«La credevo più attento! Uno più quattro
fa cinque, più sei fa 11; anche ottantatré è
solo un otto più un tre, cioè 11; centouno sono
uno e uno, ovvero 11! Mi scusi, ma mi divertono queste sciocchezze...»
«Sì sì, certo, anche a me. Ma non si interrompa
adesso; questa storia è incredibile e io l'ho attesa per
tre anni e l'ho sofferta abbastanza. Sappia che conosco i due
Cervetto, Jacopo e James, e più o meno quattro anni fa,
a Torino, ho eseguito in un concerto alcune Sonate loro e di
altri violoncellisti italiani in Inghilterra, o loro colleghi
inglesi di quell'epoca.»
«Chi erano gli altri?»
«Crosdill, Caporale, Bononcini e Chiabrano.»
«E non ha mai suonato musica di Salvatore Lanzetti?»
«Non in quell'occasione, ma ho eseguito qualche sua composizione
in un altro programma, dedicato esclusivamente alla corte di
Torino: c'erano Sonate di Somis, Chiabrano, Canavasso, Giardini
e Lanzetti. Ma perché me lo chiede?»
«Perché
Lanzetti era uno di coloro che sapevano del violoncello in mano
a Cervetto. E in seguito anche Gaetano Chiabrano e Felice Giardini.»
«E in che modo?»
«Il nobiluomo presso il quale il Cervetto deforme andò
a morire e confessarsi era un protettore del Lanzetti, a quell'epoca
musico da camera del Re e primo violoncello al teatro Regio.
Dopo aver risposto ad alcune delle ultime volontà di quell'uomo
disgraziato, si dette da fare per recuperare il violoncello.
Prima, per anni, inviò lettere ad amici che provassero
a convincere l'anziano Cervetto violoncellista a vendergli lo
strumento, ma - così com'era prevedibile - ogni offerta,
anche la più generosa, venne cortesemente rifiutata. Poi
fece in modo di far venire il figlio di Cervetto a Torino, organizzando
con diversi suoi conoscenti una lunga tournée per il giovanissimo
James, dal '63 al '70, sempre senza riuscire ad ottenere il violoncello.
Fece persino trasferire a Torino l'ormai celebre liutaio Giovambattista
Guadagnini, per assicurarsi una testimonianza certa di autenticità,
quando il violoncello fosse stato recuperato! Ma prima di tutto
ciò aveva inviato in Inghilterra proprio il Lanzetti.»
«A far che?»
«Salvatore era un napoletano: mente fine, brillante, astuta.
Era già stato per lungo tempo in Inghilterra, e poi anche
in Francia, in Olanda, in Germania; insomma, conosceva bene i
centri più importanti dell'Europa di quel tempo, parlava
perfettamente varie lingue, era un virtuoso noto e rispettato.
Aveva avuto, però, dei gravi problemi legali a causa dell'annullamento
del suo matrimonio con la sorella dei Besozzi, oboisti della
corte torinese, che l'accusava di "sevizie". I nobili
di quella società l'avevano protetto e aiutato, e lui
era fortemente in debito con loro. Lanzetti, per di più,
anelava a diventare cavaliere, così gli offrirono di diventarlo
nell'ordine del Santissimo Sudario di Cristo. S'immagini che
perfino Burney era stato invitato a quella caccia, tant'è
vero che in quel concerto che il Cervetto organizzò al
Little Haymarket per festeggiare i tredici anni di suo figlio
James, la piccola figlia di Burney, Fanny, - quella che poi diventerà
scrittrice, pubblicando alcuni famosi romanzi -, a soli nove
anni dovette prodursi in un assolo di fortepiano proprio in quell'occasione,
e tutto ciò avvenne solo perché bisognava assolutamente
entrare in amicizia col vecchio Cervetto, al fine di trattare
con lui la vendita del suo violoncello! Bene, Burney fu un suggerimento
di Salvatore: fu una delle prime persone che lui volle coinvolgere
nella caccia, e che raccomandò caldamente per le sue qualità
in diplomazia e la sua accorta discrezione.
Salvatore poté entrare con facilità nella casa
di Cervetto, essendo un collega celebre e molto amato a Londra.
Fu attento a non mostrarsi troppo interessato a quel violoncello,
e gli fece credere di essere interessato a mettersi in società
con lui, proponendogli di vendere corde armoniche napoletane
a Londra, cosa per la quale non gli bastava un buon agente commerciale,
ma gli serviva anche l'appoggio di un musicista rispettato e
autorevole. "Voi - gli diceva Lanzetti - siete stato il
primo a portare e a far apprezzare il violoncello agli inglesi:
solo voi avete il diritto di insegnare ancor loro come migliorarlo".
Cervetto sorrideva, ringraziava per l'adulazione, ma rispondeva
che non era interessato a dividere i suoi interessi su un qualsiasi
affare con dei soci: amava lavorare da solo.
Salvatore gli diceva di essere fremente dal desiderio di provare
quel suo splendido violoncello del Giovambattista Guadagnini:
forse il grande Maestro Cervetto gli avrebbe concesso di suonarlo
per qualche istante in casa sua? E allora Cervetto gli mostrava
la preziosità della vernice, l'eccezionale bellezza dei
legni e della linea del riccio, e gli spiegava che il suo James,
sebbene ancora bambino, già era abbastanza alto da poterlo
suonare, e sì che la cassa di quel violoncello era alta
ben 79 centimetri! E così riusciva indirettamente a deridere
la bassa statura del virtuoso napoletano.
Lanzetti, che portava sul suo volto il peso di un lungo naso
aquilino, di quelli che a Napoli chiamano "nase a piscia'n
bocca", tentava altre strategie, passando per le vie
dell'umorismo intorno alle loro proboscidi; ci guadagnò,
se non altro, la simpatia del vecchio Jacob.
Ma Salvatore dovette attendere sei mesi, prima dell'evento che
sconvolse la sua vita. Quella sera Cervetto lo invitò
a cena, e fece preparare abbondanza di carni sanguigne e di carni
grasse: un grande roast beef cotto nella pasta di pane,
che grondava sangue d'un rosso vivace; un'intera scrofa dal ventre
ripieno di salsicce nere e budini di sangue violaceo, glassata
con zucchero di canna, attorniata di lardo bollito, pancetta
affumicata e creme di latte e panna, dolci di burro, frutta candita.
I servitori versavano nel bicchiere dell'invitato un denso vino
rosso di Spagna, e gli servivano dosi abbondanti di quel cibo
luculliano.
Salvatore domandava perché mai tanto onore, e Cervetto
rispondeva che siccome ormai s'avvicinava la fine della sua visita
a Londra, lui sentiva il dovere di offrire una degna serata a
un virtuoso che tanto aveva apprezzato lungo gli anni della sua
carriera; dunque per quell'occasione, che forse, data la loro
tarda età, sarebbe stata l'ultima per un loro incontro,
aveva voluto far preparare quella cena per festeggiarlo degnamente.
Lanzetti sorrise
e cominciò a mangiare, ma subito si rese conto che il
suo ospite non toccava cibo o bevanda, e se ne preoccupò
assai. Chiese come mai non gli teneva compagnia nell'approfittare
di tanto ben di Dio, che sarebbe bastato a un reggimento, e pure
erano soltanto in due?
Cervetto, col suo abituale tono dimesso e un po' lamentevole,
gli rispose che lui non mangiava mai né sangue, né
carni di maiale, né panna e burro, né zucchero,
né vino, poiché così aveva vissuto tutta
la sua vita: solo bevendo latte; e ciò detto cominciò
a berne da una grande tazza, e continuò con diverse altre,
mentre l'imbarazzato, sospettoso e impaurito Lanzetti masticava
piccolissimi bocconi, si bagnava appena le labbra col vino, e
meditava disperato sul fatto che nessuno era stato informato
del suo esser lì a cenare quella sera.
Finita la cena, Cervetto accompagnò l'ospite nel salone,
gli mostrò il violoncello, pronto ad essere suonato, appoggiato
a una sedia con l'archetto a fianco, e poi gli disse: "questo
vostro desiderio di suonare il mio violoncello, che mi esprimete
da tanto tempo, oggi voglio soddisfarlo. Sedetevi, godetene quanto
volete e potete, qui, fra i muri della mia casa."
Salvatore si sedette intimorito: non s'aspettava questo. Studiò
con attenzione i dettagli delle corde, del ponticello, dell'altezza
del manico; guardò, misurò con gli occhi, soppesò
fra le mani, ascoltò coi polpastrelli il rispondere di
quel meraviglioso strumento al più lieve movimento dell'aria.
Poi lo dispose fra le gambe, cercando un punto adatto a dominarne
la mole per lui eccessiva, e infine lo toccò coll'arco.
Ciò che ne scaturì sconvolse per sempre il resto
della sua esistenza. Non ne parlò mai a nessuno, e gradualmente,
anno dopo anno, smise di suonare il violoncello e si chiuse in
un mutismo assoluto, da folle. Finì coll'ammalarsi, e
lentamente, molto lentamente, ne morì, quasi dieci anni
dopo quella cena.
L'unica testimonianza di quell'evento è forse la Sonata
che Salvatore scrisse di getto, almeno così si racconta,
proprio quella notte, tornato al suo albergo. Il manoscritto
pare quello di un pazzo: vi si legge, sul primo foglio: "Sonata,
Porto Mahone, per il Violoncello Verde, con il cembalo D, di
Salvatore Lanzetti Napoletano".»
«Certo! La conosco! Ne esistono tre o quattro copie manoscritte
soltanto! È una di quelle che ho eseguito!»
«E immagino si sarà chiesto cosa vorrà mai
dire quella curiosa intestazione, o il titolo.»
«Sì, naturalmente, ma non conosco la risposta...»
«Neanche lui: era solo follia... »
«No! la musica no: quella Sonata è stupenda, non
è folle!»
«O forse, al contrario, il musicista è sempre
folle...»
«No no: era razionale, concreta; forse eccessivamente appassionata,
troppo intensamente patetica, per chi s'aspetta dal Barocco solo
edonismo e ovvietà...»
«La invito a ricordarsela meglio: patetica e appassionata
in eccesso, sì, nel secondo movimento, il Larghetto; ma
quanto all'ultimo, con quelle fanfare sui doppi armonici?»
«Dio mio, li ho sempre pensati come lo schierarsi di Tritoni
e Sirene di fronte al Trionfo di Nettuno... non so... che altro?»
«E Nettuno, e gli abissi, non le sembra che tanto basti?»
«Ma è intitolata a un porto!»
«E un porto non è là dove finisce un viaggio?»
«...certo, capisco. E quello è un viaggio nella
tempesta: tutto il primo movimento la descrive, poi viene la
calma del mare, ma nell'agitazione dell'animo e dei sentimenti,
e infine si assiste al trionfo di Nettuno, con le fanfare dei
Tritoni e il canto delle Sirene, sugli armonici naturali e artificiali...»
«E non ricorda più come finisce?»
«Sì... rimane in sospeso, finisce nel vuoto, nel
nulla...»
«Vede? Le era sfuggito un dettaglio...»
«Dio... forse ben più d'uno... Porto MAHONE... M
come Mors... A come Animæ... H come Hominis...
O come... Occultus... o Obliquus... oppure Ordo...
N come Nequitia.... o Navigatoris, o Nautas...
E come... Errare... Æternitas...»
«Perché no? Può darsi, ma forse era solo
schizofrenia. Ciò che importa è che Lanzetti ne
morì, più o meno a settant'anni, ma che prima di
morire era riuscito a organizzare tutta una rete di persone intorno
a quel violoncello, che poterono farlo uscire dalla casa del
Cervetto. Così Burney visitò il nobiluomo torinese
nel '71, continuò a tessere quella rete in Francia, Italia
e Germania. Perché lo scopo finale non era solo quello
di recuperare il violoncello, ma anche tutto il resto di quel
sacro legno, che sembrava irrintracciabile, seguendo solo le
indicazioni delle ultime parole del Cervetto morente. In quello
stesso anno, fecero in modo di offrire al giovane James il posto
di violoncellista da Camera e dell'orchestra privata della Regina,
e lui, inconscio delle vere ragioni di quella nomina, felice
di ricevere uno stipendio favoloso senza aver fatto gran cosa
per averlo, accettò il posto, portando così negli
ambienti della corte reale inglese il suo magnifico Guadagnini.
Nell'ottantatré, ad esempio, quando morì il vecchio
Jacob, il Principe di Wales George Frederic August - quello che
diventerà poi Giorgio IV, che era nato il dodici dell'otto
del sessantadue e che avevano costretto a studiare violoncello
sotto la guida di quel John Crosdill di cui ha studiato qualcosa
anche lei -, nell'ottantatré, dicevo, il Principe cominciò
a suonare regolarmente quel violoncello in concerto, a Carlton
Place, che era nella parte inferiore di Waterloo Place, passando
attraverso Green Park. Il povero principe si doveva impegnare
in ben due concerti al giorno anche nella sua residenza: il primo
al mattino, generalmente di musica da camera e per pochi intimi,
e l'altro alla sera, per un pubblico più ampio e con orchestra.
La cosa più importante, per loro, era che la voce sacra
di quei legni non andasse dispersa in modo sacrilego, e che,
anzi, potesse nutrire le loro anime.»
«Andiamo, non le sembra di esagerare? Era una tradizione
di famiglia: già Frederic Lewis, altro Prince of Wales,
il figlio di Giorgio II, anche lui era violoncellista, e un sacco
di compositori importanti, come Haendel e Porpora, gli hanno
dedicato le loro opere. Anche l'opera prima di Lanzetti
è dedicata a lui. Non mi dirà che anche lui era
nell'affare?...»