L’omino che guardava sempre in su.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C’era una volta un omino che guardava sempre in su.


Il fatto di andarsene sempre in giro col naso al cielo gli dava un sacco di problemi: continuamente inciampava in qualcosa, o sbatteva il mento contro qualcuno. « Mi scusi… », diceva dopo esser finito contro il pancione di una signora grassa che tornava dal mercato tutta carica di sacchetti. « Ma perché non guarda dove va? », protestava la signora. « Non posso! devo guardare bene il cielo! », rispondeva a volte l’omino con gli occhi puntati alle nubi, scansando gli sguardi di tutti e smettendo subito di parlare e spiegare. Così la grassa signora se ne andava via gridandogli che era matto da legare.


Una volta, mentre camminava in quel suo modo strambo, finì dritto dritto dentro a un tombino aperto. Ci vollero tre giorni perché qualcuno si accorgesse di lui là sotto e lo tirasse fuori: l’omino era troppo occupato per ricordarsi di chiedere aiuto: doveva tenere gli occhi ben aperti e attenti su quell’unico pezzettino di cielo che riusciva a vedere da là in fondo. Un’altra volta, di sera, scivolò su una buccia di banana, fece una giravolta che sembrava quella di un ballerino del Bolscioi, e alla fine cadde seduto spiaccicandosi su una grossa cacca di cane. Nessuno voleva aiutarlo per via della puzza, ma tutti lo indicavano col dito, tenendosi la pancia per le gran risate. Lui rimase lì per terra a guardare il cielo, sereno, come se nulla fosse, finché tutti, un po’ vergognosi, si dettero da fare a tirarlo su e pulirgli per benino i pantaloni e la giacca, consolandolo con tante parole gentili cui lui rispondeva continuando a guardare in su.


In fondo, tutti gli volevano bene: quell’omino non faceva male a nessuno, anche se era matto; tutt’al più bisognava scostarsi al suo passaggio, perché se no sicuramente non ti avrebbe visto. E poi, naturalmente, bisognava stare attenti a chiudere bene i tombini e non lasciare in giro per strada bucce di banana o le cacche dei cani.
« Ehilà, buongiorno! », lo salutava il salumiere sotto casa sua al mattino, quando l’omino usciva per andare a guardare il cielo dalla piazza del mercato. « Bella giornata, non trova? », gli diceva il postino dalla sua bicicletta, perfino quando pioveva. Ma lui non rispondeva mai, né faceva cenno di capire. « È matto! » sussurravano tutti dopo il suo passaggio, facendosi il segno del dito che gira sulla testa. « Guarda sempre il cielo... », si dicevano l’un l’altro; « Si vede che ha paura che gli cada sulla testa! » E giù a ridacchiare, ma senza nessuna cattiveria: gli volevano bene davvero.


Intanto, un giorno dopo l’altro, cominciavano a girare delle leggende su di lui. « È stato in guerra: era un grande eroe! », spiegava il vecchio Generale in pensione, seduto sulla panchina vicino al bar Centrale; e aggiungeva: « Ma poi una bomba gli è esplosa proprio vicino, e lui, poveretto, è rimasto così… ».
« Macché, lei si confonde con qualcun altro! », ribatteva il vecchio Parroco, che amava andarsene a zonzo per il centro tutti i pomeriggi. « Come sarebbe a dire: “ Mi confondo ”?! », si offendeva subito il Generale.
« Vuol dire che lei ormai ha perso la memoria! » ribatteva il Parroco, spiegando: « Quell’uomo è stato un grande astronauta, e siccome nello spazio non era riuscito a vedere Dio, allora è diventato matto e continua a cercarlo lassù ancora adesso! ».
« Questa è la storia più scema di tutte! », diceva la signora grassa andando al mercato, dato che passando di lì per caso aveva sentito i loro discorsi; « Quel buon ometto ha fatto un voto alla Madonna: di guardarla sempre su in cielo, perché sua moglie era tanto malata... ah, potessi averlo io un marito così!», e se ne andava via borbottando contro il suo, che non lavava mai i piatti e non voleva mai far la spesa al mercato.


Così l’omino ogni mattina usciva di casa guardando il cielo, e ogni sera rientrava senza aver mai smesso di guardarlo, e ogni volta si era inzaccherato finendo in una pozzanghera che non aveva visto, oppure era tutto dolorante perché era finito contro un lampione, o contro l’angolo di un muro, o perfino sotto la bicicletta di un bambino. E fu proprio quel che successe il giorno in cui il più piccolo dei figli del pollivendolo, mentre giocava a rincorrere un gatto nero, appena prima di attraversare lo stradone pieno di macchine, finì addosso all’omino che guardava in su.


Patapùm! Finirono tutt’e due per terra l’uno di fronte all’altro.
Questa volta però, nello stupore generale, di colpo l’omino smise di guardare in alto, abbassò la testa e fissò il bambino dritto negli occhi: « Ti sei fatto male? », chiese. « Credo di no, per fortuna… », rispose con una vocina spaventata il piccolo ciclista malaccorto. « Ma… tu mi stai guardando? », chiese poi timidamente, mentre tutti lì intorno si accalcavano a guardare stupiti quella stranezza.
« Sì », rispose l’omino, « Ti guardo per esser sicuro che tu stia bene. »
E poi continuò con queste stranissime parole: « Ora, però, visto che non ti sei fatto male e che in futuro farai certamente attenzione a non correre dove corrono le automobili, io devo subito ricominciare a guardare in su ». E così ricominciò.


Quel bambino non si dette più pace: giorno e notte pensava e pensava, cercando di capire che cosa cercasse nel cielo l’omino matto. E come non bastasse, tutti per strada lo fermavano e gli chiedevano: « Dì un po’: che ti ha detto il matto? », oppure: « Raccontaci, dài: perché guarda sempre in su? ». E quel bambino scappava via senza mai rispondere, sicché tutti cominciarono a credere che avesse saputo dal matto chissà quali segreti.
« È un mago, uno iettatore, o qualcosa del genere. Niente di buono, date retta a me… », mormorava il vecchio Parroco.
« Ha proprio ragione… », commentava sottovoce il Generale in pensione, chinandosi verso l’orecchio sinistro dell’amico; poi continuava coprendosi metà bocca con la mano: «Oltretutto, con quello sguardo… l’ho sempre detto io che in quel tipo c’era qualcosa di losco… ».
E la signora grassa che passava di lì tornando dal mercato aggiungeva con voce bella squillante: « Un giorno o l’altro succederà qualche brutta cosa, con quello lì… ma mio marito non è tipo da lasciar andare in giro delinquenti! Ah no! Saprà rimettere quel matto ben bene al suo posto! Oh, se lo farà! ».


Ma il bambino, che era lì dietro e aveva sentito tutti i loro discorsi, si rintanò in un cantuccio a piangere tutto solo.
« Come faccio a spiegare alla gente che l’omino non mi ha detto un bel niente di brutto », pensò fra sé, « E che non è affatto cattivo; anzi, ha gli occhi più buoni che io abbia mai visto! ». E quando pensava a queste cose piangeva ancora, e ancora di più quando vedeva la gente spiare con sospetto l’omino che continuava a guardare in su.


Una mattina, nel bel mezzo del mercato all’ora di punta, l’omino passò troppo vicino al carretto della frutta e senza volerlo lo fece cadere. Tutti cominciarono subito ad arrivargli addosso e gridargli contro: « Stupido matto! Guarda cos’hai combinato! Vattene via! »
Ma l’omino, come sempre, non dava retta a nessuno e continuava a fissare il cielo col suo sguardo dolce, mentre nel frattempo cercava di rimettere la frutta a posto nelle ceste.
« Lascia stare le mie mele! », urlò il padrone del carretto.
« Ecco: adesso il matto si è anche messo a rubare la frutta! » disse ad alta voce la signora grassa che passava di lì per caso.
« Non gli permetteremo più di far tutto quel che gli pare! », tuonò il vecchio Generale alzandosi maestosamente dalla sua panchina, col dito dritto in alto come una spada.
« Se ne vada via dalla nostra città! » sentenziò il vecchio Parroco; « Quell’essere malvagio porta solo zizzània fra la buona gente! », aggiunse, e cominciò subito a predicare mettendosi in piedi a fianco della fontana, con una vocetta quasi commossa dall’emozione di tornare a far prediche alla sua gente, come quando era giovane e forte, e tutti lo guardavano con rispetto.
Tutti i cittadini che erano lì intorno, allora, si riunirono e presero una decisione unanime: l’omino doveva essere cacciato via. Lo afferrarono per la collottola, lo caricarono sul carretto della frutta, e spingendolo in dieci o in venti tutti accalcati l’un sull’altro, lo portarono fuori città, dov’era la discarica delle immondizie, per gettarlo là, in mezzo alle sterpaglie e ai topi, urlandogli di non farsi mai più vedere, che quella era una città di buona gente onesta e che non c’era posto per ladri e delinquenti come lui!


Il bambino, che aveva visto proprio tutto, corse a nascondersi vicino al posto in cui avevano abbandonato l’omino. Quando fu sicuro che tutti fossero andati via, si avvicinò pian piano e con la sua manina tesa gli offrì una bella mela rossa. « Prendi: questa l’ho rubata per te. Quella gente cattiva non meritava davvero che io gliela pagassi! ».
L’omino abbassò nuovamente lo sguardo, e lo fissò lungamente negli occhi del bambino: «Non si deve rubare! » disse con voce tranquilla ma autoritaria, e aggiunse:
«A nessuno: neanche ai più cattivi! » Poi concluse: « Ora che son certo che tu non ruberai mai più nulla, devo ricominciare subito a guardare in su ».

« No, aspetta! », gridò il bambino. « Ti prometto che non ruberò mai più, ma prima tu devi dirmi cosa vedi là in alto! »
L’omino, allora, cominciò pian piano a parlare, senza mai smettere di fissare il cielo, e disse: « Io, caro bambino, devo sempre guardare il cielo, perché se smettessi di guardarlo un solo istante, allora il cielo smetterebbe di esistere, svanirebbe nel nulla e tutto il mondo resterebbe senza. »
« Ma… se davvero è così, allora vuol dire che tu non puoi mai addormentarti! », osservò giustamente il bambino.
« Oh, certo che posso », rispose l’omino; « Mentre dormo, io guardo il cielo in sogno, e poi, quando mi sveglia il sole del mattino, apro gli occhi al cielo che mi aspetta fuori dalle mie finestre. Così non smetto mai di vederlo, ed è per questo che anche tu lo puoi guardare, gli uccellini possono volarci dentro, gli insetti andarci a zonzo ronzando, le cime degli alberi possono solleticarlo coi rami e le foglie, mentre i tetti delle case e dei campanili gli fanno da tappeto, e i laghi, e i fiumi e i mari si divertono a specchiarlo per far felici i pesci… »


« Che bello! » commentò il bambino. E quel giorno decise che avrebbe vissuto anche lui per guardare il cielo.
Fu così che cominciò ad accompagnare sempre l’omino che guardava in su, attento a non farlo inciampare, o cascare sulle cacche dei cani. E viaggiano lontano lontano in tutto il mondo, per essere sicuri che tutti abbiano il cielo più bello che si possa avere.

 

 

 

 

 

 

Claudio Ronco

 

 

 

 

 

 

 

 

 

© C. Ronco 1999