità sempre minore di offrire un minimo di sicurezza sociale o di garantire il mantenimento stesso delle istituzioni educative e sanitarie; il costo dei prodotti di base, inoltre, aumenta di giorno in giorno e la valuta straniera viene in buona parte utilizzata per importare beni di lusso.
Del resto, il progetto neoliberista applicato a questo paese già duramente provato da una guerra di aggressione e da un blocco economico, persegue una serie di fini estremamente chiari e precisi:
Le disastrose conseguenze di una simile politica economica risultano evidenti sin dai primi an-ni: fra il 1980 ed il 1992, la popolazione nicaraguense cresce del 51,8%, mentre il Prodotto interno lordo (Pil) registra un calo del 16%: il che significa un reddito procapite sempre più basso. Il 68,5% degli abitanti soffre di una forte carenza nutrizionale, dovuta all'impossibilità economica di accedere ai beni primari di consumo alimentari. La mortalità infantile, ridotta al 3,7% durante i dieci anni del governo sandinista, già alla fine del 1992 risale vertiginosamente al 7,2%. Nello stesso periodo, il 70% della popolazione più povera del paese riceve solamente il 23,7% del reddito nazionale, il 10% dei più ricchi accumula il 34,7%, mentre il restante 20% dei nicaraguensi riceve il 28%. Il potere d'acquisto dei salari, dal 1980 al 1992, cala di oltre l'87%.
Secondo i dati ufficiali del ministero delle costruzioni, il deficit abitativo al settembre 1992 viene stimato in quattrocentoquarantamila case e cresce ogni anno con una media del 6% (tasso registrato nel periodo 1990-1995): ciò significa che oltre due milioni e mezzo di nicaraguensi non dispongono di un'abitazione degna di questo nome. I tre quarti della popolazione (cioè oltre tre milioni) non ha l'acqua potabile ed il 78,8% non possiede servizi igienici.
Nel settembre del 1991, il cardinale Miguel Obando y Bravo chiede al popolo nicaraguense di «collaborare» con generose offerte alla costruzione della nuova cattedrale, per la quale occorrono tre milioni di dollari (quattro miliardi di lire). Con questa cifra, si potrebbe risolvere il problema di dodicimila famiglie senza abitazione, costruendo duemilacinquecento case prefabbricate di trentasei metri ciascuna, in ciascuna delle quali può vivere una famiglia di cinque persone. Con la stessa cifra si potrebbe risolvere il problema dell'oramai cronica mancanza di medicine negli ospedali del paese, proprio mentre il colera si va diffondendo in tutta l'America Latina. Infine, si potrebbero mettere in atto alcuni progetti produttivi.
In fondo, oggi, gli scaffali dei supermercati sono stracolmi di merci e la televisione trasmette spot pubblicitari di prodotti carissimi: che importa se pochi hanno i soldi per comperarle. Ciò che conta è l'illusione del benessere, garantito dal potente vicino del nord, il quale a metà maggio invia il nuovo ambasciatore, Henry Shlaudeman: in precedenza, questo personaggio presta servizio in Guatemala nel 1954, quando viene fatto cadere il governo progressista di Jacobo Àrbenz; poi nella Repubblica Dominicana nel 1965, sino all'invasione dei marines; infine in Cile sino al golpe contro Salvador Allende.
Nel corso dei primi due anni di governo neoliberista, l'Esercito popolare sandinista (Eps) viene drasticamente ridotto: da oltre settantamila uomini nel 1990, passa a meno di quindicimila nel 1993; inoltre, pur restando agli ordini di Humberto Ortega, ne assume la «direzione politica» la stessa Violeta, la quale ricopre ad interim la carica di ministro della difesa. Eppure, sin dai primi mesi del nuovo governo, esso gioca l'importante ruolo di intermediario fra i nuovi governanti ed il Fsln; durante gli scioperi dell'agosto del 1990 riesce persino a mantenere l'ordine, evitando gratuite ed inutili violenze; ma il suo ruolo di difensore apartitico del governo, fa sorgere nuove e sempre più gravi contraddizioni.
D'altro lato, soprattutto nelle campagne, l'Eps non è in grado di garantire la sicurezza nei confronti dei gruppi armati di ex contras; anzi, proprio sotto la pressione del governo, spesso non interviene neppure. Ciò significa che in talune zone del paese, la popolazione si trova del tutto indifesa e la stessa produzione viene minacciata dai continui episodi di violenza e di distruzione.
Il primo congresso del Fsln, che si svolge nel luglio del 1991, è incentrato soprattutto sulla congiuntura politica ed alle votazioni per la dirigenza interna, viene confermata nuovamente la vecchia Direzione nazionale che gestisce il partito ed il governo durante i dieci anni di rivoluzione (con sole due sostituzioni: entrano Sergio Ramírez e René Núñez al posto di Humberto Ortega, che si dimette per restare a capo dell'esercito, e di Carlos Núñez, deceduto poco dopo la sconfitta elettorale). Daniel viene eletto segretario del partito, mentre il suo seggio all'Assemblea nazionale resta occupato da Sergio Ramírez, capogruppo parlamentare.
Sergio RamÌrez
Sergio Ramírez
Questo primo congresso vede prevalere la linea del gruppo più radicale, ma nel suo insieme il partito trova difficoltà nell'elaborare una strategia chiara e precisa in relazione alla politica del governo. Questa difficoltà rispecchia, comunque, la situazione generale (molto intricata) del paese in cui, se da un lato il Fsln vuole collaborare con l'ala moderata del governo al fine di evitare sempre maggiori conflittualità, dall'altro la strategia economica del neoliberismo e l'affermarsi di un nuovo somozismo, fanno nascere grandi e gravi contraddizioni sulle strategie da adottare per difendere il progetto storico sandinista.
L'accelerata e radicale apertura dell'economia nicaraguense alle importazioni, conduce poco a poco al collasso numerosi settori della produzione nazionale, del tutto incapaci di sopportare la concorrenza delle merci straniere realizzate in condizioni produttive e tecnologiche enormemente superiori. Il panorama interno si presenta quindi difficile e teso: la fragile economia della fine degli Anni Ottanta (al termine della guerra di aggressione) viene aggravata dal problema di migliaia di smobilitati della contra e dal rientro degli sfollati, per i quali non esiste alcuna possibilità di integrazione all'interno del sistema economico e produttivo.
Fra il 1990 ed il 1991, inoltre, il rientro di oltre centomila nicaraguensi (soprannominati «Miami boys») rifugiatisi negli Stati Uniti durante i dieci anni di governo sandinista, importa nel paese una cultura consumista che si pone in netta antitesi con la situazione di spaventosa miseria e di disoccupazione oramai generalizzata. Infatti, questo massiccio rientro dei fuoriusciti (soprattutto da Miami), porta come conseguenza una nuova ricchezza, molto visibile, ma decisamente per pochi. Lungo le strade di Managua e delle altre città del paese, iniziano a circolare grosse automobili, nascono come funghi i locali di lusso e gli scaffali dei supermercati sono stracolmi di prodotti di importazione. Però, l'altra faccia della medaglia è un sempre maggior impoverimento della popolazione, il moltiplicarsi delle bidonville nelle periferie delle città (e soprattutto della capitale), di mendicanti, di delinquenza (omicidi, furti, stupri e rapine sono oramai all'ordine del giorno).
Inoltre, già nel 1991, un crescente malcontento pervade la base degli ex contras, a causa del mancato adempimento delle promesse governative di concedere le terra ai «combattenti per la libertà». Così, numerose bande ancora armate, si dedicano al brigantaggio nelle zone setentrionali del paese. In questo contesto, la conferma di Humberto Ortega a capo dell'Eps (poi, semplicemente, Esercito nazionale), vero e proprio strumento per la stabilità interna del paese, viene più volte giudicata inaccettabile da parte della Casa Bianca.
Secondo l'indice di sviluppo umano elaborato ogni anno dal Programma delle Nazioni unite per lo sviluppo, nei primi tre anni di governo neoliberista della signora Violeta Barrios, nel 1992 il Nicaragua scende di ben ventisei posizioni, arrivando così al 111° posto su 173 paesi. E ciò, nonostante la pace, la fine dell'embargo e del blocco economico imposti dagli Stati Uniti nel decennio precedente, oltre ai copiosi aiuti internazionali che giungono al nuovo governo: oltre 2,5 milioni di dollari in soli tre anni. Per sei anni, lo Stato ha a disposizione ingenti somme di denaro, provenienti dall'estero, ma vengono distribuite in modo ineguale. Inoltre, ministri e funzionari si abbandonano, nella più totale impunità, alla corruzione ed ai traffici generalizzati.
Il reddito procapite nel 1992 è di quattrocentoventi dollari all'anno, la speranza di vita è di soli 64,8 anni, l'analfabetismo risale precipitosamente al 22% e la frequenza scolastica media è di soli 4,3 anni. Questi sono i dati ufficiali di cosa sia questo paese dopo tre anni di governo «democratico», che segue alla lettera i piani di «stabilizzazione monetaria e di aggiustamento strutturale» imposti dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca mondiale. Questi piani infatti, per abbattere l'inflazione, tagliano tutte le spese sociali come la sanità e l'istruzione, settori letteralmente vitali per un paese povero.
Secondo l'Unicef, i bambini in condizione di «povertà estrema» sono oltre ottocentosessantamila e molti di essi vivono oramai quotidianamente per la strada e nei mercati, trovando nell'economica colla da falegname che quotidianamente sniffano, un momentaneo quanto illusorio sollievo alla loro tragica condizione. Ma tutto il paese è oramai scosso da violenza, criminalità, narcotraffico e consumo di droghe, dilagante prostituzione (anche infantile) ed altri fenomeni di notevole disgregazione sociale.
L'apertura al mercato internazionale si traduce, di fatto, in un sussidio alle importazioni di beni di consumo dai paesi del Nord del mondo, spesso di lusso e pertanto destinati ad una ristretta élite, mentre getta sul lastrico la piccola e media produzione nazionale ed, al contempo, indebita enormemente il paese: il deficit della bilancia commerciale, infatti, risulta triplicato fra il 1989 ed il 1992.
Ciò nonostante, il neoliberismo riesce ad aprire numerosi varchi e ad infiltrarsi anche fra le classi popolari, dato che l'unica cosa veramente importante è l'illusione di un possibile benessere. In nome della stabilizzazione monetaria e del pagamento del debito estero, la povertà cresce drammaticamente, mentre una ristretta minoranza si arricchisce in modo sempre più spropositato. Fra il 1990 ed il 1992, il reddito procapite diminuisce infatti del 10,9%.
È una catastrofe naturale a distruggere anche gli ultimi legami che mantengono unita la coalizione della Uno: il 1° settembre del 1992, alle ore 19,16 (ora locale) l'intera costa nicaraguense del Pacifico viene devastata da una serie di tre sismi consecutivi, i quali provocano un maremoto con onde che superano i quindici metri d'altezza. La scossa sismica è del 7° grado della scala Richter ed il bilancio indica: oltre cento vittime, centocinquanta dispersi, quattrocento feriti, oltre quattromila evacuati, oltre venticinquemila persone danneggiate.
Il giorno seguente, molti parlamentari chiedono un'interruzione temporanea della sessione proprio per affrontare il problema del maremoto. Ma il presidente dell'Assemblea nazionale, Alfredo César, respinge que-sta richiesta. Tutti i deputati del Fsln (trentanove) ed alcuni del «gruppo di centro» (appartenente alla Uno) lasciano l'aula. Nel mese di ottobre, i deputati sandinisti, alleandosi con questo nucleo di moderati, politicamente vicini alla presidente, rovesciano la maggioranza parlamentare di destra.
Le divisioni all'interno della Uno, che in realtà esplodono sin dall'estate del 1990, si aggravano infatti negli anni seguenti: la rottura dell'unità di questa coalizione è del resto inevitabile, data l'estrema eterogeneità delle sue componenti, alleate solamente in funzione antisandinista e senza un minimo programma di governo. Ad accentuare i contrasti, contribuisce anche la situazione economica del paese la quale, malgrado una certa ripresa sia dei crediti che degli aiuti internazionali, diviene sempre più difficile. L'approfondirsi della frattura fra il governo e la maggioranza di destra della Uno porta ad un crescente avvicinamento del primo al Fsln, sino alla rottura della coalizione elettorale ed alla nascita (nel gennaio del 1993) di una nuova maggioranza parlamentare di centrosinistra.
Anche all'interno del Fsln, alla fine del 1992, inizia a profilarsi una corrente interna di tendenza moderata. La cauta «collaborazione» del Fsln (o, meglio, del gruppo parlamentare sandinista, diretto da Sergio Ramírez) con il nuovo governo nei primi Anni Novanta, entra spesso in contraddizione con le rivendicazioni delle organizzazioni sindacali e della stessa base del partito, esasperata dalla crisi e dalle politiche restrittive dell'amministrazione di Violeta.
Non v'è dubbio che la vita politica nicaraguense, sin dai primi mesi successivi alla sconfitta elettorale del Fsln, si fa molto più complessa: Humberto Ortega, sin dai primi mesi del 1990 si dimette dalla Direzione nazionale del Fsln e per quanto riguarda l'Eps, lo stesso Frente Sandinista afferma che il suo compito è quello di difendere la Costituzione e, per la prima volta nella storia dell'America Latina, al potere v'è un governo di centrodestra difeso da un esercito di sinistra.
Un altro grave problema che il Fsln si trova ad affrontare, sono i massicci licenziamenti, che coinvolgono per primi i militanti sandinisti i quali, nella necessità di dover sopravvivere, non riescono più a svolgere la loro attività politica.
L'insopportabile fardello del debito estero, pari a 10,8 miliardi di dollari, equivale a circa duemilasettecento dollari a testa, neonati compresi. Nel 1992 il Nicaragua deve pagare 492,5 milioni di dollari di interessi, ma ne riesce a versare solamente duecento. E così pure per gli anni successivi, con cifre sempre più esorbitanti per pagare i soli interessi, ma che lasciano completamente intatto il debito e, con esso, la totale subordinazione del paese alle scelte economiche delle nazioni ricche del mondo. Del resto, negli Anni Ottanta, tutta l'America Latina sprofonda nella peggior crisi economica e sociale dell'ultimo trentennio: questi paesi produttori di materie prime ricevono molto meno per ciò che esportano e debbono pagare molto di più per i prodotti industriali ed i beni di consumo che importano.
Per far piacere al governo statunitense, Violeta rinuncia persino all'indennizzo stabilito dalla Corte dell'Aja come risarcimento per i danni di guerra: diciassette miliardi di dollari, cifra alquanto superiore rispetto al totale del debito estero del paese. In compenso, per ragranellare qualche spicciolo che non risolve il problema della crisi economica congenita e della ripresa produttiva, privatizza tutte le imprese statali più redditizie.
Secondo il governo, la privatizzazione delle imprese statali è necessaria per rispondere «alle necessità di modernizzazione dellíapparato produttivo del paese, riattivare líeconomia, diversificare la proprietà delle imprese ed attirare gli investimenti del settore privato». Fra le famiglie beneficiate, vi sono i Chamorro, i Lacayo, i Cuadra ed altri, che si impadroniscono della gestione di hotel, grandi allevamenti di bestiame ed imprese nel settore delle costruzioni e della metallurgia. Un dato indicativo: nel 1995, queste poche famiglie detengono il 51,6% dei beni privatizzati.
Le banche, privatizzate una dopo l'altra, offrono i crediti a tassi proibitivi e generalmente per investimenti poco o per nulla rischiosi, riducendo in tal modo le possibilità di espansione dell'economia. I piccoli e medi produttori, il cui sviluppo è fondamentale per il paese, sono infatti considerati «soggetti a rischio», con poche garanzie da offrire; per cui vengono completamente esclusi da qualunque forma creditizia da parte delle banche, privatizzate dal governo. L'apertura commerciale indiscriminata, inoltre, smantella praticamente la debole industria manifatturiera nazionale.
Anche a livello dei servizi sociali, la situazione peggiora notevolmente: Humberto Belli, il ministro dell'istruzione indicato direttamente da Obando y Bravo a ricoprire questa carica, fa bruciare ben settemila libri di testo stampati durante il governo sandinista e li sostituisce con altri, pagati direttamente dagli Stati Uniti: in essi, oltre a trasmettere una retriva cultura cattolica, non si parla di Sandino e della lotta di liberazione contro la dittatura somozista. Come se ciò non bastasse, il governo neoliberista sopprime tutte le sovvenzioni per l'educazione, cede molte scuole elementari e medie ai privati, i quali fanno pagare tasse spropositate rispetto alle entrate medie di una famiglia nicaraguense. Per quanto riguarda l'istruzione superiore, taglia i contributi alle università e diminuisce le borse di studio. Già Somoza fa affidamento sull'ignoranza della popolazione per mantenere ab aeternum il proprio potere e fra gli obiettivi preferiti dai contras vi sono le scuole ed i maestri. Non v'è alcun dubbio che la politica educativa del governo «democratico» persegue gli stessi fini, aiutato dal cardinale Obando y Bravo, il quale fonda una nuova università cattolica, l'Unica (Universidad católica), in evidente e diretta opposizione all'Uca (Universidad CentroAmericana), gestita dai gesuiti, ritenuti fiancheggiatori della Rivoluzione popolare sandinista.
Per un verso, liberatosi dal ruolo subalterno rispetto al Fsln, il sindacato inizia poco per volta a riconquistare il proprio ruolo storico di difensore dei diritti dei lavoratori, smettendo di essere una semplice cinghia di trasmissione del partito, come durante i dieci anni di governo sandinista. D'altro canto, le lotte rivendicative sono limitate rispetto al compito primario della difesa della rivoluzione. Il Fsln stesso, dopo la sconfitta elettorale, incoraggia l'autonomia del sindacato e delle forze sociali, tanto da poter riprendere il ruolo di protagonista nella contrattazione con il governo.
I licenziamenti di massa, la confisca delle terre, la parziale assegnazione del 25% delle imprese ai lavoratori all'interno della privatizzazione delle varie aziende, provocano numerosi scioperi ed occupazioni di imprese nel periodo compreso fra il 1990 ed il 1991. La situazione è, quindi, estremamente problematica: la differenza di realtà all'interno delle singole imprese, provoca inoltre una parcelizzazione delle centrali sindacali ed il movimento operaio si trova diviso fra coloro che lavorano e coloro che non hanno un lavoro (i quali sono la maggioranza).
Il sindacato deve quindi affrontare una situazione del tutto nuova, in cui il ricorso allo strumento dello sciopero, se da un lato conduce il governo al tavolo delle trattative, dall'altro aumenta notevolmente la conflittualità sociale ed ostacola la ripresa produttiva del paese.
Il ricambio della vecchia dirigenza sindacale riceve una spinta sempre maggiore proprio per iniziativa spontanea della base e dall'organizzazione di movimenti che sorgono dall'esasperazione e dalla fame che provocano scontri nelle strade (anche con la costruzione di barricate) ed il blocco delle attività produttive.
L'estrema destra, comunque, accusa il Fsln di strumentalizzare il sindacato e cerca di costituire sindacati di comodo all'interno delle varie imprese, mentre i lavoratori si trovano a dover affrontare un atteggiamento sempre più repressivo da parte del governo: la predisposizione governativa di far ricorso alla forza per reprimere le manifestazioni dei lavoratori, infatti, fa sì che sempre più spesso la polizia si trovi a dover intervenire.
Sin dal cambio di governo, la cooperazione estera è estremamente significativa: fra tutti i paesi in via di sviluppo, il Nicaragua è quello che riceve l'aiuto procapite più alto del mondo. Fra il 1990 ed il 1994 è di centottantadue dollari all'anno per abitante. Ciò nonostante, già nel 1995 il Nicaragua è il secondo paese più povero del mondo, preceduto solamente da Haitì. Infatti, le entrate provenienti dalla cooperazione estera, vengono per l'80% destinate al pagamento del debito estero, per il 10% alla stabilizzazione monetaria e solo per il restante 10% alla riattivazione del mercato interno, attraverso l'espansione del commercio e dei servizi. Nei primi due anni del governo «democratico» di Violeta, questo sistema funziona abbastanza bene, ma attualmente non produce più alcun effetto positivo. La scommessa del governo neoliberista, infatti, consiste soprattutto nel lottare contro l'inflazione, diminuendo la domanda e quindi i consumi. Da ciò deriva una serie di inevitabili conseguenze: non soltanto le imprese locali non vendono più, poiché la maggioranza della popolazione non ha più un lavoro fisso, ma il capitale straniero è soprattutto di tipo speculativo.
Gli indicatori economici del Nicaragua sono fra i più bassi dell'America Latina: la mortalità infantile raggiunge il 72 per mille dei nati vivi già nel 1990 ed il 22% dei bambini compresi fra i sei ed i nove anni d'età presentano una moderata od alta denutrizione. Oltre centocinquantamila bambini non frequentano la scuola e l'evasione scolastica elementare raggiunge oramai il 50%. Nel 1990 il bilancio per la sanità è del 4,97%, mentre nel 1993 scende al 3,96%; ugualmente, la spesa procapite per l'educazione scende dai 20,3 dollari del 1988 ai 13,3 del 1993.
Nel frattempo, per tutta la prima metà degli Anni Novanta gli interessi sul debito estero continuano a crescere ed i prezzi internazionali dei principali prodotti d'esportazione del Nicaragua (caffè, zucchero e cotone) subiscono un crollo mai visto; oltre a ciò, i paesi sviluppati del Nord del mondo continuano ad imporre barriere, dazi, divieti d'importazione ed applicano una serie di misure politico-economiche in sostegno dei loro produttori locali. In questo panorama internazionale, il Nicaragua si vede obbligato a contrarre notevolmente le proprie esportazioni, per cui i piccoli e medi produttori si vengono a trovare in seria difficoltà (persino su cosa debbono produrre).
All'inizio del 1992, in perfetta sintonia con l'estrema destra nicaraguense, il senatore statunitense Jesse Helms, noto per le sue posizioni estremamente reazionarie, chiede a gran voce la restituzione delle proprietà confiscate durante i dieci anni di governo sandinita. Molti nicaraguensi espropriati, del resto, oggi sono cittadini statunitensi. Un'altra richiesta di questo buon «democratico», è il ricambio ai vertici e la ristrutturazione sia dell'esercito che della polizia nicaraguensi, come se si trattasse di un paese appartenente alla confederazione statunitense. Non v'è dubbio che l'amministrazione Bush è più che consenziente, tant'è che già nel mese di maggio sospende l'assistenza economica al governo di Managua: blocca l'invio di ben centoquattro milioni di dollari, i quali consentirebbero di ottemperare agli impegni assunti dal governo nei confronti del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale.
Nel 1993 la miseria è oramai generalizzata fra la maggioranza dei nicaraguensi, tanto che un'indagine condotta dalla Fao alla fine del 1992, conferma che il 70% della popolazione manifesta un'acuta deficienza nutritiva, dovuta all'impossibilità economica di accedere ai beni di consumo alimentare.
Arnoldo Alemán
Nel rapporto di Amnesty international del 1993 si legge: 
«La guerra conclusasi nel 1990 ha lasciato in eredità una situazione politica di polarizzazione, un clima di violenza alimentato da gruppi armati e condizioni sociali ed economiche sempre più deteriorate. (...)
«La continua violenza alimentata da gruppi armati costituiti da ex ribelli e da altri, spinti da ideali sia politici che morali, si inseriva in un contesto caratterizzato da gravi problemi postbellici fra cui le richieste di terra e sicurezza economica avanzate dai ribelli smobilitati, nonché drammatici livelli di povertà e disoccupazione. I cosiddetti recontra (ex membri dei contra, conosciuti anche come Resistencia nicaragüense [...]) ebbero degli scontri con l'esercito dopo aver terminato occupazioni ed attacchi nelle regioni settentrionali e lungo la Costa Atlantica. Anche i recompas, costituiti in gran parte da membri smobilitati dell'oramai ristretto Esercito popolare sandinista, hanno continuato le loro proteste armate, con lo scopo di ottenere terre ed aiuti economici. In marzo, alcuni esponenti dei recontra e dei recompa si coalizzarono, creando i revueltos [mescolati; NdR], che occuparono le città, bloccarono l'accesso alle strade, si impadronirono delle terre ed organizzarono altri tipi di proteste». 
Piuttosto che migliorare le condizioni di vita dei sempre più numerosi abitanti della capitale, Arnoldo Alemán, il sindaco di Managua, si preoccupa di cancellare la memoria del recente passato. Del resto, Alemán è un ex proprietario terriero espropriato dalla Rivoluzione popolare sandinista, che sconta persino sei mesi di carcere per i suoi legami con la dittatura. Così come il capostipite della dittatura, dopo averlo assassinato, cerca di far dimenticare il nome e le gesta del generale degli uomini liberi, all'inizio del 1993 questo ex ministro somozista stabilisce che il quartiere dedicato alla memoria di Cristián Pérez (un guerrigliero caduto durante la lotta di liberazione), si torni a chiamare «Salvadorita»: appellativo di una progenitrice di Anastasio Somoza. In realtà, sin dal 1990, inizia a cambiare la toponomastica della capitale, tanto che muta persino il nome della Plaza de la Revolución, ritornando all'originario Plaza de la República. Uno dei pochi nomi che non ha intenzione di modificare, è quello dell'aeroporto: secondo lui, infatti, «Sandino era un liberale, non un sandinista».
Nello stesso periodo, nel nord del paese numerosi scontri fra contadini armati e gruppi di recontras; dal canto suo, il governo e l'esercito offrono un dialogo (oltre alle abituali regalie di tipo economico) a tutti coloro che accettano di riconsegnare le armi, mentre viene minacciata una dura repressione nei confronti degli altri. D'altro canto, nei primi anni di governo, Violeta ed i suoi mantengono solamente il 40% delle promesse fatte in campagna elettorale nei confronti di quella che oramai viene definita «Resistencia nicaragüense», ed il Fsln fatica non poco a convincere la propria base a non riarmarsi per difendersi dai sempre più numerosi attacchi di queste bande sopravvissute al cessate il fuoco.
Le stesse forze dell'ordine vengono accusate di non riuscire a frenare questa continua spirale di violenza, poiché nelle zone del nord l'antica Polizia sandinista è oramai formata da ex contras, i quali lasciano agire indisturbati i vecchi commilitoni. In tal modo, il numero delle vittime aumenta di giorno in giorno, tanto che in alcune zone i responsabili del Fsln non possono neppure uscire dai centri abitati per timore di essere uccisi.
In base ai dati forniti dall'Eps, se nel 1992 vi sono ancora seicento uomini armati (in maggior parte ex contras), dopo solo un anno essi aumentano notevolmente e passano a circa duemila fra recontras e recompas (sandinisti riarmati). Però, anche questa sempre maggiore spirale di violenza è dovuta essenzialmente alla crescente situazione di miseria che vive il paese.
La situazione nicaraguense, infatti, peggiora giorno dopo giorno, tanto che il 74,8% delle famiglie, tre soli anni dopo il cambio di governo, presenta una vera e propria situazione di povertà, mancando da una a quattro delle seguenti necessità di base:
Il 43% delle famiglie si trova oramai in una condizione di estrema povertà, mentre quelle povere costituiscono il 31% e solamente il 25% viene classificata come non indigente. Il 65% dei nuclei familiari nelle aree urbane presenta un certo livello di povertà.
Ad eccezione di Managua, dove il livello di povertà risulta al di sotto del 60%, la percentuale negli altri dipartimenti (regioni) del paese sulla costa del Pacifico si trova al di sopra del 70%. Nei restanti dipartimenti, l'80% della popolazione non ha modo di soddisfare le necessità di base, con l'aggravante che il 50% delle famiglie soffre di una situazione di vera e propria indigenza.
Già nello stesso 1993 la disoccupazione viene stimata al 50% e, per di più, le condizioni di povertà sono ancor più gravi nelle fasce giovanili e le bande di giovani, soprattutto a Managua, crescono come funghi.
Per varie fasce marginali della popolazione, del resto, la delinquenza comune o l'azione politica violenta costituiscono l'ultima, estrema risorsa. In tutto il paese, il numero dei delitti è infatti quintuplicato fra il 1983 ed il 1993 e decuplicato nella sola capitale, dove l'opulenza dei Miami boys convive con una miseria sempre più crescente e generalizzata. Questo aumento della delinquenza viene del resto facilitato dalla grande quantità di armi ancora in circolazione nonostante la fine della guerra e dalla latitanza quasi completa della Polizia nazionale (ex Polizia sandinista).
La politica di privatizzazioni e di stabilità monetaria che, secondo il «credo» liberale classico dovrebbe stimolare l'investimento privato (sia nazionale che estero), si scontra però con realtà sociali e politiche del tutto particolari: primo fra tutti, lo scarso dinamismo della borghesia nicaraguense, abituata ad elevati tassi di profitto ed alla protezione statale. Dal canto loro, gli stranieri esitano ad investire i loro capitali in un paese nel quale le infrastrutture sono del tutto obsolete e le tensioni politico-sociali sono continue: di certo, gli altri paesi centroamericani offrono loro migliori condizioni.
La politica delle privatizzazioni diviene, così, un vero e proprio dogma: miniere, foreste, alberghi, imprese statali di vario tipo vengono letteralmente svendute. E questo modello, con la sua ingiusta ripartizione della ricchezza, conduce direttamente a scontri sociali anche di notevole portata.
Fra le varie svendite del patrimonio pubblico (che passano sotto il nome di «privatizzazioni»), il governo neoliberista rinuncia persino ad Aeronica, la linea aerea nazionale che presenta un utile annuo di oltre cinquanta milioni di dollari. L'acquirente è un impresario salvadoregno, la cui consorte appartiene alla famiglia Somoza, antica proprietaria della compagnia aerea «nazionale».
Dall'estate del 1993, i rapporti fra il Fsln ed il governo si deteriorano progressivamente, anche in seguito all'ulteriore aumento delle tensioni sociali, le quali sfociano persino in episodi di violenza e scontri armati. Questo anno è infatti costellato da numerosi e spettacolari «incidenti» (cattura di ostaggi, occupazione della città di Estelí, occupazione dell'ambasciata nicaraguense in Costa Rica, sciopero insurrezionale dei trasportatori) ed oramai le rivendicazioni d'ordine economico superano abbondantemente le considerazioni ideologiche di parte.
Fra la fine del 1993 e l'inizio del 1994, l'Assemblea nazionale approva una serie di riforme istituzionali, le quali modificano sensibilmente le regole relative alle elezioni presidenziali. Queste nuove disposizioni prevedono un'elezione a doppio turno e stabiliscono che nessun presidente della Repubblica può ripresentarsi per un secondo mandato. Però, questa limitazione va ben oltre la singola persona, poiché il divieto si estende anche a tutti i familiari del presidente in carica. Ovviamente, il primo a farne le spese è Antonio Lacayo, capo del governo ma al contempo genero di Violeta.
Come si è visto in precedenza, sin dalla metà degli Anni Settanta all'interno del Fsln convivono gruppi con orientamenti diversi: le tre correnti rivoluzionarie originali hanno in comune alcune questioni di strategia, ma presentano concezioni sociali relativamente diverse. Benché l'obiettivo contrapposto alla dittatura somozista sia un programma di trasformazioni sociali, la direzione del movimento guerrigliero è composta da persone provenienti dalle classi medie urbane e da un certo numero di intellettuali ed appartenenti alla borghesia che prendono le distanze dagli interessi della propria classe sociale d'origine.
Non meraviglia, quindi, che all'interno del Fsln, una volta perso il potere nel 1990, nascano divergenze di natura anche notevole. Così, durante il congresso straordinario del Fsln, che si svolge nel 1994, avviene una spaccatura con la corrente moderata dei cosiddetti «renovadores», ossia con coloro che si riconoscono nelle posizioni politiche del capogruppo parlamentare Sergio Ramírez.
Le divergenze che emergono a causa della sconfitta elettorale, si trasformano in serie contrapposizioni (con anche inutili, quanto squallide offese sul piano personale), le quali culminano con l'allontanamento di Ramírez dalla Direzione nazionale del Fsln e dal seggio che occupa nell'Assemblea nazionale (in quanto supplente di Daniel). Nel congresso di maggio, la maggior parte dei quattrocento delegati, esprime il proprio voto a favore delle tesi della corrente denominata «Sinistra democratica», capeggiata da Daniel e lascia in minoranza il gruppo ramirista «Per un sandinismo che torni alle maggioranze» (287 voti contro 147).
Mentre la «Sinistra democratica» ritiene che le tesi ramiriste indichino un evidente spostamento a destra, che rappresenta un allontanamento dalle classi popolari e dagli ideali della Rivoluzione popolare sandinista, il gruppo «Per un sandinismo che torni alle maggioranze», mirando ad ottenere l'appoggio della borghesia progressista, vede nella ricandidatura di Daniel a segretario generale del Fsln il maggior ostacolo alla presentazione di un'immagine rinnovata e più moderata del partito.
Per alcuni sandinisti, provenienti dalle fila della piccola e media borghesia nazionale (in fondo, con radici liberaldemocratiche), nella situazione di mutamento sociale ed istituzionale operato dal governo di Violeta in cui lo Stato viene ricostruito essenzialmente a favore di una borghesia finanziaria o commerciale (intermediaria con l'estero), risulta arduo non inserirsi all'interno di questo nuovo contesto socioeconomico e politico.
Tornando alla situazione generale del paese, a quattro anni dalla sua ascesa al potere, Violeta presenta oramai un'immagine decisamente offuscata rispetto a quella con la quale si presenta alle elezioni. Il tanto sbandierato «raggiungimento della pace», punto di forza del suo governo, non viene più apprezzato da parecchi nicaraguensi. Un'inchiesta realizzata a Managua dalla Borges & Associati, riflette infatti le seguenti opinioni:
Questi giudizi espressi dagli intervistati, si debbono, in buona parte, all'inflessibile applicazione del programma di privatizzazioni delle imprese statali, per non parlare della privatizzazione «occulta» della salute e dell'educazione, il cui accesso è oggi totalmente a pagamento.
Con la ratifica dell'Esaf (accordo firmato senza discussione alcuna con il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale), il governo evidenzia la propria scelta di sottomettersi senza discussione alle decisioni degli organismi finanziari internazionali, che mai nella loro storia contribuiscono a far uscire un solo paese dal sottosviluppo.
Invece di risollevare l'economia, questo accordo fa letteralmente naufragare le speranze di migliaia di nicaraguensi, sia quelli disoccupati sin dal 1990 che i nuovi settemila del 1994. Infatti, pur generando un aumento di liquidità per le casse dello Stato, gli aiuti internazionali vengono in gran parte finalizzati al pagamento degli interessi sul debito estero ed a programmi prestabiliti, per cui resta ben poco per assegnare crediti alla produzione. Non a caso, proprio in questo stesso anno, emerge drammaticamente il problema del pagamento del debito estero, che sempre più sprofonda il Nicaragua in un baratro senza uscita, impedendogli di convogliare le risorse sullo sviluppo.
L'Esaf porta anche ad un notevole abbassamento del generale tenore di vita, tanto che, nonostante le smentite governative, i prezzi del combustibile, dell'energia elettrica, degli alimenti e di molti beni di consumo quotidiano, aumentano di settimana in settimana. Così, a meno di due anni dalla scadenza del mandato, Violeta perde indubbiamente molto del suo prestigio, tanto che il suo governo ha oramai la fama di essere il più corrotto nella storia del paese (a detta di molti, peggio anche del periodo somozista).
Alla fine del 1994, gli indicatori sociali del paese sono fra i più bassi dell'America Latina: in media ogni donna partorisce sei figli, ma il 25% dei bambini fra i sei ed i nove anni soffre di una denutrizione moderata o severa; vi sono notevoli lacune anche nel settore dell'educazione primaria, con oltre un milione e mezzo di bambini che non frequentano la scuola; l'alto grado di diserzione scolare presenta una percentuale del 50% a livello elementare ed anche un alto tasso di ripetenti, vicino al 20% nella scuola primaria. Il 21% della popolazione in età scolare non ha più accesso all'istruzione ed il tasso di analfabetismo risale vertiginosamente al 40%. I maestri ricevono un salario che riesce a garantire loro soltanto un terzo dell'alimentazione di base.
Per il 34,3% dei casi, la gestione della famiglia viene assunta dalle donne e cio è dovuto soprattutto all'abbandono od alla morte dell'amico o del compagno. Di tutte queste donne capofamiglia, il 56,2% non presenta alcun livello di istruzione, oppure una non completa scolarizzazione primaria; del resto, il 25% delle donne nicaraguensi è oggi analfabeta. Notevole è pure il tasso di analfabetismo di ritorno, soprattutto nelle campagne. Per il settore sanitario, nel 1989 il governo sandinista spende trentacinque dollari per abitante, mentre nel 1995 questa cifra scende a quattordici dollari. Meno della metà.
Le cattive condizioni dell'acqua e la mancanza di servizi sanitari, inoltre, espongono buona parte della popolazione a numerose malattie, specialmente nelle zone rurali, dato che gli approvigionamenti idrici sono possibili solamente sul 18% del territorio ed i servizi igienici ne coprono esclusivamente il 9%. Per comprendere la situazione igienica del paese dopo cinque anni di neoliberismo sfrenato, è sufficiente ricordare che alla fine del mese di ottobre del 1995 ben diciotto persone muoiono per un'epidemia le cui origini sono completamente sconosciute, mentre almeno altre mille persone sono ricoverate in ospedale. Nelle zone rurali, il 60% delle famiglie vive in uno stato di estrema povertà. La stessa Banca mondiale ritiene che l'80% dei contadini non abbia acqua potabile ed il 30% sia privo di elettricità. La speranza di vita, che nell'ultimo periodo del governo sandinista raggiunge i sessantasei anni, ridiscende a meno di sessanta, a causa dell'aumento delle malattie infantili, la cui frequenza cresce con la denutrizione. La mortalità infantile balza dal 58 per mille del 1990 al 72 per mille del 1995.
Secondo i dati dell'Unicef, oltre centomila bambini lavorano, occupati in attività più o meno legali, od anche marginali, per poter mangiare (e spesso per far sopravvivere la loro famiglia). D'altro canto, si conta un altissimo numero di minorenni (la metà dei quali si concentra a Managua), con deboli legami familiari.
Il 1994, pertanto, significa privazioni ancor più pesanti per la fasce deboli della popolazione: il potere d'acquisto dei salari, infatti, si riduce ulteriormente; la miseria si estende a migliaia di famiglie, a causa della mancanza di assistenza sanitaria, di occupazione, di alimentazione e di educazione. Su questa situazione, pesa sicuramente in maniera notevole proprio l'attuazione dell'accordo governativo con il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale (Esaf), a cui si aggiunge la fase di paralisi a livello politico, dovuta all'interminabile scontro fra i vari partiti. Tutto ciò produce nei nicaraguensi una sorta di atteggiamento apatico e sempre più diffidente nei confronti della politica e soprattutto dei partiti.
L'elemento che maggiormente contribuisce ad acutizzare la crisi interna del Fsln è che il gruppo parlamentare, diretto da Ramírez, assume decisioni a nome del partito, senza però consultarlo. Occorre rilevare che, purtroppo, non avviene un serio dibattito politico all'interno del Frente Sandinista, fra i gruppi che difendono posizioni differenti. Nel mese di maggio del 1995, in coincidenza con il centenario della nascita di Sandino, l'ex vice presidente della Repubblica ed ex capogruppo sandinista all'Assemblea nazionale, fonda il Movimiento Renovador Sandinista (Mrs). Così, il gruppo di minoranza decide di uscire dal Fsln, trasformandosi in partito indipendente per presentarsi alle elezioni del 20 ottobre del 1996 (le quali, peraltro, con oltre trenta candidati alla presidenza, rappresentano una grande incognita per il futuro del Nicaragua e dei nicaraguensi). Naturalmente, dopo questa scissione, Daniel riprende possesso del proprio seggio parlamentare, lasciato per cinque anni al suo sostituto.
Non si può dire che, nel complesso, il 1995 sia un buon anno per il Fsln. Le contraddizioni interne, cresciute con il passare degli anni a partire dal 1990, conducono alla creazione di un nuovo gruppo politico, il Movimiento Renovador Sandinista (Mrs), che rivendica come il Fsln il legame storico con Sandino.
La rinuncia di Sergio Ramírez, scrittore di prestigio ed ex vicepresidente del Nicaragua, dà inizio ad una serie di defezioni allíinterno del Fsln, anche fra militanti che nel corso degli anni si distinguono per la loro attività, come il poeta Ernesto Cardenal e suo fratello Fernando, oltre ad un buon numero di intellettuali e di tecnici che negli Anni Ottanta sono i principali esecutori, attraverso i loro incarichi di governo, della politica sandinista.
Líanno 1995, caratterizzato da un clima preelettorale, segna definitivamente una nuova fase del processo politico che vive il Nicaragua, iniziato con la sconfitta del Frente Sandinista nel febbraio del 1990. Secondo numerosi sondaggi d'opinione svolti durante il 1995, la destra neosomozista di Arnoldo Alemán ha circa il 35% dei consensi, mentre il Fsln si attesta sul 23% ed il Mrs sul 4%.
Secondo i portavoce governativi, per il terzo anno consecutivo, líeconomia nicaraguense riesce a raggiungere nel 1995 un tasso di crescita del 4%. Da questa crescita, però, la maggioranza della popolazione che cerca di sopravvivere commerciando ai semafori e frugando fra i rifiuti, non riceve alcun vantaggio. Secondo i dati elaborati dal ministero del Commercio estero e dalla Banca centrale, le esportazioni nicaraguensi raggiungono i cinquecento milioni di dollari, grazie soprattutto alla commercializzazione di prodotti non tradizionali.
Secondo la rivista Cable centroamericano, questa crescita economica si riflette nellíapparente ripresa del settore agricolo: la produzione del caffè, dai novecentomila quintali del 1994, raggiunge il milione e duecentomila nel 1995; la principale coltivazione della parte occidentale del paese, ossia il cotone, che viene abbandonato nel 1992/1993, riprende e raggiunge la meta di quindicimila manzanas coltivate, anche se la speranza è quella di raggiungere le ventimila.
Sempre secondo questa pubblicazione, edita da un centro privato diretto da Silvio Mayorga (ex presidente della Banca centrale), anche la produzione dei prodotti primari cresce e la raccolta dei fagioli raggiunge la cifra record di un milione e seicentomila quintali e quella di mais i cinque milioni e mezzo di quintali.
Nei primi tre mesi del 1995, il commercio presenta un incremento medio dellí8%, rispetto allo stesso periodo del 1994, però la ripresa dellíinflazione erode il potere díacquisto dei consumatori e frena pertanto questa crescita. Infatti, nellíultimo trimestre del 1995 si registra una seria contrazione delle vendite, causata dalla politica di contenimento di circolazione di flusso monetario promossa dal governo.
Un documento distribuito dallíUnicef («Nicaragua: obiettivi e possibilità di un paese di donne e di bambini»), mette in dubbio questo miglioramento dellíeconomia. Secondo questo rapporto, infatti, lí86% della popolazione che vive in zone rurali ed il 55% delle aree urbane, non riesce a provvedere alle necessità primarie. La povertà raggiunge il 70% della popolazione e, di questa, il 23% vive in condizioni di estrema povertà, il 16% in condizioni di indigenza o di miseria assoluta.
Alla fine del 1995, su poco più di quattro milioni di abitanti (dei quali oltre il 50% ha meno di vent'anni), ottocentomila sono disoccupati e, fra la popolazione economicamente attiva, solo uno su sette ha un la-voro regolare: la maggior parte della popolazione si dedica al mercato informale ed a qualunque altra attività (più o meno legale) pur di sopravvivere.
Come si è detto, l'industria occupa da sempre un ruolo del tutto marginale in questo piccolo paese essenzialmente agricolo; ma, dal canto suo, l'agricoltura non è certo messa molto meglio. Il Nicaragua è, storicamente, un paese esportatore di prodotti agricoli di base. Con il sistema neoliberista si trasforma in un importatore di generi alimentari. Tutti gli sforzi per mantenere od accrescere la produzione di caffè per l'esportazione (ad esempio), si scontrano con la costante caduta dei prezzi sul mercato mondiale. Infatti, mentre il quintale di caffè-oro (la qualità più pregiata) negli Anni Ottanta si vende ad una media di centoquarantatré dollari, nel 1993 il suo prezzo scende a soli cinquantaquattro dollari. Il deficit della bilancia com-merciale dilaga così in modo spaventoso: se nel 1990 è di trecento milioni di dollari, dopo soli due anni sale vertiginosamente a seicentocinquanta milioni di dollari. Inoltre, le banche non sono assolutamente interessate a finanziare l'agricoltura e l'allevamento.
Già nel 1995, il governo dà per concluso il processo di privatizzazione delle imprese statali, in conformità con quanto stabilito negli accordi di concertazione economico-sociale siglati nel 1992, secondo i quali i rappresentanti dei vari settori sociali, politici ed economici riconoscono la necessità di vendere le imprese controllate dallo Stato, escluse quelle di servizio pubblico.
Questo processo, iniziato nel 1993, si trasforma però, secondo le denunce di dirigenti politici e del settore imprenditoriale, in un vero e proprio business fra funzionari statali a causa della mancanza di una legge di regolamentazione dei criteri di privatizzazione.
Secondo i dati forniti dall'Istituto interamericano per la cooperazione agricola (che ha sede a San José, in Costa Rica), alla fine del 1995 in America Centrale ben sette persone su dieci vivono in stato di indigenza e, per invertire questa situazione, ci vorrebbe una crescita economica del 6,4% annuo per un periodo di quindici anni. In una situazione di povertà vive oggi il 69% dei nicaraguensi, il 79% degli honduregni, l'82% dei guatemaltechi e l'88% dei salvadoregni.
Non v'è dubbio che, nonostante la guerra ed il blocco economico imposti dal governo di Washington, durante il decennio rivoluzionario la popolazione nicaraguense vede maggiormente tutelato il diritto ad una società giusta ed equa. E, soprattutto, conquista una dignità che in questi ultimi anni è costretta, volente o nolente, a perdere per non morir di fame. Il mandato di Violeta Barrios si chiude quindi con un bilancio del tutto negativo: depressione economica, diseguaglianza sociale, crisi istituzionale, manifestazioni anche violente di protesta, divisione dei partiti politici.
Il «nuovo» ordine economico che il governo della signora Violeta Barrios sostiene da quando ha preso il potere (ossia, quello della restaurazione delle condizioni preesistenti alla Rivoluzione popolare sandinista) mette radici. Nonostante i privilegi riconquistati dallíantica classe dominante, continuano però a resistere segni del processo rivoluzionario degli Anni Ottanta che non si riescono a cancellare.
Ciò nonostante, dati i mutamenti anche di posizione politica durante gli anni del governo neoliberista, vari sondaggi attestano che oltre la metà della popolazione nicaraguense si dichiara delusa sia dal governo centrista di Violeta Barrios che del Frente Sandinista. La maggior parte dei consensi vanno infatti alla destra neosomozista di Arnoldo Alemán, candidato alle presidenziali del 1996 per il Partito liberale costituzionalista.
Un tale degrado non può essere imputato esclusivamente al governo: deriva dalle scelte delle politiche monetariste imposte dagli organismi finanziari inernazionali. Dal canto suo, però, il gruppo di potere che per sei anni ha in mano le redini del governo, possiede notevoli interessi nei settori commerciale e finanziario: perciò, non desidera altro che una rapida accumulazione, quale che sia il costo a livello sociale.
«Le circostanze delle prossime elezioni sono assai diverse da quelle del 1990. Ciò significa che non ci sarà più guerra, né servizio militare. Abbiamo dato la nostra parola e qui lo giuriamo: non ci sarà più il servizio militare nella nostra Patria. (...)
«Dobbiamo recuperare il voto della gente che si era vista obbligata a votare per la Uno nel 1990. Dobbiamo dire loro: "Bene, oggi la situazione è ancora peggiore. Se vogliamo che ci sia stabilità, pace e che il Nicaragua possa migliorare, nel 1996 bisogna votare per il Fsln". (...)
«Siamo oramai vicini alle elezioni del 1996 e tutti i sandinisti debbono essere di esempio come maturità e rispetto verso l'attività delle altre forze politiche. Un esempio nel rispettare le leggi del nostro paese, perché dovremo essere esemplari nella stabilità, che è quello che desidera il popolo nicaraguense. (...)
«Nei liberali abbiamo un avversario contro cui bisogna lottare con grande dedizione. Non li temiamo, ma non possiamo sottovalutare questa forza politica, che esiste da prima del Fsln e di Sandino. Questo significa che tutti dovremo lavorare duro per vincere le elezioni (...)».


Daniel Ortega, 19 luglio 1995

Dopo oltre mezzo secolo di storia convulsa, la situazione del paese si traduce quindi in una forte polarizzazione fra destra e sinistra. Viene da chiedersi che senso hanno le parole «democrazia» e «libertà» se la maggior parte della popolazione sprofonda nella miseria e non ha più i mezzi per esercitare i propri diritti individuali e sociali?
Chiedersi come e cosa potrebbe essere oggi il Nicaragua se avesse potuto godere di una lunga stabilità come quella del vicino Costa Rica, è un esercizio teorico che non conduce a nulla. Se è vero che dal río Grande alla Patagonia, le crisi politiche ed economiche devastano praticamente tutti i paesi dell'America Latina per vari decenni, non si può però scordare che poche nazioni, come il Nicaragua, subiscono così tante interferenze nel loro processo di sviluppo. E non ci riferiamo solamente all'ultimo trentennio di lotta antisomozista e di difesa dall'aggressione controrivoluzionaria: in fondo, è la stessa storia della rottura dell'unità centroamericana (successiva all'Indipendenza), che prosegue con le buone intenzioni frustrate del governo di José Santos Zelaya e con i tradimenti dei vari Chamorro, Díaz e Moncada.
La storia di questo paese è fatta di conquistadores, capi indigeni, filibustieri, marines, partiti oligarchici di uno o dell'altro segno politico, guerriglieri e mercenari di varia nazionalità, eroi e vendepatrias che sfilano costantemente davanti agli occhi del popolo nicaraguense, il quale di volta in volta fa da semplice spettatore o da fervido protagonista.
RubÈn DarÌo
Rubén Darío
«La schiavitù è figlia delle tenebre; un popolo ignorante è lo strumento cieco della propria rovina; l'ambizione e l'intrigo si avvalgono della credulità e dell'inesperienza di uomini privi di ogni nozione politica, economica e civile: adottano come realtà le pure illusioni; interpretano la licenza come libertà, il tradimento come patriottismo, la vendetta come giustizia. (...)
«Il sistema di governo più perfetto, è quello che produce la maggior quantità possibile di felicità, la maggior sicurezza sociale e la maggior stabilità politica».


Simón Bolívar, Discorso di Angostura, 1819 

Come scrive il poeta nazionale Rubén Darío, riferendosi agli intrighi per far cadere Zelaya: «Prego Dio che voglia portare la pace nel mio paese. Si dice che gli Stati Uniti sono intervenuti in tutto questo. Se ciò fosse vero, come pare, è disdicevole che un'altra nazione si intrometta negli affari interni del Nicaragua», il quale «non chiede altro che poter sviluppare, in pace ed in tranquillità, la propria industria ed il proprio commercio, non chiede altro che poter conservare il proprio posto al sole e poter continuare il proprio cammino (...)».


Per approfondire questi argomenti, si consiglia la lettura di:

Manuel Plana e Angelo Trento, L'America Latina nel XX secolo, Ponte alle grazie 1992
Giuliano Urbani e Francesco Ricciu (a cura di), Dalle armi alle urne, Il mulino 1991
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