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Uno spettacolo
di alta sperimentazione teatrale ...
Il
pubblico ... riconosce in Frattaroli un poeta innamorato
del linguaggio e che su questo lavora per un teatro che, coniugando
suono-immagine-parola, attraverso i corpi e la voce degli attori,
giunga a farsi lingua totale della comunicazione scenica. Luce-suono-voce
si fanno perciò "ipertesto", rappresentazione
concreta dell'impossibile radiografia del fluire del pensiero,
altissima forma di astrazione che nasce dal sapiente uso creativo
dei linguaggi e delle pratiche teatrali non soltanto occidentali.
L'andamento sinfonico della straordinaria vocalità di
Franco Mazzi e Galliano Mariani, il loro parallelo cercarsi come
due mondi sulla scena astrale, materializzano questa volta il
cercarsi d'amore. ... Sul basso continuo d'echi e risonanze,
adagi e fugati, contrappunti disperatamente tesi all'unisono,
le accensioni sonore si inseguono istante per istante, dilatano
in relazione inversa alla distanza del loro oggetto, il sentimento-illusione
che è l'essere in fuga del testo della Risset. [...] Si
apre uno spazio mentale (forse il vero spazio scenico) che connota
la virtualità e provoca l'evento. L'accadimento che Frattaroli
affida alla partecipe estraneità dei due ottimi interpreti."
(Piero
Longo, Giornale
di Sicilia, novembre
1992)
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... una tappa ulteriore
nello sviluppo poetico verso una scena che il regista definisce
un "campo virtuale" e i cui elementi necessari sono
la luce, il suono e la parola. Gli attori appaiono a torso nudo
imbracati in un conflitto tra passato e futuro confermato dal
mescolamento delle lingue moderne all'antico provenzale dei Trovatori.
Bravissimi gli interpreti.
(La Sicilia, novembre 1992)
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Qui, nella frantumazione
sillabica, nell'eco sonora, nel dialogo tra voce, colata di suoni,
luci e tappeto ritmico di percussioni antiche, nella perdita
di senso che lascia posto all'astrazione pura, si realizza quel
sogno di partitura altrove caparbiamente e inutilmente cercato.
Alle voci di Franco Mazzi e Galliano Mariani il compito di restituire
la densa gamma di sfumature dell'amor di lontano.
(Stefania
Chinzari, l'Unità,
ottobre 1993)
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Il fraseggio
frammentato della poetessa sembra adattarsi mirabilmente al lavoro
teatrale di Frattaroli che, da anni, realizza le sue messe in
scena trasformando i testi in partiture vocali e sonore.
(Antonio Audino,
Il Sole 24 Ore,
ottobre 1993)
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Un corpus
in continua oscillazione fra gli esordi primaverili di Jaufre
Rudel e le esperienze liriche della poetessa francese, fra la
poesia volgare delle origini e la sua trasfigurazione contemporanea.
L'enunciazione dei versi diviene così un'indagine fonetica
condotta da Franco Mazzi e Galliano Mariani attraverso un pas
de deux che raggiunge a tratti l'orlo del virtuosismo.
(Marco Fratoddi,
Il Manifesto,
ottobre 1993)
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Il gemellaggio
in forma di spettacolo concepito ora da Frattaroli individua
uno schema altrettanto affascinante, e rigoroso in sé,
pervaso di esoterismo, di idillio astrale, iniziatico. Viene
davvero da lontano l'amore sfiorato e illustrato dalla partitura
messa in campo ex novo da Frattaroli per questa coppia di amanti
celibi. Una lontananza fatta di tensione, perché Franco
Mazzi e Galliano Mariani, i due strenui dicitori-esecutori, agiscono
a torso nudo e calzando un rapace guanto della realtà
viruale. Una lontananza dai meccanismi sentimentali dell'affanno,
nel rispetto invece della contemplazione, del semplice desiderio,
di un'inesausta veglia. Una lontananza, anche dalla retorica
o dalle emozioni della poesia teatralizzata. I due protagonisti
attuali sono rigorosi atleti del cuore. Percussionista epico
e sidereo è Enrico Venturini. Artefice e regista, Frattaroli
abolisce, nella Risset, ogni vena di moderna chanson de femme,
esaltando una attrazione mentale. Con suggestivo, ben contaminato
esito.
(Rodolfo di
Giammarco, la Repubblica, ottobre
1993)
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Scorgere nella
penombra della sala i due attori, Franco Mazzi e Galliano Mariani,
in posizione accanto ad assi metallici obliqui, punti obbligati
di un percorso d'Amore, è già partire per un viaggio
nel tempo. Le emozioni frammentarie ma fortissime ed ineludibili
del rapporto tra le due voci acquistano il loro senso oltre la
decifrazione del testo; bellissimo, peraltro, vibrante di sentimenti
sussurrati, sognati, desiderati ... che scandiscono le fasi della
realzione d'amore, in armonia con lo scorrere delle stagioni,
come un'astrale avventura della mente.
(Valeria d'Aversa,
Momento Sera,
ottobre 1993)
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Amor di lontano è uno
spettacolo rigoroso, che bandisce ogni tentazione declamatoria,
nell'intrecciarsi seriale dei frammenti poetici. E' questa, forse,
una delle ipotesi più credibili di teatro di parola, dove
la parola vive in una dimensione assoluta, cioè sciolta
da legami. Tale libertà del verso poetico / voce, non
crea conflittualità, ma crea lo spazio scenico. Un'ipotesi
di lavoro interessante che apre egregiamente la stagione di un
polo culturale importante come il Teatro Ateneo.
(Franco Bernardini, La Voce
Repubblicana, novembre 1993)
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Frattaroli è
davvero sperimentale; come in tutti i suoi spettacoli. [
]
se la Risset scrive secondo un sound jazzistico
Frattaroli
riscrive ulteriormente rarefacendo, stilizzando, astraendo sulla
base di un assoluto svuotamento scenografico (quattro "assi
di cristallo", cioè di luce, una figura-emblema della
poesia della Risset) e di una recitazione (Franco Mazzi e Galliano
Mariani) tanto sincopata quanto straziata.
(Franco Cordelli,
L'Indipendente, novembre 1993)
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Enrico Frattaroli
torna all'appuntamento con le sue straordinarie partiture e "mette
in risonanza" i versi degli antichi trovatori provenzali
con le poesie d'amore di Jacqueline Risset. ... I due protagonisti
sono a torso nudo e calzano inquietanti data gloves, i
guanti della realtà virtuale, mentre il luogo è
lo spazio astrale, indifferente e senza tempo. ... Le parole
giocano con le parole e si perdono negli echi sonori, nelle ripetizioni
abilmente costruite, nelle immagini astratte di un sofisticato
erotismo mentale.
(Titti Danese,
Sipario, gennaio-febbraio 1994)
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Frattaroli eleva il linguaggio
a fulcro dell'evento teatrale creando un concertato in cui le
sonorità medievali si mescolano a quelle contemporanee
in una sorta di "lingua plurima", una linea di fuga
obliqua che si appropria di tutto ciò che attraversa in
un percorso amoroso di grande intensità emotiva.
un difficile gioco di specchi e di simmetrie dal quale è
difficile chiamarsi fuori.
(Andrea Nanni, l'Unità,
aprile 1994)
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