«Un giorno
di qualche anno fa, nel deserto africano, il Signore del Tempo
mi fece il dono di mostrarmela: passavamo veloci con la nostra
vettura, quando notai, a poca distanza dalla pista, un bellissimo
alberello secco e capovolto, come fosse caduto dal cielo. Chiesi
all'autista di fermarci un istante, e mi diressi verso quel punto,
ora nascosto da una duna. A poco a poco avvicinandomi, credetti
di avere un'allucinazione, perché quel legno scheletrito
pareva metallo fuso, esploso, cristallizzato nella posa estrema
della sua espansione. Nell'alto, la radice del tronco era una
bocca slabbrata, una campana di tromba spalancata al cielo, e
nel basso i rami degradavano, sempre più sottili, come
dita che s'allungano per aggrapparsi disperate alla terra, ma
con l'energia di una dilatazione improvvisa, fulminea, violenta.
Il colore era ferreo, screziato d'un rosa annerito, e le superfici
-rugose, irregolari- erano come ferro corroso da ruggine e bagnato,
dalla superficie quasi rilucente. Allungai la mano verso un rametto,
ma appena lo sfiorai... vidi tutto crollare e disfarsi di fronte
a me!
Mi ritrassi allora spaventato, e poi tornai a guardare una stranezza
ancora più grande: ogni ramo era cavo, e le pareti erano
sottilissime, d'estrema fragilità. Al contatto delle dita,
i rami più fini si sbriciolavano in frammenti quasi di
cristallo opaco, e tutto intorno il vento muoveva innumerevoli
pezzetti di quello che un istante prima credevo un alberello
morto, sradicato e capovolto.
Giunse la nostra
guida a cercarmi, e mi spiegò che quel rarissimo fenomeno
si produce quando un fulmine colpisce la sabbia, e affondando
le sue dita di fuoco in profondità, brucia, fonde e cristallizza
in quella la sua stessa forma. Poi il vento del deserto sposta
le sabbie, pulisce delicatamente ogni ramo, e un albero capovolto
appare, solo per qualche tempo, finché proprio quel vento,
com'è nella sua natura, non eccita troppo il soffio e
tutto quel fragile equilibrio d'un colpo crolla e si disfa.»