Nel grande mare blu. 

 

 

 

 

       Nel grande mare blu, si era persa una paura col naso tutto all’insù: era una paura terribile, fatta a forma di Babau, che più spaventosa non la trovavi neppure a cercarla scavando bene con l’unghia del dito indice.

                    ...Quella paura...

Quella paura non sapeva proprio nuotare, ma sapeva stare bene a galla, se teneva la pancia in alto. Il naso, a quel punto, le era diventato davvero utile perché, siccome era all’insù, non finiva mai sott’acqua, e poi, siccome era grosso, le serviva anche da vela per muoversi un po’ in qua e un po’ in là al vento gentile.

 ...Quella paura...          

I pesci (che non la vedevano mai di fronte e così non gli veniva lo spavento), cominciarono a trovarla simpatica, e le portavano di tanto in tanto qualche buona alga da mangiare, o un frutto di mare, o una stelluccia marina se era notte e sentivano borbottare la sua grossa pancia galleggiante.

                 ...Quella paura...

 

Durante i lunghi pomeriggi assolati, quando ci si annoiava un po’ (perché era estate e anche al mare non si va a scuola), tutti i pesci piccoli e grossi cominciarono a trovar bella l’idea di riunirsi intorno a quella paura.
« Ci vediamo alla paura verso le tre! », diceva una triglia a un branzino. « Ci sarò senz’altro! Porto io da bere! » rispondeva il branzino alla triglia. E poi spariva sul fondale.

 ...Quella paura...     

Siccome il posto era bello e ben frequentato, qualcuno cominciò a pensare di abbellirlo ancora di più, e anziché portare solo alghe da mangiare, ne mise anche un mazzetto di quella gialla e rossa dentro a una grossa, magnifica conchiglia fatta a vaso da fiori, e posò il tutto sulla pancia della paura. Tutti pensarono: « Come ci sta bene! », e da allora ognuno portò sempre qualcosa di carino da mettere lì sopra.

 

 ...Quella paura...                                 

La paura (che prima di ciò, restandosene sempre lì al sole, cominciava a preoccuparsi di prendere una brutta insolazione alla pancia) trovò che tutto quel che le stava succedendo era molto giusto, e sopportò con pazienza il prurito che di tanto in tanto le dava quel po’ di sabbia che era rimasta sulla conchiglia, pensando che prima o poi l’avrebbe lavata via l’acqua del mare, o avrebbe finito con l’abituarsi, magari fino al punto di trovarlo piacevole.

                        ...Quella paura...

 

A nessun pesce, infatti, venne mai in mente di metterle qualcosa nel naso: sapevano benissimo che senza respirare la paura sarebbe morta, e nessuno di loro l’avrebbe mai voluto! Tuttavia, per non far sfigurare il naso con la pancia, un abile calamarone lo dipinse e istoriò con le antiche fiabe che gli raccontava sua nonna, e tutti andavano a leggersele stringendosi l’un l’altro, perché erano scritte con un inchiostro molto nero e lucido, e facevano tutte un po’ paura.

 ...Quella paura...         

Così passarono i giorni, le settimane e i mesi, e l’estate finì così in fretta da sembrare il ricordo di un soffio del vento fresco che porta l’odore del gelato alla vaniglia.
Alti sopra il suo naso, la paura vedeva passare gli stormi di uccelli migratori che volavano al caldo del Sud, mentre l’acqua intorno diventava sempre più fredda e c’erano sempre meno pesci che stavano lì a far passare il tempo, ed erano sempre più muti, solitari, quasi tristi.

 ...Quella paura...     

La notte, poi, a volte non aveva più neppure la luna da guardare, nascosta com’era da spesse nubi un poco più chiare di altre, e non poteva nemmeno leggersi qualcuna delle fiabe che il calamaro le aveva disegnato sul naso perché, anche se erano scritte in lettere molto grosse e riusciva a vederle bene, ne poteva solo leggere una con l’occhio sinistro, insieme a un’altra coll’occhio destro, e le fiabe, mischiandosi fra loro, facevano troppa paura perfino a lei.

 

       ...Quella paura...     

Pensò più volte, in quelle notti, che forse sarebbe morta triste e sola, lì in mezzo al nulla di quell’acqua senza fondo, nella culla di se stessa che galleggiando si scioglieva in acqua che si mischiava ad altra acqua ancora, nei blu senza fine della notte e del giorno. E infine si accorse che non sentiva dolore...

 

...Quella paura...                    

Quel mattino si guardò un po’ intorno (normalmente non poteva girare molto la testa, se no l’acqua salata le entrava nel naso), e si accorse che intorno a sé c’era una spiaggia. Si voltò, e vide che c’era una bella scogliera di pietre rossicce. Guardò più dritto che poté davanti al naso, e notò foreste che arrivavano quasi al mare. Spingendo forte il collo all’indietro, poté osservare grandi montagne bianchissime fatte di ghiacci simili a rocce fatte a forma di nuvola, e orsi bianchi che passeggiavano vicino a pinguini che più eleganti e in così gran numero non ne aveva visti mai.                                                                         ...Quella paura...     

« Che mi succede? », pensò ad alta voce, « E dov’è finita la mia pancia? » gridò, accorgendosi che, là dove prima c’era l’isolotto galleggiante che ogni tanto le prudeva sotto la conchiglia fatta a vaso, ormai vedeva solo acqua e nient’altro.
« E il mio naso dov’è? Dov’è sparito? », continuò, scoprendo pure che non aveva più né le braccia né le dita delle mani per potersi togliere le caccoline fastidiose che di tanto in tanto le otturavano le narici.

   ...Quella paura...    

 

Tutto di lei era acqua, e tutto intorno era terra, spiagge, scogliere, fiumi che arrivavano ai mari, foche e leoni marini che si tuffavano fra i ghiacci galleggianti, immense balene che risalivano vicine a riva a far fontanelle dalla testa, e poi navi che passavano lente, battelli che gettavano le reti da pesca, e sottomarini, e città, porti piccoli e grandi con alte torri a faro, e campanili a far chiassosi scampanii che correvano scivolando sulle superfici di quello che lei era ora…
Perché quella paura era diventata un MARE, largo quanto tutta la terra che si poteva vedere con un paio d’occhi, lungo quanto tutte le stagioni di tutti gli anni di tutti i secoli del mondo, alto come il cielo più limpido e pulito, profondo come le paure più sconosciute di tutti i racconti mai raccontati prima.

...Quella paura...

Restò un bel po’ ammutolita, ma poi si accorse che era tutto proprio bello, e se le fosse ancora capitato di far paura a qualcuno, davvero non sarebbe stato per sua volontà o per cattiveria: era troppo buona per voler male a chiunque venisse a tenerle compagnia, e magari, sotto la luna, ascoltasse con lei una o due di quelle bellissime storie della nonna del calamaro.
Le era rimasta una gran voglia di sentirsele leggere…

 

 

 

 

Dedicato a Jacob e Tobia, e tutti i Grandi Bambini al Mare.

 

 

  Claudio Ronco.

 

 

 

 

...Quella paura...

© C. Ronco 1999