«Durante un mio viaggio d'affari, alcuni anni fa, a Genova, attraverso un amico mi capitò di visitare un ottimo violoncellista che si chiama... mi creda, la prego... si chiama Giacomo Bassevi!
Andammo a trovarlo perché il mio amico è un "casanovista", ossia un appassionato studioso di cose relative a Giacomo Casanova. Ora, vede, questa visita avvenne in quanto che il mio amico desiderava osservare da vicino un grande ritratto a olio di Casanova, attribuito a Raphaël Mengs, che era di proprietà del Bassevi e visibile solo nella sua casa genovese, o in rare riproduzioni di difficile reperibilità.
Il Bassevi fu di squisita gentilezza; ci accolse nella sua casa con generosità di tempo e di modi, e finimmo per passarci un'intera giornata, quasi tutta di fronte al grande dipinto, che era esposto in modo trionfale sopra il pianoforte a coda del suo salotto. Dopo le prime ore, passate ad ascoltare i due amanti di Casanova scambiarsi golosamente aneddoti preziosi, nomi, persone, date, informazioni bibliografiche, opinioni e considerazioni su quello o quell'altro incontro con le vicende del grande Giacomo -e io m'accorgevo pian piano di aver fatto male a non prenderlo mai sufficientemente in considerazione-, il Bassevi cominciò il racconto di come era venuto in possesso del dipinto.
La sua storia cominciava circa vent'anni prima quando, finiti gli studi in Conservatorio e cominciato a cercar lavoro, finì presto coll'accorgersi che il mondo della musica non è certo fra i più colti, ma nemmeno fra i più rispettosi della cultura in genere: lui, che amava con passione gli studi classici e credeva di trovare in Beethoven il giusto compendio, scoprì che il comune lavoro di musicista era ben altra cosa. Così se ne disamorò, e visse un lungo periodo vagando fra diversi interessi, fra cui l'antiquariato.
Probabilmente fu in un momento assai vicino a una crisi che un giorno, sfogliando distrattamente una rivista mondana, si soffermò sulla riproduzione, molto sbiadita, in monocromia, di un ritratto recentemente scoperto di Giacomo Casanova. L'articolo spiegava che un antiquario di Bologna aveva ritrovato, credo dimenticato in una cantina, quel magnifico quadro, e affermava che fosse l'unico ritratto attendibile delle fattezze del grande amatore veneziano. Di lì a poco il Bassevi si accorse di esser rimasto come fulminato da quella visione, e infatti i diciotto anni seguenti della sua vita li spese a cercare di comprarsi quel ritratto.
La cosa non fu affatto semplice: qui il Bassevi si dilungò moltissimo sulle difficoltà a rintracciare l'antiquario in questione, poi sull'inseguire le mille stranissime fughe di quel dipinto, quasi fosse animato dalla continua moltiplicazione di misteri che fin dall'inizio sembravano attorniarlo. Man mano che il dettagliato racconto del Bassevi si avvicinava al momento cruciale, ossia quello di offrire al mio amico la descrizione del suo recente acquisto, io continuavo a guardare il ritratto e, disposte in bell'ordine sopra il pianoforte, la ricca esposizione di ninnoli, vasetti e fotografie in cornici d'argento, ritratti o istantanee di lui e della sua famiglia lungo il corso di molti anni: dalla fine degli studi, abbracciato al padre violinista, al giorno del suo matrimonio, a quello della nascita della prima figlia, e poi della seconda, e della terza... così finalmente mi accorsi che lui da giovane non somigliava affatto alle sue ultime fotografie, e ancor meno a come appariva ora, lì in quel salotto: egli era il ritratto vivente del Casanova di quel quadro, assolutamente uguale in tutti i dettagli somatici, che si palesavano alla vista non appena ci si liberava dall'inganno ottico del parrucchino settecentesco, e di quella lieve irrealtà nella quale un dipinto rococò infallibilmente ci trasporta.
Mentre il Bassevi finalmente gioiva della descrizione trionfante del suo portarsi in casa propria quel ritratto, d'istinto io, che avevo sempre taciuto, esclamai allora ad alta voce: "lei è il più straordinario scultore io abbia mai conosciuto!".
Tutt'e due mi guardarono interrogativamente, tanto che mi sentii davvero imbarazzato e dovetti scusarmi; ma subito spiegai che se una tale trasformazione del proprio volto qual era quella documentata dalle fotografie sul pianoforte, poteva realmente accadere, ciò non poteva significare altro che una passione fenomenale, o forse un'urgenza vitale di essere e divenire, poteva concretizzare in un uomo l'incredibile possibilità di poter scolpire ritratti su se stesso.
S'immagini che dopo solo due mesi, quando ripassando da Genova per caso provai a telefonargli, per vedere ancora una volta quella somiglianza strabiliante, fui subito nuovamente invitato nella sua casa e accolto con squisita affabilità e gentilezza, ma trovai lui irriconoscibile: s'era fatto crescere la barba, e quella sequenza di fotografie era stata sostituita e spezzata, spargendo ciò che ne rimaneva su vari mobili del salotto.»
«Bella storia! Davvero, mi ha colpito. Credo di capire cosa lei mi vuol comunicare: io rischio di "scolpire" me stesso, cioè il mio destino; nel senso di giungere inconsciamente a compiere un lavoro di perfetta illusione tridimensionale, o magari ancor più di questo; e ciò si compie sull'intero mio essere, tanto che il mio esistere diventa un ex-sistere, un "essere fuori" da ciò che sto diventando... a meno che qualcuno non mi ponga di fronte uno specchio, e io possa non più riflettermi in quello, ma riflettere su quello...»
«Bravo, bravo. Fin qui è abbastanza ben riuscita! E poi?»
«E poi... e poi non so, forse scoprirei che il tempo non è sempre costretto a muovere verso un'unica direzione...»
«Sì, può essere. Quel futuro che noi fissiamo, in fondo, solo con gli occhi e coi sensi, nell'ordine di Dio potrebbe essere anche un passato, un rientro nel suo atto iniziale. O almeno così speriamo che sia, nella povera condizione di chi non ha altro che occhi per vedere e orecchi per sentire. Capovolgendo i sensi coll'arte, noi crediamo di muover passi nell'altrove, ma i sensi stessi capovolgono a loro volta ciò che noi avevamo capovolto, e i piedi ritornano per terra. La forza di gravità è il nostro messaggero e angelo privilegiato...»
«Dio, quant'è vero... mi perdoni per la mia incredulità: io mi rendo conto solo adesso della straordinarietà del suo dono. L'incontro con quel violoncello, fin dall'inizio, è per me ben più di un fulmine che mi ha colpito: è il seme dell'albero che è cresciuto in me, con radici nel cielo e rami nella terra... Conosce quella cosa rarissima che chiamano "folgorite"?»