(Rientra
in scena cantando, mentre scorre in sottofondo Glory:)
Hodu laAdonai ki thov ki le"olam h'assdo!
hodu le-lohey haElohim ki le"olam h'assdo!
Alleluja! Lodate Dio, perché Egli è buono, perché
eterno è il Suo amore!
Ringraziate il Signore degli dèi: perché eterno è
il Suo amore!
(riprendendosi e fissando la custodia con aria maliziosa:)
Se mi riduco a parlare a te, che sei solo una custodia vuota, forse
il motivo è semplicemente nascosto dietro la più chiara
delle evidenze: tu sei, comunque e indubbiamente, una custodia,
e come tale custodisci, e quindi conservi...
anzi, sei unarca, che trasporta solennemente il suo sacro,
o arcano contenuto... cioè fai ben più di quanto
non abbia fatto lo stesso frutto delle mie carni e del mio sangue...
Vedi bene a che val la pena di parlare a te e al tuo vuoto, piuttosto
che piangere...
Hodu laAdonai ki thov... ki le"olam h'assdo!
Lodate Dio, perché Egli è buono, perché eterno
è il Suo amore!
se, forse, ma, perché!
Lodate Dio, se Egli è buono, se eterno è
il Suo amore!
Lodate Dio! ... forse Egli è buono, se eterno è
il Suo amore!
Lodate Dio! Ma Egli è buono? ma eterno è
il Suo amore?
Lodate Dio, forse Egli è buono, ma eterno è
il Suo amore!
Hodu laAdonai ki thov ki le"olam h'assdo!
Lodatelo? Ma perché? Perché Egli è buono?
perché è eterno il Suo amore?
...Perché ebbe paura no, ma hai riso... se hai
riso... perché hai riso?... Forse ebbe paura...
(Canta con rabbia il Salmo 136 in ebraico, accompagnandosi col
violoncello nella cantilena, sempre enfatizzando la parola ki:)
hodu laAdonai ki thov ki le"olam h'assdo.
(...)
hodu laAdoney haadonim ki le"olam h'assdo.
le"osseh niphelaot gedolòt levadò ki le"olam
h'assdo. (...)
(smette di cantare e recita:)
Alleluja!
Lodate Dio, perché Egli è buono, perché eterno
è il Suo amore!
Ringraziate il Signore degli dèi: perché eterno è
il Suo amore!
Ringraziate il Signore dei signori: perché eterno è il
Suo amore!
È il solo che compie meraviglie: perché eterno è
il Suo amore!
Ha creato i cieli con sapienza: perché eterno è il Suo
amore!
Ha disteso la terra sulle acque: perché eterno è il Suo
amore!
Ha creato le grandi luci: perché eterno è il Suo amore!
Il sole, come sovrano del giorno: perché eterno è il Suo
amore!
La luna e le stelle per dominare la notte: perché eterno è
il Suo amore!
(recita ora il Salmo 118 come una cantilena, in costante accelerando:)
Lodate Dio perché Egli è buono, perché eterno
è il suo amore! (...)
Nella mia amarezza io grido a Dio; (...)
Dio è la mia forza fra tutti, e io vedrò fuggire i miei
nemici. (...)
Mi hanno assediato tutte le genti, ma nel nome di Dio le ho vinte,
nel nome di Dio le ho frantumate. (...)
Non morirò, ma sarò vivo, per cantare i prodigi di Dio;
Dio mi ha fatto soffrire, ma non mi ha consegnato alla morte.
Apritemi le porte della giustizia, voglio entrare per ringraziare Dio!
(...)
La pietra disprezzata dai costruttori di case è diventata la
pietra angolare. (...)
(calmandosi:)
...Lodate Dio perché è buono?... perché
eterno è il suo amore?...
No, la fede non è umile, caro figlio! La fede è invece
cosa suprema, come dice il tuo amato Kierkegaard!
Tu invece credi di credere! Tu credi di abolire e cancellare
tutto ciò che credi di non poter sapere, abbassando la
testa in umiltà, mettendoti al livello della gente comune, tappandoti
le orecchie e gli occhi con lignoranza!
Ti ripugna lenfasi sentimentale, la ridondanza di parole, e poi
ti innamori di Kierkegaard solo quando si innalza nei suoi discorsi
lirici!
Per te la fede è solo una bella Sinfonia di parole,
composta da un illetterato in modo da non doverne capire neanche una,
perché tutto quel che serve a te è di sentirne il suono,
seguirne il senso con gli occhi dei tuoi genitali opportunamente insoddisfatti,
e beartene!
Così hai lillusione di aver capito tutto!
Se un giorno ti capitasse di sentire la voce di Dio che ti chiama:
«Isacco, Isacco! Prendi tuo padre, tuo padre naturale, il padre
che ha copulato insieme alla madre da cui tu sei venuto al mondo, Abramo!
Portalo dentro a un pozzo profondo, aprigli il cranio con un grosso
martello e liberalo da quel suo ingombrante contenuto!», ecco,
tu lo faresti senza indugio, dicendo «Signorsì sissignore,
ho capito perfettamente! Vado, eseguo e torno. Quantè bello
e quanto è dolce ricevere ordini da te, che altrimenti te ne
stai sempre zitto e invisibile!»
Tanto nei tuoi meravigliosi videogiochi si muore e si resuscita in perpetuo,
finché cè corrente elettrica!
E già: le tue parole sono sempre ben misurate e ben ordinate
nei confini della prudenza e del buon senso, ma la musica no! Tanto
quella è astrazione dalla realtà, non è
vero? Quindi, per dare ordini aberranti a uno come te, basta darli in
musica!
Non ti ricordi cosa avevi scritto sul foglio che mi hai lasciato sulla
scrivania, attaccato allo schermo del computer, quando te ne sei andato
via di casa?
Aspetta, te lo rileggo, che forse te lo sei dimenticato:
Era di prima mattina, nella casa di Abramo tutto era pronto
per il viaggio. Egli si congedò da Sara, ed Eliezer, il servo
fedele, lo seguì per un tratto e poi se tornò a casa.
Abramo e Isacco camminarono insieme fino a che arrivarono al monte Morià.
Abramo preparò tutto per il sacrificio, calmo e tranquillo, ma
quando si volse ed estrasse il coltello, Isacco vide che la sinistra
di Abramo si contorceva per disperazione e un brivido percorse il suo
corpo ma Abramo estrasse il coltello.
Allora fecero ritorno a casa e Sara corse loro incontro, ma Isacco aveva
perduto la fede. Di tutto questo nel mondo non si è mai fatto
parola: Isacco non parlò mai con nessuno di quel che aveva veduto,
e Abramo non sospettò mai che qualcuno lavesse visto.
È un frammento incompleto, copiato da Søren Kierkegaard:
Timore e tremore. Lho subito riconosciuto benissimo,
anche se tu hai dimenticato di precisarlo. Bel libro; lavevo letto
anchio, sai?
Ma tu non avevi bisogno di scrivere anche il nome dellautore,
visto che con tutta evidenza ti sei convinto di averla scritta tu quella
storia, e che tutto il resto del libro o di tutti i libri del
mondo! sia semplicemente il racconto di come Isacco perse la fede!
E io cosa avrei dovuto leggerci? La storia di come Abramo, ossia tuo
padre, perse il figlio e poi pure la moglie, una cosa dopo laltra,
a ruota?
Ah no, caro mio!
Io non ho perso un figlio perché è penetrato in un altro
mondo, ha cancellato il mio, lha superato, oltrepassato, trasformato!
Io ho perso il mio figlio unigenito e prediletto perché si è
convertito a unaltra religione, a unaltra fede!
Solo che quellaltra fede altro non è che la
stessa di prima, ma dopo aver chiuso con solidi lucchetti
tutte le parole nei loro precisi e immutabili significati, delegando
a un indefinibile altro il compito di assumersene le responsabilità.
Io ho perso il figlio che mi ha gridato addosso:
«La tua non è una Montagna Sacra: è
un artefatto, è un edificio umano. È la Torre di Babele!»
«Ah, questa poi! No! ognuna delle tue parole è una torre
di Babele! gli gridavo io Neppure una torre di parole-cose,
tutte immobilizzate, pietrificate in significati immutabili, ma addirittura
una torre di lettere dellalfabeto, cotte come mattoni nella fornace
della tua arroganza e della tua paura!»
E sai cosa mi urlava dietro, allora?
«Non conosci neppure la Bibbia!», mi urlava, quellignorante!
Io, che gliela insegnavo ogni giorno! Io che gliela posavo sulle labbra
come miele!
La parola della Bibbia!
Dabar! La parola-cosa dellebraico biblico!
Rabbino! Da te ho appreso a tradurla e capirla!
Dabar, mi hai insegnato tu, è parola di molteplice significato,
e si traduce di volta in volta con le parole: parola, cosa, oggetto,
fatto, avvenimento, rivelazione, comandamento...
Rabbino! Cosa spiegherò a mio figlio nei cinque minuti di concentrazione
che è in grado di concedere a qualsiasi singolo oggetto o discorso?
Che risposte darò alle sue domande semplici?
(finge di chiamarlo)
Rabbino? ci sei?
(fingendosi rabbino:)
«Con le parole-cose fabbricate dalluomo e usate come mattoni
si è fabbricata Babele e il Signore è sceso a dividere
le genti del mondo con la confusione. Con le parole-cose date da Colui
che ha creato il mondo, e Adamo a dare un nome a tutte le cose, il mondo
può riedificare la casa del Signore...»
Oh, sibillino rabbino! Mio figlio pretende una risposta chiara!
una risposta inequivocabile!
«Tu, musicista, tu vorresti rispondere in tal modo a colui che
ti chieda cosa significa un brano musicale composto da te, o da chiunque
altro sia degno del tuo rispetto di maestro di musica?»
«Che centra la musica in questo?» gli rispondevo io.
E mi sembrava di sentire nettamente la voce di mio figlio nella mia...
«Papà, le parole devono essere chiare, devono restare attaccate
al loro significato preciso, e devessere quello che tutti possono
condividere: gente speciale e gente normale. Anche i più stupidi
devono poterle capire con tutti gli altri. Ne hanno il diritto! Altrimenti
che mondo sarà? Come farai a dar torto a chi si ribella perché
è ignorante suo malgrado, isolato e povero, e quindi si conquista
il mondo con la forza della rabbia? E poi, per liberare le parole, quando
viene il momento giusto, cè appunto la musica...»
Ah, figlio! Sì: cè appunto la musica che vorresti
tu!
(sarcastico e in crescendo di tono:)
Quella che non si banalizza con un significato, ma, attenzione!
Quella che non si azzardi neppure ad essere significante!
Musica per far stare un po zitto il cervello, il delizioso oblìo,
loppio, il sonno ristoratore, sognare senza incubi e senza dover
pensare! Ah sì: questa è LA MUSICA, consolazione degli
afflitti! Musica taumaturgica! MUSICOTERAPIA!!...
Ma la musica non è oblìo! Non è per dimenticare,
non pensare, galleggiare in un corpo leggero! È invece per la
nostra memoria, è per ricordare che siamo a immagine e somiglianza
di Dio, dimenticando, semmai, la nostra vanità!...
(calmo:)
No, rabbino, hai ragione tu: tutto si ripete, tutto si riproduce uguale
a se stesso nel mondo! Ma questa è condanna solo per lignorante!
È lignorante che è condannato a ripetere il suo
errore errante!....
Condannati a costruire e ricostruire la torre di Babele!... Aspetta...
cosè che mi aveva scritto mio figlio?
(cerca nel computer la lettera del figlio)
...sì, eccolo qua:
«Papà, ascoltami: tutta la sapienza che tu vorresti trasmettere
a me è una torre che pretende di toccare il cielo, ma è
fatta solo di pietre pesantissime che una sullaltra ti allontanano
dalla terra, e sotto, sulla terra, la gente ti scruta dallinferno
dei suoi giorni... è un piccolo passo, è un movimento
minimo quello che trasforma una rassegnata attesa in rabbia e violenza
che distrugge! Papà: tu devi camminare sulla terra, devi imparare
a parlare la lingua dei più deboli!»
La lingua dei più deboli! Sì, quella degli idiotes
dellantica Grecia? quella degli illetterati, come SantAntonio
del deserto?
Ma bene! benissimo! Ma non è già quello che continuano
a predicare i preti? E non lo sta facendo quotidianamente la televisione
con i suoi telegiornali e i suoi programmi del sabato sera?
Non ti sorge il sospetto che gli ignoranti che dominano il mondo abbiano
fatto abbastanza danni?
Non ti tornano in mente le schiere di ignoranti cafoni che dopo aver
ascoltato unaccorata predica di qualche frate esaltato, andavano
tutti in massa a bruciare vivi uomini, donne e bambini ebrei perché
erano il diavolo in persona? O quando col vessillo cristiano e la fede
di Abramo sbarcavano in terre lontane e ammazzavano tutti quelli che
non volevano diventare loro umili schiavi, premiati dalla promessa del
paradiso, eliminandoli con armi e fuoco oppure con la sifilide che gli
attaccavano con i loro concreti atti damore?
Prova a salire su un pullmann pubblico di lavoratori al mattino presto,
in mezzo a gente comune di tutte le etnie possibili immaginabili, e
prova un po ad ascoltare bene cosa dicono gli uni degli altri,
il bianco del nero, il senegalese del marocchino, lindiano del
senegalese! Oh, quanto amore universale, appena un passo fuori dalle
belle parole di saggezza dei programmi educativi della televisione!
Ah, ma senti come continua, nella sua interminabile lettera a papà:
«Come vuoi che accetti di scalare la montagna del tuo Bach o del
tuo Beethoven un indiano, o un africano, o un arabo? Sei davvero così
sicuro che la tua musica debba essere per forza universale, semplicemente
perché una piccola parte del mondo, piena di arroganza e con
in mano le armi più potenti, ha deciso di imporle limmortalità?»
Già, come se io gli avessi insegnato a fare il missionario cattolico,
a costruire ospedali e scuole per convertire gli indigeni alla religione
di Bach e Beethoven!
Io gli facevo ascoltare il deejeereedoo degli aborigeni australiani
con la stessa attenzione e lo stesso rispetto con cui lo portavo ai
concerti della Società del Quartetto!
Gli insegnavo a capire che anche se non era lì alcuna melodia,
se non poteva ascoltare altro che strani suoni, non poteva però
accontentarsi di restarsene pacificamente affascinato dal mistero
e accontentarsi del fatto di aver intuito che un mistero era lì,
in quelloggetto curioso e indubbiamente bello, davanti
ai suoi occhi!
Gli spiegavo come le termiti scavano un albero, poi luomo ne taglia
il tronco come a farne un lungo e grosso flauto, lo abbellisce con dipinti
e cere, e lo porta con sé, negli interminabili tramonti o nellaurora
inafferrabile. Vi soffia dentro con una tecnica particolare, in modo
che, mentre laria esce dalla bocca, il naso ne inspira dellaltra
e la bocca non smette mai di soffiare. È così che lalternanza
di inspirazione ed espirazione temporaneamente sinterrompe, e
con essa ogni alternanza degli opposti: il giorno e la notte, il caldo
e il freddo, la vita e la morte... i suoni che si formano in quei legni
sono prodotti dai canali delle termiti, innocenti o ignare compositrici
di musica. Ogni deejeereedoo è diverso da qualsiasi altro, unico
e irripetibile, e con esso ci si predispone ad ascoltare la voce segreta
della terra e della natura madre, che parlerà alluomo attraverso
larte...
Dovrei amare tutto questo meno di una Sinfonia di Beethoven?
Non è forse questa indagine al di là del mio mondo sensibile
che compie ogni grande musica?
(prende il violoncello e suona unimprovvisazione su tre note
discendenti, di carattere contemplativo)
Gli echi della madre terra, dentro ai lunghi tunnel e nelle caverne
scavate dagli insetti, dove io posso entrare, a patto di perdere per
qualche tempo la mia natura duale e mortale... diventando strumento
io stesso, visitando il mondo degli esseri elementari e ascoltando i
loro messaggi di saggezza...
E a mio figlio questa faccenda degli echi devessere rimasta impressa,
anche se, naturalmente, distorta e capovolta. Senti qua, scritto
di suo pugno:
«Tu, papà, ascolti, leggi e interpreti la musica di Bach
come fosse la voce della Bibbia. Tu ascolti queste voci come se ognuna
fosse una sola e perfetta, immutabile ed eterna, ma è leco
distorta di una folla vociante di fantasmi, in una valle troppo stretta
e chiusa, contro pareti troppo ripide di montagne troppo alte!
Quella eco ti invade e ti esalta, ma è solo un ammasso confuso
di suoni! Tu credi di capire tutto quello che senti, e così non
ti accorgi di essere sordo a tutto quello che non è quelleco.
Così ciò che comprendi è solo per te e non puoi
dividerlo con nessun altro.
Papà, noi entriamo e noi non entriamo negli stessi fiumi, poiché
lacqua che scorre in un fiume non è mai la stessa: me lhai
insegnato tu. E mi hai insegnato pure a ricordare, ma ricordare non
basta, bisogna anzitutto imparare a dimenticare! Cè un
mondo nuovo davanti e intorno a te, non puoi rifiutarlo, cancellarlo,
abolirlo!...»
Bella roba, no? Una dopo laltra, una citazione da Eraclito e unaltra
da Rilke, naturalmente appiccicate ai suoi pensieri, senza sentire
alcun bisogno di ricordarsi dellautore, e magari ringraziarlo!
È perso nel labirinto di tutta la letteratura del mondo, frammentata,
spezzettata e ricucinata, da Platone ai Dragon Balls con Tolkien e Buddha
e chissà che altro in cima al mucchio, e fa la critica a me come
biblista fingendo di dimenticare che invece io sono un musicista
per cercare di dimostrarmi che sono affetto da solipsismo!
Ma non finisce qui! Senti:
«Cosa pretendi da me, papà? Non puoi caricare su tuo figlio
tutta la colpa della fine di una cultura che tu vuoi credere perfetta
ed eterna! Non puoi neppure attribuirmi la responsabilità di
un mondo che non sente il bisogno né di fruire né di conservare
larte o la sapienza del passato, e in particolare del nostro passato,
della nostra storia, come se fosse lunico luogo in cui trovare
il modo giusto di vivere con saggezza!»
Ah basta, basta!
Non ne voglio più sapere niente di lui e della sua vita!
Ho perso già troppo tempo ad ascoltarlo e leggerlo. Per me è
una storia finita, chiusa! Che viva come vuole e con chi vuole, è
chiaro che non sarà con me.
E poi, insomma, giusto perché possiamo condividere qualche somiglianza
nelle spirali del nostro DNA...
Io ho perso un figlio... ma un altro ne ho trovato, anzi: una figlia!
(rivolto alla custodia:)
Mi sembra di aver colto una scintilla di curiosità nel tuo sguardo,
custodia vuota e taciturna!
Ebbene sì: ho trovato una figlia, ed è tempo di festeggiare...
(si versa da bere e alza il bicchiere per un brindisi:)
...Ah no, ma tu non bevi...
Brava! custode delle sane abitudini di vita: non bevi, non ti agiti,
non urli, non parli, sei vuota dentro... camperai centanni senza
problemi e tutti ti ammireranno e rispetteranno!
Complimenti! Lechaim!
(beve)
Ma se ti dirò un segreto, tu lo custodirai in silenzio?
No, scherzi a parte, meno male che ci sei tu a farmi compagnia... ad
ascoltarmi parlare...
Lei si chiama Chiara, è una pianista eccezionale a soli 17 anni,
ed è nata allottavo piano dello stesso palazzo in cui sono
nato e cresciuto anchio, due piani sotto di lei... nella città
da cui sono fuggito quando avevo ventanni, per non tornarci che
ununica volta nei trenta successivi della mia vita...
È tutto successo per un buffo caso: un mio amico pianista lha
incontrata, chiacchierando fra di loro è venuto fuori che lui
aveva suonato con me, e lei, a sentire il mio nome, si è illuminata
in volto e ha chiesto il mio indirizzo.
Poi mi ha scritto una lettera bellissima, in cui mi dice... comera?...
ah, sì, di essere cresciuta un po come sotto le sue
ali dartista, perché tutti in quel palazzo mi ricordavano.
O meglio, ricordavano le ore e ore di esercizi al violoncello tutti
i giorni per quindici anni...
Lei è nata appena dopo la mia partenza, così in quel palazzo
non si è mai smesso di sentir suonare musica... e Chiara mi ha
raccontato di quella strana sensazione che tanto spesso le capitava
di provare in quella casa, per cui era come se io fossi là, in
qualche modo, a farle da maestro...
Chiara non ha perso tempo, mi ha scritto subito, è entrata subito
nel vivo di questa bellissima storia. Io ho fatto altrettanto: non ho
perso tempo e mi sono informato su di lei. Una carriera di pianista
assolutamente incredibile, più unica che rara... un vero genio
della musica...
E allora non cera altro tempo da perdere. Le ho scritto questa
lettera:
«Cara, una delle qualità che ho sempre amato di più
nelle "persone di buona volontà", è quel bel
fuoco per cui le cose si fanno subito, intensamente e nel modo migliore.
La mia vita si è imperniata e nutrita su questo genere di umanità
che non perde tempo a lagnarsi per come vanno le cose ma agisce
con sicurezza verso il bene; che non si ritrae o protegge dietro alla
prudenza, ma con prudenza muove i passi per non far del male a nessuno;
che tiene gli occhi fissi all'obiettivo, ma sa adattarlo a ciò
che nel frattempo può essere accaduto o cambiato, sicché
mi è cresciuto dentro una specie d'istinto essenziale, di fiuto
animale, di "orecchio armonico" che coglie le risonanze più
nascoste, e di queste doti vado fiero e felice nelle strade del mondo,
che sono ormai troppe, troppo sature di tutto, troppo confuse, troppo
disincantate... in una parola: prigioniere dei destini della paura e
dell'insicurezza.
Perché ti scrivo queste cose, Chiara?
La ragione è inscritta nei segni, poiché ci
piaccia o no essi sono presenze che ci indicano strade e percorsi,
e lo fanno sia quando sono cartelli stradali messi in bella vista negli
incroci, sia quando emergono con più o meno evidenza dai casi
della vita, sparsi senza apparente ordine fra le cose del quotidiano
affannarsi nelle faccende domestiche e sociali, così come nelle
stanze segrete dell'inconscio.
Ora, scoprire che tu sei nata e abiti nella casa in cui io sono nato
e cresciuto, fra i muri che hanno ascoltato per tutti gli anni della
mia infanzia e della mia adolescenza il suono del mio destino; ma ancora
più di tutto ciò, i tuoi straordinari 17 anni nei quali
ti sei diplomata col massimo dei voti in Conservatorio, hai conquistato
lammirazione di alcuni dei più grandi maestri...
(da qui legge lentamente, come ipnotizzato)
Maestri viventi dellarte musicale, con la facilità del
volo di un angelo hai trionfato nei concorsi internazionali là
dove tutti gli altri perdono lanima nel labirinto di paure e intrighi...
(si riprende:)
Eppure per me i tuoi 17 anni sono semplicemente un numero: 1 più
7, ovvero il numero 8, segno che per me indica una sola cosa: linfinito
delle altre realtà possibili.
E lottavo piano in cui tu sei nata, nel palazzo in cui anchio
sono nato e cresciuto per fuggirne poco prima della tua venuta al mondo,
è lì, di fronte ai miei occhi, ad indicarmi con insistenza
il suo messaggio criptato.
Prova a osservare:
un condominio di dieci piani (con venti appartamenti simmetrici) al
numero 125 (1+2+5=8) in una strada che porta il nome di una montagna; un ragazzo inquieto, che vive la sua adolescenza al sesto piano di quel
condominio appena costruito in una zona ancora periferica, fra larghi
ritagli di campagna non ancora edificata, cementata, asfaltata, fra
campi di grano o granturco e qualche albero giovane ma debole, come
già cosciente di essere nato effimero, di dover scomparire ben
prima di poter affondare le radici nel cuore della terra; un'adolescenza vissuta carezzando le foglie di quegli alberelli, i cespugli
selvatici, l'erba rada e malaticcia coperta dalla polvere grassa dello
smog non ancora "ecologicamente pulito" degli anni '60/70,
quasi osservando in quella polvere, trasportati e trattenuti, i sogni
semplici della gente comune, ormai tutti dominati e assoggettati da
un demone potente, invincibile, trionfante: la televisione.
La scena di questo racconto è livida, oscura, silenziosa pur
nel "continuum" assordante del suo sound track di motori
perennemente in moto e di voci artificiali a contornare le immagini
luminose dei tubi catodici in bianco e nero.
La visione non è molto lontana da ciò che tu vedi dalle
tue finestre oggi, ma oggi è "a colori", e il suono
è hi-fi...
I contorni lividi delle cose sono sempre là, immutabili, nelle
notti illuminate dai neon perenni fra le macchine parcheggiate come
animali nelle stalle, ognuna contenente qualche piccola traccia di individualità,
negli oggetti inscatolati nell'involucro del miracoloso veicolo della
"libertà di movimento" più grottesca, più
tragicamente illusoria...
In questo racconto c'è un ragazzo al sesto piano che vive nel
terrore di cadere, ossessionato dal senso di vertigine soffocante che
prova nell'avvicinarsi ai balconi o alle finestre della sua casa, che
vive odiando il grigio che lo attornia in tutte le cose (anche nei cieli
più azzurri di primavera), che sale e scende ogni giorno con
l'ascensore, e nei suoi sogni quella claustrofobica scatola lo
rapisce in altri luoghi e più angosciosi, viaggiando non più
in verticale, ma su linee orizzontali, fra mondi paralleli da cui non
si può né salire né scendere...
Questo ero io, Chiara, che sulle scale e sugli arpeggi del mio studio
musicale non vedevo altro che la statica illusione di un movimento senzanima
né corpo.
Perché suonare musica, allora?
La droga o le azioni terroristiche erano appena dietro l'angolo della
vita di un adolescente di quegli anni, e oggi il nostro mondo non è
cambiato affatto...
Camminavo nella notte senza mèta e senza futuro, cieco guidato
da ciechi, per fuggire un mondo che mi imponeva l'omologazione della
partita di calcio la domenica, della domenica sugli sci con gli scarponi
alla moda, del conversare senza sosta su ciò che compiace l'interlocutore
o ciò che esalta la vanità, ciò che unisce il gruppo
poiché lo distingue e lo divide dall'altro gruppo: la sinistra
o la destra, Bach o Brahms, Pollini o Michelangeli, Karajan o i Rolling
Stones... oppure la sinistra E la destra, Bach E Brahms... ma niente
cambiava di quel movimento orizzontale, schiacciante a terra, TERRI-FICANTE...
Queste erano le visioni che ho rivissuto, quando ancora non sapevo nulla
di te, quella sera di anni fa in cui avevo deciso di tornare a passeggiare
nella strada in cui tu sei nata, in cui il destino ti ha fatto abitare.
Era con me mio figlio Jacob di cinque anni, solo perché non avrei
saputo dove lasciarlo in mia attesa.
E quando il mio animo era ormai perduto nellangoscia, proprio
in quel momento, proprio mentre tutto stava crollando intorno a me,
stava esplodendo, bruciando, devastando... la piccola mano di Jacob
aveva preso la mia, inaspettatamente. E la carezzava, la tirava a sé.
Mi guardava con tranquillissima dolcezza qualcosa di indescrivibile,
di profondamente saggio era lì: lo si vedeva nel suo sguardo...,
poi mi diceva: Papà, tu sei triste... non devi essere triste.
Adesso tu mia dài la mano, e passeggiamo insieme, così
diventi felice, perché io ti proteggo da tutti i cattivi che
ti fanno triste! E tutti gli incubi si scioglievano come ghiaccio
nellacqua corrente. Scivolavano via da me, tornava a correre un
sangue caldo nelle mie vene, ero pervaso dalla gioia, fino alle lacrime...
senza ragione...
Eppure tutto si era convertito proprio per quella sua semplice presenza
innocente; tutto si era ribaltato, capovolto: tutto in me saliva e scendeva
vorticosamente, in un impeto gioioso, energetico. Tutto in linee di
movimento verticali, come accordi di cembalo o dorgano, sopra
e sotto la melodia, ognuno vivo e luminoso in sé, ognuno aperto
e proteso verso l'altro accordo.
Salire e scendere e ancora salire, non come chiusi in un ascensore che
imprigiona nel movimento al piano cui è destinato,
ma un assoluto spazio di assenza di peso, nel quale poter
risonare col mondo, anzi: con infiniti altri mondi possibili, mondi
luminosi di speranza.
Quella sera, stringendo la piccola mano del mio Jacob-Giacobbe, mi sono
sentito invaso della musica di Debussy, e ho cominciato per la prima
volta a raccontargli di quella scala che, nel sogno di Giacobbe figlio
di Isacco e nipote di Abramo, sale e scende al cielo:
Giacobbe ebbe un sogno: ecco che una scala era rizzata sulla
terra, e la sua cima raggiungeva il cielo, e gli angeli di Dio vi salivano
e scendevano
(Da
questo momento lattore imbraccia il violoncello e leggendo i testi
li accompagna o commenta, improvvisando accordi e brevi melodie, eseguite
senza mai interrompere la lettura)
" ...Il eut un songe: Voilà qu'une échelle était
dressée sur la terre et que son sommet atteignait le ciel, et
des anges de Dieu y montaient et descendaient!..." (Genesi
28:12)
"...Le papillon, blanche étincelle,
Qu'en ses détour et ses ébats
Poursuit un papillon fidèle,
L'un volant haut et l'autre bas;
L'ange qui descend et qui monte
Sur l'escalier d'or voltigeant;
La cloche mêlant dans sa fonte
La voix d'arain, la voix d'argent;
La mélodie et l'harmonie,
Le chant et l'accompagnement;
A la grâce la force unie,
La maîtresse embrassant l'amant!..."
(Théophile Gautier, "Contralto", 1849)
Guardavo la facciata grigiastra del palazzo al numero 125, nelle luci
e ombre dei lampioni stradali, e l'occhio delimitava l'arco dal primo
al sesto piano, come un esacordo poggiato là, fra il DO del piano
della terra e il LA al quale avevo accordato i miei anni di crescita.
I dieci piani, allora, erano le sephirot dell'albero della vita,
caoticamente mischiate fra loro, affacciate al loro doppio, maschile
e femminile in unico corpo, unito dal taglio delle scale centrali, in
quella forbice interrotta dai pianerottoli, dove sfuggivo il risucchio
di quel sali-scendi penetrando la mia claustrofobica paura dell'ascensore.
Sotto di me, sotto la mia sesta, la luminosa presenza della
quinta, della dominante di DO: SOL, che grida dalla sua
luce, con la voce dellantico maestro aretino, Guido, Maestro dei
Maestri, Guida delle Guide:
«SOLve polluti... LAbii reatum...» ...il reato delle labbra,
della parola, che non può altrimenti risolversi che nel discioglierla
in musica...
E più avanti ancora, a quei piani superiori che incutevano in
me timore e rispetto:
La-SI, come Sancte Iohannes...
SI che sale al DO superiore, la settima nota SI e il suo intervallo di quinta, il FA, unica
fra tutte le quinte a non essere giusta, esatta proporzione
armonica di numeri, unica quinta diminuita, unico intervallo
instabile nella sequenza di quinte formate sulle singole note della scala, quella nota, il Fa, nel scendere al grado inferiore mostrava il gesto della compassione, della pietà divina.
Nel suono dolcissimo del suo scendere al MI, si ascolta la nota SI che
sale al DO, poiché è la naturale soluzione dellaccordo
di settima di dominante, edificata sulle fondamenta del basso di SOL:
Fa che scende al MI, come MIra gestorum, appoggiata, guidata dal luminoso
SOLve polluti, mentre Sancte Iohannes sale a DOmine Deus...
Dominanti appresso a dominanti, quinta dopo quinta nel sacro cerchio
di 12 suoni, salendo e scendendo sulla scala fra il cielo e la terra,
e ancora salendo e scendendo sui gradini delle ottave, si svolgeva il
computo armonico che mi liberava dagli incubi della mia città
degli anni di piombo, da cui ero fuggito viaggiando per
terre lontane, ma sempre portandomela appresso, quella città,
come un ineliminabile bagaglio, sempre ripercorrendone
i percorsi segreti, tracce inscritte nei frammenti dei miei ricordi,
dei ricordi dei miei compagni di adolescenza morti con la siringa nel
braccio o con il contratto del lavoro fisso, del mutuo per la casa e
per la macchina e per la famiglia e per la tivù nuova...
(smette di suonare)
Che sarebbe stata la mia vita, se fossi vissuto al quinto piano, o al
terzo, o all'ottavo?
Ma ancora più in alto di qualsiasi segno, dal più semplice
al più complesso, la chiarezza di questo simbolo: il numero 8,
il numero del Nome Santo, del Tetragramma impronunziabile, lottava
superiore perfetta...
un semplice 8... scritto con il gesto che unisce ciò che è
sotto a ciò che è sopra, in un abbraccio carico di mistero
e di speranza eppure leggerissimo... senza alcuna gravità...
Questa memoria ti dedico, Chiara, amata Chiara...
Te la dedico affinché tu ne senta il dolore intenso, ma anche
la serenità che ne segue.
Ma ancor più perché non mi è possibile far tacere
dentro o fuori di me questa voce insistente che mi grida dentro: «Tu
sei suo padre!»...
Sì, Chiara... ragazza dalle mani di un angelo celeste... Non
posso tacere... non posso tacerti la mia ossessione. Leggo di te, apprendo
di te, dei tuoi progressi, del tuo crescere in bravura e in saggezza;
ti osservo, ti ammiro, e ti amo come una figlia, quella figlia che non
ho avuto... anzi: quel figlio...
E da quella memoria che tu hai fatto riemergere in me, riemerge ancora
altra MEMORIA più lontana, primordiale, che io conservo e da
cui ricevo la forza per scriverti.
Ascoltami: così come gli animali selvatici sanno dove cercare
e trovare i punti nello spazio della natura in cui riposare e soffermarsi,
come se la terra fosse per loro percorsa da una rete di linee intersecanti
e convergenti, anche per noi c'è la stessa opportunità:
un web, una rete di tracce, di segni, i quali indicano i
percorsi della vita, oppure della morte. Chi pone se stesso su un palcoscenico
diventa un faro, un segnale, un richiamo: positivo o negativo, verso
la rete di quei segni invisibili. Come scriveva Italo Calvino, nelle
sue città invisibili:
Linferno dei viventi non è qualcosa che sarà:
se ce nè uno, è quello che è già qui,
linferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.
Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti:
accettare linferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo
più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento
continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo allinferno,
non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
Questo scriveva Calvino. Ma se questo io lho capito, non è
stato dalla mia dura esperienza di marito e di padre, dallinferno
che è stata la mia vita coniugale, lerrore e linganno
di aver preteso di costruire una famiglia dove non era destino ne dovesse
crescere una. È stato invece il liberarmene che mi ha aperto
gli occhi. Ed è con questi nuovi occhi che ti ho vista, per accorgermi
di come tu sia nel mio segreto destino.
Per questi motivi dedico a te questa mia nuova Sinfonia per orchestra
darchi, scritta per le risonanze delle corde degli strumenti dApollo
e di Davide il salmista, che ho intitolata Senso perché
tu possa salirne con le tue pure emozioni le spirali verso il cielo,
raggiungerne la cima, non verso una sapienza nuova, ma verso lunico,
il vero amore.
Purtroppo, non è unorchestra vera a fartene ascoltare il
suono, ma solo la miseria dei suoni artificiali dei nostri computer
casalinghi, e neppure dei più sofisticati, perché oggi
nessuno vuole più pagare costosi orchestrali in carne ed ossa
a scopi così poco commerciabili...
Né io posso pagare qualcosa in più della mia frugale mensa
quotidiana, cui rubo tutto ciò che posso per destinarlo alla
bolletta della luce per il mio vecchio, ma miracolosamente ancor funzionante,
computer portatile da moderno cavaliere errante in cerca del Graal...
Quindi non mi resta altro interprete della mia musica al di fuori dellumiliazione
di unorchestra virtuale, fatta di numeri senza coscienza e senzanima
zero e uno, luce e tenebra, vivo e morto, in infinite variabili
dinsiemi, ma anche il mondo più desolato avrà
anima, luce e vita dal tuo ascolto amoroso, se solo tu vorrai tendere
lorecchio appena un poco verso ciò che io ti ho qui indicato.
Ti abbraccio forte. Tuo affezionatissimo Maestro,
Francesco.
(si ascolta il midi di Sense mentre lattore si
prende il viso fra le mani. Al termine del brano, il midi continua riprendendo
da capo, con la voce di un giovane uomo che legge il resto della lettera
del figlio, da poco prima del punto in cui aveva smesso di leggere il
padre:)
«Cosa pretendi da me, papà?
Non puoi caricare su tuo figlio tutta la colpa della fine di una cultura
che tu vuoi credere immortale! Non puoi neppure attribuirmi la responsabilità
di un mondo che non sente il bisogno né di fruire né di
conservare larte o la sapienza del passato, e in particolare del
nostro passato, come se fosse lunico posto in cui trovare il modo
giusto di vivere con saggezza!
E poi, la nostra storia è anche il Novecento, è anche
oggi, con i suoi massacri disumani, con la bomba atomica, con linquinamento
che uccide il pianeta, con i terroristi suicidi, con la gente chiusa
nelle case davanti alla tivù, con la solitudine tremenda di un
mondo senza più nessuna fede nellinvisibile...
Papà, non amo lepoca in cui sono nato né più
né meno di te.
Non amo rappresentarmi con le figure con cui mi rappresenta larte
del mio tempo, e neppure come mi rappresenterei io se mi illudessi di
vivere solo ed esclusivamente nella realtà concreta.
Sono un essere che cammina sulla terra, ma che la percepisce solo attraverso
la virtualità, la finzione... sono una forma vivente cresciuta
col latte dei cartoni animati e di una fantasia pre-confezionata, nonostante
i tuoi sforzi per restarmi sempre vicino con le tue storie per togliermi
dal cono di luce della televisione... io sono una forma di vita biologica
nutrita di stimoli elettrici!
Lillusione è tecnologicamente perfetta, e alla fine mi
è impossibile accettare lidea che sia solo illusione. Eppure
a volte succede, quando arriva il dolore fisico, o la sofferenza psicologica
del terrore di morire...
Ecco, allora io faccio come tutti: mi riempio, mi circondo di unarte,
anzi, di un artificio che occupa tutto lo spazio vuoto dentro di me
e intorno a me, per sentirmi bene e non provare dolore. Ascolto musica
violenta e ritmata, perché elimina il senso di vuoto del silenzio,
mi riempio gli occhi di sensazioni visive forti, buttandomi sul divano
davanti con un videogioco per ore e ore, fino alla nausea, e poi sto
così male che se non crollassi nel sonno pesante potrei gridare
come un drogato in astinenza!...
Il resto è buttarmi a capofitto nel lavoro, eccitandomi con lidea
del guadagno, di cosa posso comprare e di dove posso andare in vacanza.
Potrei cercare di guarire dalla mia nausea facendo opere di bene e di
carità per gli sfortunati del mondo?
Non ne sono capace, papà, perché più forte del
mio bisogno di sentirmi bene è la sensazione che tutto il mondo
intorno a me sia nientaltro che un mostruoso errore, e lunica
cosa giusta sarebbe farlo finire al più presto.
E allora lo vedi bene, papà: io ho bisogno di te, perché
tu sei lunico che conosce unaltra mia storia possibile,
che può ricordarmi chi io avrei potuto essere altrimenti.
Perché sei lunico che labbia veramente desiderato...
Ricorda cosa dice lEcclesiaste, papà:
Tutti i fiumi vanno al mare e non si riempie mai; (...) Tutte
le cose si stancano, luomo di parlare, locchio del vedere,
lorecchio delludire. Quello che fu è quello che sarà,
ciò che è accaduto è ciò che accadrà,
non cè nulla di nuovo sotto il sole. Cè una
cosa di cui si dice «Guarda, questo è nuovo!», ma
essa già fu nei tempi che ci precedettero. Non rimane ricordo
degli antichi e neanche dei posteri che verranno rimarrà ricordo
in coloro che vivranno in seguito
Io non ho un altro padre al mondo che mi abbia cresciuto dallinnocenza
alla ragione, e tu non hai un altro figlio a cui hai dato il mio nome
e la mia storia!
È assurdo illudersi del contrario: così noi due siamo
condannati a cercarci sempre nel posto sbagliato, a ripetere sempre
gli stessi errori?
Solo tu puoi liberare me del mio destino di solitudine, e solo io posso
liberare te, papà!
La montagna verso cui vorremmo salire è un luogo che possiamo
raggiungere solo insieme; pensaci, papà...»
(si spengono le luci e lattore esce di scena)
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