L'incontro con David Grossman

 

«...Dopo due anni di reciproci omicidi, dentro alla sfera ermetica di ciò che chiamiamo “la situazione”, si rivela solo la logica distorta dell’odio e della violenza. Ogni atto dei contendenti è interpretato dall’altro come un cinico inganno. Ogni parte può giustificare i suoi atti, i suoi crimini, le sue atrocità negli atti, crimini, atrocità dell’altra parte; ogni atto ha una spiegazione e perfino una giustificazione razionale dentro alla sfera, ma tutti noi israeliani e palestinesi stiamo soffocando in essa.

 

Ma alla fine, dopo che entrambe le parti si saranno esaurite a vicenda, o dopo che una soluzione sarà imposta loro dall’esterno, dovremo tornare tutti al tavolo dei negoziati, e dovremo raggiungere l’unica valida soluzione che possa garantire la vita per entrambe le parti.

Dovremo avere qui due stati indipendenti e sovrani, fianco a fianco l’un l’altro, Israele e Palestina, e ci sarà un confine fra loro. Non un muro, non un muro di ferro che renderebbe eterno l’odio l’ignoranza reciproca e gli stereotipi. Un confine come quello che normalmente esiste fra due normali stati vicini, e dentro questo confine ogni stato potrà finalmente cristallizzare la sua propria identità. Ma questa volta non solo misurandosi al conflitto: un’identità che non si generi per opposizione a un nemico, ma che sorga dalla materia prima della vita, secondo la propria cultura, i propri valori, volgendosi finalmente al proprio intimo, a tutto ciò che il conflitto ci ha confiscato.

Dobbiamo “nazionalizzarci” secondo i nostri propositi, secondo tutto ciò che abbiamo dimostrato essere “cosa che ci appartiene”, che è la nostra essenza, che è noi stessi. Solo dall’interno di questa identità Israele e Palestina saranno per la prima volta capaci di vedere chiaramente ciò che si sono inflitti vicendevolmente nel corso dei secoli di animosità, e potranno riconoscere i crimini e le atrocità e le sofferenze, e forse un giorno potranno chiedersi perdono.


Dalla posizione un cui ci troviamo oggi è difficile credere che potrà mai accadere una cosa di simile.
Il semplice atto di sperare comporta lo sforzo di rompere questa specie di corazza che ognuno di noi è costretto ad indossare per non soffrire troppo, per non “sentire” troppo. Tutti noi, palestinesi ed israeliani, viviamo le nostre vite come morti che camminano, condannati a morte. Tutti noi ci siamo abituati a vivere solo “parallelamente” rispetto alla vita che avremmo dovuto vivere. Ma nonostante ciò, se non teniamo a mente che in un giorno futuro ci potrebbe essere un’altra via d’uscita, non troveremo mai in noi stessi la forza, l’energia necessaria per raggiungere proprio quel “luogo”, quel futuro...»

 

 

David Grossman, dal discorso al pubblico di "Elegia per Israele" di Claudio Ronco, la sera del 19 settembre 2002, nella chiesa di San Alvise, a Venezia.

 

 


David Grossman e Claudio Ronco, la sera del 19 settembre 2002.


 

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