In quel momento non c'erano più parole nel mondo intorno a noi: le cose lasciavano i loro contorni e le loro forme; i nomi si dissolvevano districandosi poco a poco dai loro grovigli; si generavano catene ininterrotte di lettere intrecciate secondo numero e frequenza, passando dalla luce all'ombra con solo il piccolo, impercettibile spostamento d'una frazione minima, nel premere o nell'inclinare diversamente le dita sulle corde. Muovevo lento, comandando l'ordine di due voci simultanee, fra ritardi intensi quanto invocazioni, preghiere, risolti in terze o seste solenni, girando maestoso, nel cerchio perfetto del ciclo tonale estremo: dodici suoni eletti, dall'uomo e da Dio, per descrivere le porte del mondo all'anima, accecata dai succhi velenosi, dalla polpa mortale del frutto proibito in Eden.
In ogni tono un giardino, in ogni nota un essere, maschio e femmina, l'uno parte dell'altro e parte di Dio, fiori e frutti insieme, seme e albero uniti, immagine in movimento del Creatore. Sotto ogni tono la sua terra, orto coltivato con l'amore, amore coltivato con sapienza, sapienza coltivata con l'intelligenza, intelligenza coltivata nella speranza.
Sopra, quella voce serena, quella risonanza leggera: la quinta corda, fatta d'aria finissima, ritorta dalle dita sottili e bianche dei Cherubini, tesa fra i punti invisibili delle estremità dell'universo materiale, d'atomi musicali, richiamati fra loro da armonia pura, a formare le cose; materia, là per essere lasciata, perduta, e ancora ritrovata. Cerchio di risonanze ineffabili, eppure geometricamente cognite; nella quinta corda ora era il premio, l'intelligenza e lo spirito uniti, a pizzicarne il suono, e coglierne l'effetto.
C.R.
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