Nella casa di Gramogliano,
tra i colli orientali del Friuli, limite estremo dei possedimenti veneziani.
Il grappolo d’uva, la fermentazione, la maturazione, il vino... l’arte del restauro d’opere antiche... una torre sopra una cantina alchemica...
Nell’antica casa friulana di Teresa Perusini, discendente di una famiglia la cui nobiltà risale al XIII secolo ed è documentata come una delle primissime famiglie a produrre vino nei colli orientali del Friuli, antichi possedimenti della Repubblica veneziana, ai profumi di fiori e di vini pregiatissimi si unisce un’atmosfera di straordinaria magia: le fondamenta di quella casa sono antichissime: in origine, in quel punto su quella collina, c’era un tempio d’epoca imperiale romana, dedicato a Giano bifronte. Da quello prende il nome la località: Gramogliano, da “Gremius Ianus”, la cui testa scolpita in pietra locale, è stata ritrovata scavando poco sotto i pavimenti della casa, e oggi è incastonata nella sua facciata principale, a fianco della lapide che ne ricorda la costruzione dell’attuale forma, durante l’anno 1604.
Nell’ampio spazio che fino al secolo scorso ospitava le carrozze e i cavalli, oggi la padrona di casa ha realizzato un salone dallo splendido effetto teatrale, aperto su un magnifico giardino; in quello, accoglie i suoi ospiti offrendo loro i suoi vini e la sua appassionata visione dell’arte: Resi Perusini, infatti, è docente di tecniche del restauro presso l’Università Cà Foscari di Venezia, e restauratrice lei stessa, specializzata nelle opere scultoree lignee tardo-medioevali. Di fronte al salone, al lato opposto del giardino, verso la valle, una torre dal curioso aspetto babilonese è opera dell’architetto Augusto Romano Burelli, creata per volontà della padrona di casa come un’opera d’arte dotata anche di uno scopo pratico: l’aerazione delle cantine di invecchiamento dei vini.
Questo straordinario edificio ha tre piani esterni e uno sotterraneo, e tutti sono attraversati da un pendolo di Foucault, per disegnare infine, sulla sabbia disposta alla base della torre, il tracciato del movimento della terra, attorniato dalle profumate botti di rovere dove il vino matura e diventa arte anch’esso. Nei tre piani superiori ci si muove fra i colori disposti dal pittore russo Leon Tarasewicz e quelli disposti dalla natura tutt’intorno, corretta dall’uomo che vi ha disegnato i lunghi e dolci filari dei vigneti.
Parlo con David delle armonie di tre e di quattro suoni, dell’emergere delle melodie dagli insiemi armonici e contrappuntistici, della natura e della cultura ordinate nelle perfette tessiture della composizione di Bach, del lento, alchemico “maturare” di tutte le cose, come il vino nelle botti, sotto la benedizione dell’intelligenza unita alla saggezza.
Torre come albero alchemico, o l’albero delle Sephirot, nella Qabbalah ebraica, con i suoi primi tre punti in movimento, è la metafora “spiegata” della torre di Gramogliano; i suoi tre piani esterni e quello sotterraneo (o sommerso), come Keter, la corona, Binah, l’intelligenza, Hokmah, la saggezza o Sapientia, che “ruotano” insieme a un ulteriore punto nascosto: l’undicesima Sephirah, Daat, la conoscenza. Da tutto ciò si forma il mondo, com’è detto in Proverbi 3.19: “Dio con la sua Saggezza formò il mondo”, e dalla Saggezza e Sapienza deve aver origine la nostra “abilità” di ripercorrere la composizione di Bach. Ma questa torre – ossia anche la partitura bachiana, sorta di torre da cui osservare il mondo e la vita – come qualsiasi torre, è nel contempo anche una “Torre di Babele”, dalla quale non nasce però soltanto il dolore della confusione e della disgregazione, ma emerge il dovere di ricongiungere e ricostruire secondo l’ordine divino.
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