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«Lo tov heyot ha-Adam levado», ovvero: «Non è bene (Tov) che l'uomo sia solo» (Genesi 2:18), che è anche possibile tradurre: «È impossibile all'uomo di esistere nella solitudine». Proprio per questo, il versetto biblico continua e conclude (anzi: è Dio in prima persona che conclude la sua frase) così: «Farò un aiuto contro di lui».
Questa stranezza linguistica, o questo paradosso, è sempre ignorata nelle traduzioni bibliche, che nel migliore dei casi risolvono con un bel: «farò per lui un aiuto che gli si confaccia» (trad. Dario Disegni e Alfredo Sabato Toaff; Torah veHaftaroth, Marietti, Torino 1976). Osservando meglio, la parola ebraica "ezer", "aiuto", proprio come in italiano, anche in ebraico è maschile; tanto basta a far sì che l'osservatore attento intuisca come la complementarietà dell'uomo non abbia, in origine, un volto femminile...
Quanto invece all'enigmatica espressione "aiuto contro di lui", la parola "keneguedò" si traduce in "contro di lui", poiché deriva dalla radice "naguod", che significa "opporsi", ma anche... "raccontare"... quasi quell'aiuto dovesse giungere dal "raccontare" all'uomo un altro mondo possibile, un'altra possibilità...

C.R.

 

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