Parlando della storia di Agira non si può fare a meno di citare l'agirino più famoso e illustre di tutti i tempi:

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Diodoro Siculo

 

Storico greco (ca. 80-ca. 20 a. C.), nato ad Agira in Sicilia, vissuto nel I sec. a.C.; scrisse in greco un'opera intitolata Biblioteca storica (storia universale dall'età preistorica alle guerre galliche) composta da quaranta libri dei quali sono pervenuti completi i primi cinque libri e quelli dall'XI al XX; per gli altri si può disporre di ampi estratti e citazioni. La narrazione partiva dalle origini del mondo sino alla conquista della Britannia da parte di Cesare (60-30 a. C.).


    Agira, situata sul declivio di un monte, è l'antica Agyrion, città sicula divenuta colonia greca nel 339 sotto Timoleonte. E' soprattutto nota per essere la patria di Diodoro Siculo che la cita a parecchie riprese: ricorda ad esempio che gli abitanti di Agyrion al momento di costruire un tempio alle Dee madri "avevano prelevato la pietra dal territorio di una città vicina, benchè le città fossero distanti circa cento stadi (18 Km) l'una dall'altra e che le strade fossero ingrate e difficili. A questo scopo costruirono dei carri a quattro ruote e si servirono di cento tiri di buoi". (Diodoro, V, 80)


 

Da SETTECENTO SICILIANO, traduzione del VOYAGE EN SICILE di DOMINIQUE VIVANT DENON, un francese in viaggio per la Sicilia nel XVIII secolo:

Sicilia fisica

Scendendo da Centuripe..."...trovammo il meraviglioso paese di Regalbuto, posto su di una collina, dall'aspetto assai pittoresco nella sua opulenza. Qui il paesaggio si trasforma e la campagna si presenta ricoperta di folta vegetazione, ricca di ogni genere di colture, fino a S. Filippo d'Argiro, l'antica «Agyre» [Agyrion], patria del celebre storico Diodoro Siculo.

La provincia di Enna

Questa città è costruita sulla sommità di una roccia a pan di zucchero: domina tutto il suo territorio che, secondo la storia, gareggiava con quello di Siracusa per estensione e ricchezza. Ci arrivammo così tardi che le rocce ci sembrarono case.

Agira by night

L'illuminazione, organizzata in onore della festa di S. Pietro, ci fece scambiare le abitazioni per dei palazzi; in tal modo essa ci apparve in tutto il suo antico splendore, come ce la descrisse Diodoro, allorchè Timoleonte, dopo aver scacciato tutti i tiranni dalla Sicilia, la ripopolò.

Arricchiti dal commercio, gli abitanti che vi si erano insediati, abbellirono la città di splendidi monumenti: vi fu costruito un teatro importante quasi quanto quello di Siracusa e dei fastosi sepolcri eretti a piramide. Eppure, quando arrivammo in questa sontuosa città, che risuonava in ogni dove di fuochi d'artificio e di petardi in onore del S. Sacramento, rischiammo di dormire per strada, senza la benevolente carità dei Francescani, e l'indomani i nostri umili Francescani ci sembrarono essere quasi le persone più facoltose della città.

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Attraverso le case, ci inerpicammo  per dei sentieri tortuosi e scoscesi, che non si possono certamente chiamare strade, ma che ne fanno le veci, fino in cima alla montagna, dove non restano che le estese mura di un castello costruito dai Saraceni.

I ruderi del castello

Cercammo il tempio di Ercole ed il lago che egli fece scavare da suo genero Iolas. Ce ne indicarono il sito: si tratta di un'area depressa, posta tra il convento dei Francescani e la città denominata ancor oggi Lago d'Ercole.

Fontana di Ercole

La storia narra che gli antichi Agiri si tagliassero i capelli per sacrificarli ad Ercole, in riconoscenza dell'acqua di cui mancavano  e che questo eroe procurò loro, mediante il lago.

Sia per tradizione, sia per loro maggiore comodo, i moderni agiri si radono quasi a zero i capelli , lasciandone solo due ciuffi sulle tempie. Sarebbe strano pensare che essi abbiano conservato per quasi tremila anni, dal tempo in cui ne fecero sacrificio, quest'usanza che è testimoniata dalle monete sul rovescio delle quali è figurato un genio che taglia i capelli di un Agiro, sul diritto la testa di Ercole.

Antica moneta agirina

Una moneta coniata ad Agira

Del resto, anche se l'aspetto esteriore appare oggi tanto spoglio, l'ubertosità e la ricchezza dell'antica Agira permangono in seno alla sua terra, che abbonderebbe ancora di tutto, se fosse coltivata, ed arricchirebbe i suoi abitanti, se disponessero di sbocchi per lo smercio dei loro prodotti.

Oltre a quelli che la Sicilia produce altrove, il territorio di questa città ne ha dei propri, quali lo zafferano che vi cresce allo stato selvaggio e che, coltivato, è di ottima qualità e del massimo pregio. Vi esiste anche un tipo di argilla tanto fine e dolce che la popolazione se ne serve come sapone; ne ha, difatti, l'effetto e sgrassa alla perfezione.

La stessa zona, se vi si effettuassero degli scavi, non sarebbe meno avara di antichità: i contadini, lavorando, vi trovano un gran numero di cammei e di pietre incise.

Feci la conoscenza di D. Pietro "Minco" [Mineo] 1, superiore della Collegiale, che ne ha fatto una collezione con alcuni splendidi esemplari; tra gli altri una sardonica che raffigura un fauno che gioca con una capra, eseguita con uno stile e una raffinatezza pari a quanto io abbia mai visto di più perfetto in questo campo. Ci sono anche dei vasi greci, rinvenuti nelle tombe, dove, secondo l'antica usanza greca, le salme venivano sepolte e non bruciate 2 .

Mi fu data un'essenza congelata dal tempo che somiglia al sapone, forse residuata dall'olio naturale che si deponeva in piccoli vasi, accanto ai corpi; delle mandorle, anch'esse ritrovate, che, nel conservarsi, avevano assunto la consistenza del carbone, come quelle di Pompei. Questo dotto canonico, il solo, forse, che ad Agira abbia tenuto a sapere qualcosa, mi fece visitare la sua biblioteca che aveva arricchita, con una spesa di cinquantamila franchi, dei migliori libri esistenti in tutte le lingue.

Ebbe la cortesia di promettermi alcuni appunti e di procedere a degli scavi, per renderli piu' interessanti. Mi inviò anche una bottiglia di vino greco, che, mi disse, di aver fatto lui stesso, secondo un sistema indicato da Esiodo. Questo vino era ottimo, benchè ancora troppo giovane, e non somigliava al vino locale; ciò dimostra quanto il metodo di produzione incida sulla qualità dei vini e questo potrebbe servire da lezione agli Italiani.

Prima di lasciare Agira, ritornai nuovamente nella zona del lago; osservai il terreno con rinnovata attenzione: trovai infatti alcuni avanzi di muri all'altezza delle fondamenta, e queste erano costruite in grandi blocchi. Scoprii, sotto la polvere, una superficie piana ed alcune vestigia di mosaico, il chè rivelava la presenza di un grande edificio. Fui accompagnato, là vicino, presso un anziano abate, il quale, compiendo degli scavi nel suo giardino, aveva rinvenuto una stele con la seguente iscrizione greca:

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e numerose tombe con dei vasi di terracotta e delle salme ancora intatte: ciò indicherebbe che questo luogo rimaneva fuori della città, che le vestigia trovate potevano appartenere ad un tempio e che questo tempio, data la sua posizione prossima al lago d'Ercole, poteva essere quello che gli abitanti di Agira avevano innalzato all'eroe. D'altronde non si tratta che di congetture, poggiate su basi molto frammentarie: ma a delle antichità che risalgono a tremila anni, si deve chiedere tutto il possibile.

Mi mostrarono delle case erette sulle fondamenta delle antiche mura e la forma che queste mura davano alla città, chiusa e limitata dalla scarpata della montagna, e dunque costruita sempre in modo scomodo. Furono i Sicani, venuti dalla Spagna in Sicilia, a fondare Agyrium. Perseguitati nei loro possedimenti dai Lestrigoni e dai Ciclopi, popolazioni gigantesche e selvagge, furono costretti ad abbandonare le ricche pianure di Lentini ed a ritirarsi su posizioni difficili, il ché li spinse probabilmente a scegliere quella di Agira: ciò spiega come, nel corso dei secoli, la debolezza ed il bisogno di difendersi abbiano spinto quasi tutte le città ad arroccarsi sulla cima delle montagne, dove il solo approvvigionamento costituisce già una fatica ed un impiego di tempo, di uomini e di animali, e rappresenta una delle cause della negligenza e della miseria che affliggono una parte delle città dell'Italia e ne rendono l'interno così sporco e trasandato.

Tutti i castelli dei Saraceni che si vedono appollaiati su delle cime scoscese hanno seguito lo stesso principio per la loro fondazione. Queste orde di barbari che dilagavano in Europa non potevano occuparla: sempre in stato di guerra, furono obbligati ad erigere in tutta fretta delle fortezze; nell'impossibilità di mantenervi delle numerose guarnigioni, costruirono i castelli di modo che pochi uomini bastassero a presidiarli e in modo da dominare la regione che non potevano difendere se non con il timore e lo spavento che incutevano con la minaccia di discese e di sortite impreviste.

Nell'accurata visita che facemmo alle chiese , trovammo nella cattedrale soltanto un quadro che giudicammo essere opera del Perugino per la ricercatezza del lavoro e per il tipo di teste, ma di un tocco più lieve e più largo di quanto questo pittore usasse fare.

Partimmo alle quattro del pomeriggio ed andammo attraverso una bella contrada e per una strada abbastanza buona a "Leon-forte" [Leonforte], sita a dieci miglia da Agira..."

Mappa di Agira


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