-XXII-
«Buonasera, Hans.»
«Benvenuto, amico caro. È una giornata più fredda del solito, e questa casa rivela la sua tristezza, con un tempo come questo. Per fortuna, lei viene a portare un po' di luce.»
«Luciferina, oggi, caro Hans. Sono fortemente depresso... mi sembra di riconoscere demoni dappertutto.»
«Forse è vero... o forse no! Venga a mangiare qualcosa, che le farà bene!»
A tavola gli raccontai della strana esperienza del giorno prima. Ahasvero la commentò con un certo umorismo che riuscì a risanarmi; con il dolce ricominciammo a parlare del violoncello che mi aveva donato.
«Ha potuto leggere la biografia di Popper?»
«Più che altro l'ho guardata; devo dirle che m'intimorisce: lo trovo un libro sinistro...»
«È un libro strano, in effetti: dice molte cose, e ne tace molte altre. Forse è così perché rappresenta l'intera vita dell'uomo che l'ha scritto, condensandola tutta nello spazio di quell'oggetto. Non c'è dettaglio, pieno o vuoto di parole, o di lettere, o di numeri, che non sia un segno, carico di significato per quella vita.
Io non ho conosciuto De'ak, ma quando ho avuto fra le mani per la prima volta quel libro, ho capito che stavo reggendo fra i polpastrelli la sua esistenza, soppesavo i suoi meriti e le sue colpe, i suoi rimorsi e il suo orgoglio. Lui non aveva mai potuto possedere, né toccare, il violoncello del suo Maestro David Popper: quando aveva solo quindici anni fu gratificato del dono di un bellissimo strumento viennese di metà Ottocento, fatto da un liutaio viennese di nome Martin Stoss; poco tempo dopo il Maestro morì.»
«Ho letto che aveva studiato con Popper, a Budapest, dal 1911 al 1913, ossia l'anno della morte del Maestro... ma... perché mi ha dato quel libro?»
«Non l'ha aperto a pagina ventidue?»
«Non so, aspetti...»
La pagina 22 era interamente occupata dalla vecchia foto di un angolo dello studio di Popper, a Budapest. In alto a sinistra si vedeva un tondo a bassorilievo, con il profilo inconfondibile di Richard Wagner, appeso su un muro tappezzato e coperto di quadri, fra cui si riconosceva un porto al tramonto. Sotto c'era un pianoforte a coda col coperchio della tastiera aperto; un velluto proteggeva lo strumento, su cui erano appoggiati libri e fotografie. Una grande sedia intagliata, con le imbottiture rivestite di cuoio, era messa al lato, e su quella, in primo piano, si vedeva appoggiato il violoncello di Popper.Poco a poco, come un incanto, lo vidi emergere: era il mio violoncello!
«Mio dio! Ma è veramente lui! È impossibile sbagliare... qui, in questa foto, non aveva ancora nessuna delle fratture che ha oggi, ma il suo profilo è inconfondibile, la crepa lievemente sollevata della tavola in corrispondenza della punta in basso a sinistra... quella c'era già! Guardi: c'era già pure quella piccola bozza a circa quindici centimetri dalla base della cordiera, qui, a sinistra... e poi la macchia al lato destro della tastiera, vicino all'attaccatura del manico! E pure l'affossamento appena accennato del basso della catena! È meraviglioso...»
Nella luce flou di quella fotografia del 1913, i dettagli risalivano lenti agli occhi, quasi magicamente, in una commozione d'intensità indescrivibile.
«Fu De'ak a scattare quelle foto, il giorno della morte del Maestro: tre angoli di quella stanza... il più tragico, il più bello, questo in cui, del grande David Popper appena scomparso, noi vediamo solo più il corpo carico d'aura del suo strumento divino, appoggiato appena, quasi in pericolo, alla punta dello schienale di quella sedia vuota, su cui poggia l'archetto abbandonato...»
«...Nell'identica posizione dell'arco di James Cervetto the Younger, sul pianoforte! E anche il pianoforte Broadwood era esattamente nella stessa posizione! Anche la sedia su cui Cervetto sedeva ad accordare il suo La... e qui il violoncello di Popper ha una corda spezzata! Ed è sicuramente il La: il cantino è la corda più delicata, più fragile!»«Come il segno sonoro della morte... guardi la sedia del pianoforte: sembra che qualcuno abbia appena concluso la Sonata funebre e si sia appena alzato da quel posto, per lasciare solo il silenzio e il movimento delle luci, a commentare il cordoglio»
«...Il leggio destinato al violoncello è vuoto: ci mostra solo la sua superficie liscia e lucida come di un vassoio pendente... ed è spostato in modo curioso, inusuale; guardi: è girato per essere parallelo allo schienale della sedia del violoncellista. Disposto in quel modo ci fa osservare che ormai non regge più nulla, eppure noi lo vediamo ricevere una luce, e proiettarla verso l'alto, fuori dal quadro della foto... Sa, quando mi misi a contemplare per la prima volta il nostro violoncello, lo appoggiai sul mio letto esattamente in questa posizione; appoggiata proprio al suo fianco sinistro, era appesa una stampa abbastanza grande, incorniciata in modo modesto e messa alla parete con una cordicella, rimanendo così non a filo del muro, ma incombente sul letto. Mi divertiva averla in obliquo, perché svegliandomi al mattino mi ci guardavo, rispecchiato nel vetro. Quando misi la poltrona in posizione "geometricamente" adatta ad accomodarmi e ammirare il Guadagnini, per avere la miglior illuminazione avevo puntato la lampada da tavolo in direzione di un piccolo scrittoio sulla mia sinistra, e quello si rifletteva nel vetro inclinato della mia stampa, realizzando, nel riflesso, la stessa immagine del leggio di questa foto: un piano riversato, che porge la luce all'alto, come estratta da quello studio, da quell'intelligenza, come fosse l'anima di quello strumento...»
«...È proprio in questo modo che si scopre la sua fragilità e la sua bellezza; ed è così che la mano di chi lo ama lo raggiunge con l'occhio, e lo protegge, lo carezza, ne percepisce il silenzioso vibrare...»
«...Tutto sembra ricongiungersi, linea con linea, cambiando solo l'aspetto esteriore delle cose: un pianoforte del Settecento è sostituito da uno dell'Ottocento; nell'ambiente vuoto di Cervetto si sono aggiunti quadri, ritratti, fotografie; e su quella che era la curiosa linea della spalla spiovente del James figlio, qua si vede l'inclinazione della superficie lucida e vuota del leggio di Popper... Ora vedo meglio: sul violoncello si è spezzata proprio la corda del La!»
«E dunque può ben capovolgere il tempo e la storia, e immaginare Cervetto che rimette la corda che si era spezzata... ma ora aggiunga un nove in mezzo a quel ventidue.»
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