C L A U D I O   R O N C O

 

 

 

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A  “sculptural performance

by

C l a u d i o   R o n c o

 

 

«Potete guardare una scultura da cento o più lati,
un dipinto da uno solo.»

«You can look at a sculpture from a hundred or more sides,
at a painting from only one.»

Benvenuto Cellini

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C l a u d i o   R o n c o
– J.S. Bach: una infinità “sculturale

 

   «Il violoncello è una scultura, fatta di pieni e di vuoti, realizzata "cavando" materia dalla materia, finché l'opera che occupa uno spazio non diventa spazio anch'essa, spazio per altre opere, altri mondi.
    Così è, così deve essere ogni opera d'arte universale: luogo, spazio in cui l'atto di "sottrazione" genera oggetti la cui bellezza attrae e persuade con l'ineffabile incanto della levità. Questa è l'arte che può scendere nelle regioni più remote e profonde della "gravità" e della tragedia, per risalirne portatrice di messaggi sublimi.

   Suonare il violoncello significa "cavare" suoni gravi o lievi col gesto maestoso di un arciere che tende e rilascia il suo arco; significa "proiettare" il suono nello spazio dell'arte; significa "scavare" nelle profondità dell'animo umano, per rintracciarne la memoria più remota, l'origine, il senso primo e ultimo dell'Armonia nell'universo fisico e metafisico. Ma soprattutto significa "sottrarre" qualcosa a se stessi, per creare uno spazio vuoto nel quale accogliere l'esperienza dell'arte, che non può chiudersi e completarsi negli interni di un sé, di una personalità, neppure se apparentemente "grande" o "geniale".
   Questo è il senso e il significato dell'arte che potrebbe insegnarci un maestro antico: l'opera d'arte è un dono per l'umanità; come potremmo renderla "espressione del sé" senza ridurla a un effimero atto di vanità?

     La musica di Johann Sebastian Bach, dopo tre secoli di studio, di pratica, di amorose attenzioni, di appassionato ascolto, scrutata in ogni suo dettaglio e aspetto, esportata e tradotta in nuove e diversissime culture, ha raggiunto un grado di complessità sconosciuto alla sua epoca. Oggi "eseguire Bach" è un atto quasi sacerdotale, dove lo stesso concetto di "interpretazione" viene proposto con l'imbarazzo di chi non vorrebbe assumersi responsabilità così impegnative: Bach si vorrebbe offrire al pubblico moderno con l'umiltà del mero esecutore, piuttosto che attraverso le espressioni della personalità di un interprete. Ma in una società dominata dai media tutto ciò è inapplicabile; Bach dunque è un oggetto mediatizzato, un "individuo" astratto, sebbene storico, la cui personalità può essere attraente solo se mediata dalla personalità vivente e attuale di un "interprete-esecutore".
   Ecco allora che, inevitabilmente, nel nostro periodo storico vi sarà ben più di un "J.S. Bach", ognuno affiancato al nome di colui il quale –spesso suo malgrado– se n'è appropriato: il "Bach di Glenn Gould" o il "Bach di Gustav Leonhard"? "di Karajan" o "di Karl Richter"? E così, per conseguenza: Bach antico o Bach moderno? col pianoforte o con il clavicembalo? strumenti d'epoca e prassi storica, o moderne tecnologie applicate alla musica di un genio universalmente riconosciuto immortale (o "ineliminabile" dalla nostra memoria culturale)?...

   Il "mio Bach", dunque, non può non "essere presente" nel mio presente. A questa constatazione vorrei rispondere con l'idea che ha accompagnato tutti i miei anni di studio e pratica della musica e del violoncello: quella di condividere col pubblico dei miei concerti lo stupore di riconoscere sempre nuova e sempre diversa ogni vera opera d'arte, ad ogni incontro con la sua intrinseca complessità.
   Per questo, se non voglio che "il mio Bach" si aggiunga inutilmente ai tanti altri "modi di eseguire Bach" già presenti nel mondo –più o meno in conflitto fra loro, più o meno "autentici" o "attualizzati", più o meno "umili" nell'intenzione di "conservare un'arte" o più o meno attraenti nel rappresentare le "virtù" di quello o quell'altro moderno virtuoso–, io desidero almeno indicare al mio pubblico una visione di quest'opera che non derivi dal guardarla da un solo lato, come se fosse un'immagine bidimensionale osservata solo con il senso della vista, ma "incontrandola", come un oggetto osservabile da un infinito numero di lati e angolazioni, la cui percezione possa raggiungerci attraverso tutti i nostri sensi. E ancora: l'oggetto il cui spazio sia lo stesso in cui si muove il nostro corpo e, contemporaneamente, quello verso il quale muove la nostra immaginazione.

   La musica di Bach vorrei fosse eseguita e fruita come una scultura, nell'infinità di forme che può assumere in virtù dei soli spostamenti del nostro sguardo. Solo in questo modo il gioco di preludi e danze in sequenza che in ogni Suite Bach sviluppa nelle astrazioni della sua immaginazione musicale, sembra acquistare un significato convincente: quasi come se in quell'eterno, ininterrotto "danzare" di suoni armonici, ogni movimento del corpo si rovesciasse in movimento dell'anima, nel paradosso meraviglioso di un oggetto immutabile, che pure è sempre infinitamente nuovo e diverso ad ogni istante.»

Claudio Ronco,
Venezia, gennaio 2004.

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       «(...) A sculpture exists in space much like a human being or a mountain, a tree or a cloud, and in order to fully appreciate it we must approach it as we would a yet undiscovered territory.»
       «(...) Una scultura esiste nello spazio in modo assai simile a un essere umano o una montagna, un albero o una nuvola, e per aprezzarla appieno dobbiamo prima accedervi come faremmo in un territorio ancora inesplorato.»

D. Finn: “How to look at sculpture”

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      «(The sculpture) For the viewer it is a permanent "work in progress", it is never finished and offers an infinite variety of possibilities, depending on the angle from which we view it, how light falls on it, etc. Its impenetrability, its opaque resistance to light allows for an infinite number of new adventures of light and shadow, builds niches and caves, creates precipices and transfigurations. The world that becomes so still in fine arts awakens to ever new, never-ending life when one views a sculpture.»
       «(La scultura) per l'osservatore è un permanente "work in progress", non è mai finita e offre un'infinita varietà di possibilità, a seconda dell'angolazione da cui la visualizziamo, come vi cade la luce, ecc. La sua impenetrabilità, la sua opaca resistenza alla luce permette un numero infinito di nuove avventure di luci e ombre, costruisce nicchie e cavità, crea precipizi e trasfigurazioni. Quando si osserva una scultura il mondo, che diventa così statico nelle belle arti, si risveglia a una vita sempre nuova, senza fine.»

R. Clemencic: “A Sculptural Infinity”

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    «Actually, all the works of art shown here can be understood without any explanation because they do not want to be understood historically, they want to be understood as our own present moment»
    «Ora, tutte le opere d'arte qui in mostra possono essere capite senza alcuna spiegazione, perché esse non vogliono essere capite storicamente: esse vogliono essere intese quali esse sono nel nostro momento presente»

Ludwig Goldsheider

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«In the end, sculpture is truth, painting is dream:
the first is entirely representation, the latter is narrative magic»
«Infine, la scultura è verità, la pittura è sogno:
la prima è interamente rappresentazione,
l'ultima è magia narrativa»

Johann Gottfried Herder



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ASCOLTI in formato MP3

continua

 

Foto della performance: di Giovanni Costantini, Costantini-Design Venezia;
fotografie di particolari del violoncello di Jean Ouvrard, Parigi 1745, di Emanuela Vozza.

 

©claudioronco2004