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Changzhou Chronicle Pt. 9

Speciale Tibet

Ottobre 2003

 

Il Tibet ha sempre occupato una dimensione mistica nella mia immaginazione e venendo in Cina era una delle mete che mi ero prefissata. Tra il 19 Settembre e il 6 Ottobre sono finalmente riuscita a vederlo con i miei occhi. Per ulteriori foto di questo viaggio clicca qui.

Il confine della Regione Autonoma del Tibet e’ stato tracciato piuttosto arbitrariamente agli inizi del ‘900, lasciando una buona meta’ della popolazione tibetana in zone limitrofe (Cina, India, Nepal e Buthan).

Il mio viaggio e’ iniziato dal cosiddetto Tibet Esterno, nelle regioni cinesi del Sichuan, Gansu e Qinghai. Qui e' piu' facile muoversi autonomamente, perche' non vigono le restrizioni e il controllo che imperversano in Tibet. Si possono usare i trasporti pubblici e l'atmosfera e' rilassata, con un’apparentemente pacifica convivenza di tibetani, musulmani e cinesi han.

Una volta arrivati nel Tibet Interno, invece, scatta la burocrazia ed e' necessario procurarsi permessi e viaggiare in gruppo: agli stranieri e' vietato muoversi liberamente o prendere autobus con i locali. In un'atmosfera di aperta ostilita' tra tibetani e cinesi (e mi fermo qui, perche’ vorrei portare a termine il mio contratto in Cina) ho avuto la fortuna di condividere il viaggio con persone simpatiche e il risultato e' stato una vacanza indimenticabile.

 

 

19-22 Settembre:

Shanghai-Chengdu-Songpan-Langmusi

Arrivo a Langmusi da Chengdu dopo piu’ di 20 ore di viaggio, in mezzo a montagne, praterie verdi, yak e cielo azzurrissimo. Sulle colline sventolano bandiere colorate, che diffondono nell’aria le preghiere. Queste bandiere, collocate in luoghi sacri per la tradizione tibetana (monti, laghi, passi) mi accompagneranno lungo tutto questo viaggio.

Ri-passo da Songpan (vedi CC Pt.8). Fa piu' freddo del previsto.

Sull'ultimo autobus, l'unico altro straniero e' Takuo, un ragazzo giapponese che ha iniziato da qualche mese il giro del mondo. Saremo compagni di viaggio per 4 giorni. Gli altri passeggeri dell’autobus sono locali, per lo piu’ tibetani. Quando arriviamo su un passo, lanciano coriandoli con mantra propiziatori dal finestrino del bus.

A 3.500m di quota, Langmusi e’ un delizioso villaggio tibetano a cavallo del confine Sichuan-Gansu. Ci sono un monastero su ogni sponda del torrente e una moschea per la folta comunita’ musulmana.

A Langmusi e’ possibile assistere a uno dei riti tibetani piu’ suggestivi. La tradizione vuole che in Tibet i morti non vengano cremati (in molte zone la legna scarseggia) o sepolti (il terreno in inverno sarebbe troppo duro), ma offerti al cielo. Il rito del funerale celeste viene praticato ancora oggi nella maggioranza delle comunita’ tibetane: su un colle nascosto alla vista viene allestito uno spazio cerimoniale, dove i cadaveri vengono fatti a pezzi e lasciati come banchetto per aquile, avvoltoi e corvi. Nelle foto, il cimitero celeste di Langmusi. Nessun morto a Langmusi mentre ci siamo noi, cosi’ la nostra curiosita’ viene appagata da un paio di ascie e le ossa dei giorni precedenti.

   Cimitero Celeste a Langmusi

Altre attrazioni: i numerosi maiali sulle strade e l’internet cafe’ affollato da monaci che giocano al computer.

 

23-24 Settembre

Langmusi-Xiahe

Veniamo adottati da un gruppo di studenti d’arte di Hangzhou e con loro arriviamo a Xiahe (Gansu).

Il Monastero Labrang e’ il piu’ grande monastero tibetano fuori dalla Regione Autonoma del Tibet ed e’ una meta popolarissima tra i pellegrini. Il perimetro del monastero (3 km circa) e’ contraddistinto da una sfilata di rulli di preghiera e viene percorso dall’alba al tramonto da tibetani dal passo veloce, arrivati dalle regioni vicine.

E’ uno spettacolo molto suggestivo e il primo contatto con la ritualita’ del KORA, una costante di questo viaggio: per espiare il karma negativo, i pellegrini percorrono  ripetutamente il perimetro di templi, monasteri, laghi e montagne sacre, rigorosamente in senso orario. Mentre camminano spediti, fanno girare i tamburi di preghiera e ripetono all’infinito la formula “Om Ma Ni Pad Me Hum”. I piu’ devoti svolgono il kora prostrandosi, con grembiuli e ginocchiere per risparmiare i vestiti.

All’interno dei templi, vengono offerte sciarpe votive, soldi, mollette e elastici per i capelli, frutta e burro di yak (usato come cera per le candele).

Trascorro ore ad osservare i pellegrini.

 

25-26 Settembre

Tongren e Qinghai Hu

Tongren e’ un altro villaggio tibetano, fuori dalle rotte usuali dei turisti, dove arrivo nel bel mezzo di un mega-raduno di lama. Una folla di monaci e donne tibetane dalle trecce lunghe legate insieme alle estremita’ si raduna nel cortile del tempio principale per ascoltare i canti dei lama.

Da qui proseguo per Xining, la capitale del Qinghai. Improvviso una gita a Qinghai Hu (il lago piu’ grande della Cina), dove trascorro una giornata sulla riva del lago, in mezzo a yak, pecore e pastori amichevolissimi. A parte qualche istante di panico in mezzo a degli yak non proprio contenti di vedermi, trascorro un pomeriggio splendido. Al ritorno incontro 3 pellegrini impegnati in un kora attorno al lago (piu’ di 200 km!!), in PROSTRAZIONE. Impiegheranno un mese per finirlo.

 

27-28 Settembre

Xining-Lanzhou-Chengdu-Lhasa

L’immagine del Potala Palace di Lhasa si trova un po’ dappertutto in Cina, dalle banconote ai poster sulle pareti dei ristoranti. Trovarselo di fronte all’arrivo a Lhasa e’ impressionante.

A 3,700m di altitudine, Lhasa e’ una citta’ vivissima. Nel Barkhor, il percorso attorno al Tempio Jokhang, l’attivita’ e’ intensa, con un brulichio di pellegrini che fanno il kora con rosari e rulli di preghiera portatili. I mercanti oltre al solito “Looke looke, cheap cheap” qui richiamano i turisti urlando “I love you”. Diversamente dal Tibet Esterno, gli uomini portano i neri capelli lunghi, raccolti in una treccia e fissati con un nastro rosso o nero. Le donne mi sorridono e mostrano la lingua in forma di saluto.

Il Barkhor

 

29 Settembre-6 Ottobre

Lhasa-Shigatse-Sakya-Everest Basecamp-Gyantse

Affitto una jeep per una settimana insieme a Oystein e Corinna (da Oslo) e Alex (Berlino). Il nostro autista rimarra’ fino all’ultimo giorno senza nome: la ritenzione dei nomi tibetani per gli occidentali e’ addirittura minore dei nomi cinesi e dopo avergli chiesto 4 volte come si chiama ci arrendiamo... E’ un bravo autista e meccanico, ma l’incomunicabilita’ e’ quasi totale. Nella conversazione piu’ lunga di tutto il viaggio, capiamo che ha 10 figli (dopo qualche giorno la notizia si ridimensiona a 1 solo figlio di 10 anni).

Partiamo con l’obiettivo di arrivare al Campo Base dell’Everest, ma c’e’ un grosso punto interrogativo: riusciremo ad arrivare tutti a 5,200 m di altitudine senza problemi? Gli altri hanno avuto 2-3 giorni per acclimatarsi a Lhasa, io spero che la settimana a 3,500 sia servita a qualcosa...

Per 7 giorni sono villaggi, monasteri, monaci, l’odore pregnante delle candele e del the al burro di yak, patate, riso e uova a colazione-pranzo-cena, alberghi senza acqua corrente dove nessuno pulisce da settimane, strade polverosissime (a ogni buca la visibilita’ DENTRO la jeep diminuisce sensibilmente), su e giu’ da passi a oltre 5,000 metri.

    

Il primo ottobre avvistiamo la catena dell’Himalaya, con ben 4 cime a piu’ di 8,000m in piena vista. L’Everest spicca fra tutti e il panorama e’ spettacolare.

Quando arriviamo a Rongbuk (il monastero piu’ alto al mondo, a quota 5,200), la faccia nord dell’Everest sorge imponente davanti a noi. Non c’e’ una nuvola.

Ci fermiamo in un dormitorio presso il monastero, su letti che non vengono rifatti da una vita ma con un vista mozzafiato dalla finestra. Fa un freddo incredibile, ma lo spettacolo del tramonto e’ imperdibile... cosi’ mi avvolgo in 20 strati di vestiario e resto un’ora a osservare la luce cambiare sul North Face.

           camera con vista

Il giorno dopo percorro a piedi i pochi km che portano al Campo Base (con molta calma: l’altitudine si nota, eccome), dove tira un vento da farci volare via.

E poi via di ritorno verso Lhasa, passando per Gyantse. In confronto a Lhasa e Shigatse, Gyantse ha mantenuto maggiormente il carattere tibetano. Ogni famiglia sembra avere almeno un vacca fuori dalla porta di casa, che oltre a dare latte contribuisce al rinforzo/isolamento dei muri (montagne di sterco vengono lasciate essiccare al sole, prima di finire sulle pareti delle case). La gente e’ particolarmente amichevole e l’atmosfera e’ piacevolissima.

Al settimo giorno, passato l’ultimo passo verso Lhasa, l’assale posteriore della jeep cede. Il nostro autista riesce in un ‘rattoppo’ miracoloso e cosi’ la nostra settimana si conclude senza grandi imprevisti.

  Yamdrok-So

A Lhasa ho ancora il tempo di fare un giretto sul Barkhor, per godermi un’ultima volta l’atmosfera religiosa dei pellegrini in kora attorno al tempio. Il 6 riparto alla volta di Chengdu e poi Shanghai.

 

Altre foto di questo viaggio:

Outer Tibet

Tibet Autonomous Region

 

  CC Part 8 CC Index CC Part 10  
         

 

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