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L’ora di religione

Di Marco Bellocchio

 

Se volete assistere ad un’ora di religione andate a vedere questo film. E’ un’ora tenuta da Bellocchio, durante la quale il protagonista rivendica il suo cammino personale di liberazione della coscienza da una religiosità oppressiva ed ambigua.

L’ora di religione non è quella che l’ipotetica maestrina deve impartire al figlio del protagonista, nel tentativo di rispondere alle sue domande infantili, ma è il film stesso. Le domande del bambino sono le stesse del padre. Il bambino e il padre sono la medesima persona spiata da un Dio opprimente, figlia di un sistema ipocrita e monolitico che trova la sua rappresentazione figurativa nel Vittoriano.

Ad Ernesto, pittore di qualità ma non di grande fama, viene comunicato che la madre, che egli ritiene responsabile di gran parte delle sofferenze sue e dei suoi fratelli, diverrà santa, martire per la precisione, perché uccisa per mano di un figlio folle e bestemmiatore.

L’anima dell’artista è contesa tra vescovi malandrini e nobili degradati, tentata da una vecchia zia, subdola e strisciante personificazione del Male che propose a Cristo nel deserto tutti i regni della terra in cambio della sottomissione. L’anziana parente, chiede ad Ernesto di rinnegare la propria onestà intellettuale e morale per la fama e la gloria sua e del casato, ma egli si opporrà.

Ernesto si sdoppia nei fratelli, personaggi autonomi, ma parti di sé, ciascuno con una propria vicenda umana: chi di omologazione, chi di depressione, chi di follia o di dubbio.

La madre è madre ed è contemporaneamente un simbolo -la madre chiesa che uccide e viene uccisa dal figlio che cerca  la propria verità-. Anche il Vittoriano è un simbolo. Quell’enorme monumento segno dell’oppressione e del cattivo gusto, veicolo di follia per un architetto ossesso, viene abbattuto infine, nella mente dell’artista, dalla bellezza statuaria di un’effige romana, per restaurare giardini multicolore.

Vittoria dunque della bellezza sull’orrido, della Natura sulla struttura, della verità sull’ipocrisia. Anche l’Amore, quando verrà, avrà un doppio aspetto. Sarà nelle sembianze di una donna santa e puttana. Almeno questo dubbio rimane nello spettatore, poiché si paventa che la maestrina di religione, artista senza arte, splendida, silenziosa, dai tratti tuttavia grigi e informi, della quale Ernesto sembra innamorarsi, sia una prostituta, messa appositamente dalla zia al fine di distrarlo…

Il linguaggio cinematografico è sapiente, eccezionale è l’interpretazione di Castellitto, bellissimi i dialoghi. Bellocchio si dimostra un eccellente registra e un grande conoscitore dell’animo umano.

Un film per molti, ma non per tutti.

 

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