Non Solo Naia

Chi di noi ha la fortuna di ricordare con chiarezza gli anni '80, non potrà sicuramente dimenticare un periodo di vero terrore. Quello dello scoperta del virus HIV. La peste del secolo. Così titolavano i quotidiani, un memento del male più temibile che afflisse la storia europea nelle due grandi epidemie che sconvolsero i secoli XIV° e XVII°.

Come per la peste nera anche per l'AIDS regnava l'incertezza sulla modalità di diffusione. Se vado in piscina e nuoto nell'acqua in cui ha nuotato un malato posso prendere il virus? E se parlo al contagiato, non sapendo che lo sia, è possibile contrarla come con un semplice raffreddore? Fortunatamente, a differenza dell'epidemia di peste nera, ai suddetti quesiti ci fu una risposta sufficientemente celere, e non si manifestarono fenomeni di isterismo collettivo come con i flagellanti trecenteschi: nessuno andava in giro ad affermare che l'AIDS fosse una punizione divina inviataci per la corruzione morale dei fedeli. Tuttavia un malato di AIDS rimaneva una persona da evitare, da scansare, da biasimare, da stigmatizzare. Poi le cose man mano migliorarono.

L'informazione sempre più corretta da parte dei mass-media forniva alla popolazione - mondiale - delle conoscenze sempre più approfondite, sempre più dettagliate. Questo però è stato un lavoro faticoso e lungo e, a tutt'oggi, in piena crescita. Farà piacere a noi italiani sapere di essere stati parte in causa in questo lavoro di corretta informazione. Perché italiani in neretto? Perché chi contribuì attivamente in questo diffusione di conoscenze non furono i nomi altisonanti delle istituzioni pubbliche, ma persone semplici che, come si suol dire, erano e sono tuttora impegnate nel sociale.

Persone che la realtà della malattia l'avevano sperimentata con tutti i loro cinque sensi e non filtrata dalla statistiche di mortalità. Correva l'anno 1988 quando l'Associazione Nazionale Volontari Lotta contro i Tumori (ANVLT) e l'Associazione Lotta all'AIDS (ALA) si domandarono: cosa veramente sa la gente a riguardo di questi due grandi flagelli? La domanda si è subito ristretta all'ambito giovanile, perché l'unico sul quale da sempre si può intervenire tempestivamente e con più facilità modificandone conoscenze e quindi comportamenti, e perché, almeno per quanto riguarda l'AIDS, quello più interessato. Da questa capitale domanda le due associazioni hanno intrapreso un cammino che le ha portate fino a riconoscimenti della Comunità Europea per il lavoro dall'alto contenuto sociale svolto.

     

 

 

l cammino è stato reso possibile da quello che per antonomasia e nella coscienze collettive è uno degli ambienti più schematici, ma forse l'ultima isola veramente esistente dove si insegna la disciplina: l'ambiente militare. Così nel 1989, dopo attenta riflessione le associazioni hanno pensato bene di "sfruttare" il luogo più favorevole dove indagare le conoscenze dei ragazzi. Le caserme rappresentano l'humus più adatto per questo scopo. Giovani provenienti da tutte le regioni d'Italia, differenti per cultura e istruzione e compresi nella fascia d'età ottimale all'indagine, ovvero tra i 19 e i 26 anni. Furono quindi inviate una serie di comunicazioni ai vertici degli organismi militari e contemporaneamente vi fu una presa di contatto con le istituzioni pubbliche e private, nel tentativo di ottenere patrocini e contributi economici per finanziare questa impresa. L'idea del progetto fu inviato a "svariati indirizzi": al Capitano di Fregata, Al Comando della Marina Militare, al Comando della Scuola Sottufficiali, al Comando del III Corpo D'Armata. Purtroppo la sola voce consenziente, fra lo spettro di quelle a cui le due associazioni si erano rivolte, fu il Comando del III° Corpo d'Armata, ma fu sufficiente per intraprendere questa iniziativa senza precedenti. Citando la relazione che, l'allora coordinatore tecnico amministrativo del Programma di Prevenzione Tumori - AIDS, il sig. Osvaldo Previato espose nella conferenza stampa di presentazione del Programma Militare, tenutasi il 31 ottobre del 1989 nella Sala Alessi di Palazzo Marino, si possono fare alcuni dei nomi più importanti che diedero il via a questa iniziativa: " Oggi abbiamo dimostrazione della sensibilità di tutte le strutture che partecipano alla realizzazione di questo programma e mi sento in dovere di rimarcare la disponibilità del Comune di Milano nella persona del Sindaco Paolo Pillitteri e l'Assessore all'Igiene Piervito Antoniazzi, l'ospedale Ca' Granda di Niguarda nel presidente sig. Sergio Bressa, la Comunità Economica Europea ufficio di Milano dott.ssa Ghersoni, il III° Corpo d'Armata Colonnello Marco Grasso e il Capitano Medico Alessandro Suprani, l'Istituto d'Igiene dell'Università di Milano prof.ssa Fernanda Bergamini".

 

 

 

 

Queste furono le istituzioni coinvolte nel grande progetto che aveva come compito, citiamo le stesse parole del dottor Pilato, allora coordi natore scientifico del Programma di Prevenzione Tumori e AIDS: " [...] di dimostrare che due più due fa cinque; ecco, noi siamo quell'uno che non rientra negli schemi della matematica classica, quel grano che fermenta e che fa fermentare gli altri, che rimette insieme, che aiuta ad utilizzare a fondo le competenze, le ricchezze che i vari Enti possiedono e che magari rischierebbero di essere inutilizzate se non sottoutilizzate". (le due citazioni sono estrapolate dalla relazione di presentazione esposta alla conferenza stampa del 31/10/89 presso la Sala Alessi di Palazzo Marino). L'iniziativa fu "pubblicizzata" da maggiori quotidiani nazionali. Ecco come titolavano le varie testate all'indomani della conferenza tenutasi a Palazzo Marino: il Corriere della sera "Per la prima volta in caserma si parlerà di AIDS e di tumori"; il Giorno "Prevenzione in caserma contro il cancro e l'AIDS"; la Repubblica "Sondaggio sull'AIDS per 30mila soldati"; la Notte "Lotta anti AIDS nelle caserme. Accuse di latitanza al Comune".
Il Progetto Militari era in marcia, composto, ordinato e determinato. Dopo aver preso contatto con le varie istituzioni che si volevano coinvolgere, il programma ebbe inizio con un breve test conoscitivo in una caserma di Milano, attraverso un questionario appositamente preparato, volto a fare da apripista al progetto più esteso che avrebbe dovuto coinvolgere circa 15.000 militari "prelevati" da 42 caserme del Nord Italia appartenenti al III° Corpo d'Armata. In seguito a questo test, fu organizzato un seminario di aggiornamento per gli ufficiali Medici del III° Corpo d'Armata e dei medici volontari e borsisti delle Associazioni, presso l'Ospedale Ca' Granda di Milano.

 

A quel seminario, svoltosi il 5 dicembre dell'89, parteciparono ben sessanta ufficiali medici. Questo per informare il personale medico, militare e non, sulle mansioni che avrebbero svolto, in qualità di informatori sanitari, successivamente nelle caserme in cui si tenevano i corsi. Nel frattempo il progetto aveva ottenuto il patrocinio del Comune di Milano, del Ministero della Sanità, della C.E.E e stanziamenti economici. A spese delle associazioni era stata prodotta un videocassetta intitolata "i dieci Comandamenti", un relativo opuscolo che indicava le dieci regole capitali di informazione e profilassi in merito al cancro e all'AIDS e i questionari di entrata e uscita, che le due Associazioni e i vari collaboratori avrebbero dovuto distribuire ai ragazzi nelle caserme. Eccoci, quindi, all'attuazione vera e propria denominata 1ª fase: Cosa i giovani sanno sull'AIDS (e sui tumori)? Questa parte del programma, specificatamente indirizzata ai militari del III° Corpo d'Armata, è durata dal 1989 al 1991 interessando 11.000 militari (la cosiddetta prima fase ha avuto in realtà una durata complessiva di tre anni. Dal 1989 al 1991 per le caserme del Nord Italia coinvolgendo un totale di 11.000 militari e una elaborazione di dati, visto lo scarto dovuto a più fattori, su 10.000, e dal 1991 al 1992 per 5.000 militari della Regione Sicilia. In seguito la prima fase è stata riproposta ai tutti i corpi militari di Milano nel corso degli anni 1996 -1997, interessando 10.000 persone). I giovani di leva, venivano convocati in gruppi nelle aule delle caserme.

Veniva loro distribuito un questionario preliminare a scelta multipla la cui compilazione doveva avvenire in base alle loro conoscenze (tra le varie domande sul cancro si chiedeva: qual è la causa più frequente di morte in Italia ?; il cancro è una malattia contagiosa?; il sole fa sempre bene alla pelle? ecc. Per quanto riguarda l'AIDS le domande tipo erano: tutti i sieropositivi si ammaleranno di AIDS? il rapporto sessuale uomo-uomo può esporre al rischio di infettarsi? l'uso corretto del preservativo diminuisce il rischio di infettarsi? ecc.). Successivamente gli ufficiali medici, appositamente addestrati durante il seminario che poco sopra si menzionava, svolgevano un programma di informazione sanitaria sull'AIDS con durata e contenuti omogenei. I ragazzi potevano inoltre intervenire con domande di chiarimento rivolte agli ufficiali medici e, in seguito procedevano alla lettura di un opuscolo indicante le dieci regole fondamentali in merito al cancro e ai tumori.

 

Fornite le informazioni basilari, ai ragazzi veniva poi distribuito un nuovo questionario, detto questionario in uscita, che aveva lo scopo di sondare le differenze tra le conoscenze prima e dopo il periodo di informazione sanitaria, per verificare, quindi, sia l'effettivo grado di sapere dei giovani, sia cosa si poteva ottenere (sempre in termini statistici) con una adeguata e corretta istruzione sanitaria. I questionari erano rigorosamente anonimi. Tuttavia i giovani venivano invitati a precisare alcuni dati come l'età, la zone di residenza, il grado di urbanizzazione, il titolo di studio, l'occupazione nella vita civile e le abitudini al fumo. Diventava, infatti, importante stabilire delle correlazioni fra ciò che essi sapevano e ciò che essi erano, non certo per discriminare, ma per capire come intervenire per colmare eventuali lacune conoscitive e comportamentali. "Il piano A" era stato effettuato. I risultati? Sarà la fase B a svelarceli, ma per il momento tutto questo è top secret!


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