Sì,
al mercato fu l'apocalisse, la rivelazione.
Un ragazzo avrà avuto non più di vent'anni
discuteva con la sua ragazza di fronte a un banchetto dove erano in
mostra dei bellissimi frutti tropicali. Lei li voleva comprare, ma lui
cercava di dissuaderla argomentando sulla disonestà dei commerci
col terzo mondo, luogo dal quale presumibilmente proveniva quella frutta.
E si dilungava sulle atrocità della globalizzazione, sullo sfruttamento
del
lavoro infantile, sull'urgenza di applicare, diceva, «un codice
morale un po' più rigido, ma necessario.»
«Se
no», aggiungeva, «facciamo veramente schifo...».
Io, infatti, in quel momento provavo disgusto per me stesso. E non perché
comprassi frutti esotici. La cosa che rivelava la mia colpevolezza era
in ciò che mi aveva spinto a inviare l'e-mail della sera prima...
Tornato
subito a casa, avrei voluto concludere velocemente la lettera di scuse
alla mia personale mailing list, il mio mea culpa rivolto non
a Dio ma all'umanità. Ma invece, nuovamente, non trovavo le "parole
giuste".
Sia
chiaro: incontravo una difficoltà semplicemente "retorica",
nel trovare la giusta forma e misura per una comunicazione che doveva
necessariamente essere breve, a seguito della vessazione di quel lunghissimo
e-mail di stupidità nel quale avevo pure aggiunto il mio contributo
proprio con l'esortazione a "leggerla bene!".
Nella brevità dello scritto imposta dalla velocità della
lettura moderna, infatti, io credo siano riuniti i più gravi
pericoli per l'intelligenza, e anche se all'informazione pura e semplice
giova indubbiamente la sintesi, in un mondo saturo di informazioni quella
stessa sintesi si annulla nel numero di quest'ultime, causando il più
delle volte una coscienza dei fatti condizionata da superficialità
e omologazione di pensiero o, altrimenti, da caotico equivoco.
Insomma,
nel tormentarmi tra forma e contenuto, era impossibile non soffermarsi
a un punto nel quale ci si chiede: «ma per chi lo sto facendo?
se li meriterà davvero tanto sforzo e tanta pena?»...
A
quel punto mi è venuta l'idea.
A mia discolpa la lettera di scuse cercava di spiegare come l'aver ricevuto
quelle buste imbottite di biglietti da cinque euro mi avesse fatto "perdere
la testa", ossia il controllo che credevo di avere della mia ragione,
così dimostrando quanto in realtà la mia cultura e il
mio "animo sensibile d'artista" fossero vulnerabili di fronte
a questioni banalmente pecuniari. Dunque a seguito di questi argomenti
ho deciso di aggiungere una semplice frase, con l'attenzione di non
farla apparire scherzosa con qualche "artifizio letterario"
di uso comune, come, ad esempio, un punto interrogativo fra parentesi
posto a conclusione:
«... Certo non riesco a pensarmi in colpa o nell'illegalità
per essermi ritrovato 11 buste con 5 euro l'una nella mia cassetta delle
lettere, giusto a seguito di un gesto così stupido e casuale!
Sarò grato a chi mi spiegherà che cosa sta succedendo,
e terrò da parte per un po' di tempo i 30 euro rimanenti di questa
faccenda, tolti cioè i venticinque che manderò oggi stesso
ai cinque indirizzi trovati nell'e-mail a me diretta.»
Infine,
accorgendomi che al "peso" di tutte le mia argomentazioni
quei «55 euro da 11 buste di ignoti» rispondevano
con un "valore" che non mi appariva equilibrato, ho deciso
di correggere i numeri inventandomi un più interessante caso
di «67 buste per un totale di 335 euro», il che mi
sembrava ben calibrato allo scopo di dimostrarsi o impossibile, o sufficientemente
"impressionante" per coloro che vivono di uno stipendio più
o meno normale.
Ne è derivato un ritratto ben più desolante di quanto
mai avrei potuto immaginare di questa società di benestanti e
benpensanti di cui faccio parte, fatta eccezione per un solo caso, che
mi ha commosso profondamente, mi ha turbato anche per la "casualità"
del suo somigliare al ragazzo che litigava al mercato, all'origine di
questa mia "apocalissi", e al quale affido quella vecchia
cosa spelacchiata ma tenera come l'orsacchiotto rimastomi dal tempo
della mia infanzia e della mia innocenza, conservato nell'armadio dei
ricordi più intimi, che è la Speranza.
Nel considerevole numero di risposte più o meno acute, intelligenti,
disincantate, o moraliste, o semplicemente immorali, un ragazzo di vent'anni,
amico soltanto "di penna", mi scriveva di aver litigato con
la sua ragazza a seguito della lettura del primo e-mail. Lei voleva
"giocare", lui voleva astenersi, perché sentiva che
c'era di meglio da fare al mondo, per il mondo. Sentiva prima di tutto
il bisogno istintivo di "non contaminarsi" col desiderio di
denaro, e dicendo "prima di tutto", intendo proprio un "prima
di capire razionalmente" l'assurdità di quella particolare
proposta di "gioco", o meglio: ancor prima di accorgersi che
quel "gioco" altro non era se non il semplice, banale, terribile
meccanismo del potere economico dei paesi ricchi, poggiato sull'ignoranza
e disperazione dei poveri del mondo.
Ecco,
questo è quanto mi è successo.
E alla confusa coscienza che ne è derivata, la chiarezza mi è
giunta gioiosamente, con le parole di Rabbi Nachman di Breslav; erano
i primi dell'Ottocento, c'era un mondo nuovo appena nato con l'applicazione
dell'intelligenza "moderna", e quel rabbino dotto e straordinario
esortava i suoi allievi ripetendo energeticamente questa meravigliosa
esclamazione:
«È
proibito essere vecchi!».
Lasciate
ora che continui a raccontarvi questa storia attraverso qualcuna delle
e-mail che l'hanno costituita. A cominciare dalla mia "Apologia",
così come l'avevo inviata alla mia mailing list. Ma non prima
di aver "apologizzato" ora sulla figura femminile, che altrimenti
parrebbe essere la solita, vecchia immagine dello "strumento del
demonio", messa lì semplicemente a litigare col suo ragazzo
che, a differenza dell'Adamo di Eva, non vuole approfittare del frutto
offerto dal serpente maligno...
Credo mi basterà dire che io non sono una donna, ma nonostante
ciò ho offerto e proposto a circa 1000 persone l'occasione di
illudersi di poter divorare il frutto proibito. E tutto via internet...
potenza della tecnica moderna...
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