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IL
Diario di Bridget Jones
Regia
di Sharon
Maguire Dopo
“L’Ultimo Bacio” arriva “Bridget Jones” a narrare ancora una volta di
questi neo-adolescenti trentenni con problemi di soprappeso, di flirt infelici,
di conflitti materni. Ci
si chiede se il cinema abbia identificato un nuovo target, potenzialmente sempre
esistito ma mai sfruttato, o se effettivamente i figli degli anni sessanta e
settanta rappresentino un esercito di irrisolti, potenziali depressi o
semi-alcolizzati. La
goffa e paffutella Bridget, contesa tra “il bello” intrigante e un po’ perverso
Hugh Grant ed “il buono”, Colin Firth, integerrimo
e laconico eroe da Far West, tra spasmi d’amore e diete frustrate, ricerca un
sicurezza mai avuta. Bridget
non si arrende, incontra la simpatia del pubblico e di tutti i single
d’America, (ma anche di Italia), di tutte le ragazze soprappeso, (magari
portassero tutti così qualche chilo di troppo), di tutti i romantici… mentre
il principe azzurro svanisce nel fondo di un bicchiere tra legami dissolti,
vessazioni subite e un’intramontabile speranza: l’amore, uno, eterno… alla
faccia degli anni che passano. Anche
la madre di Bridget, pur prossima ai sessant’anni percorre un suo cammino di
crescita. Da anonima casalinga trascurata ed insicura con il complesso della
scarsa intelligenza, (complesso più che giustificato), arriva ad essere
un’altrettanto sciocca show-girl di terza età. Ma entrambe scopriranno una
vita fatta di affetti essenziali. A loro toccherà una fortuna incalcolabile, un
uomo accanto che le accetta per come sono. Il film è divertente, ma è lontano dal sottile humor del libro di Colin Firth dal quale è tratto, lo spettatore si immedesima nei panni della povera e maldestra Bridget, ne sposa la causa, ne vive gli scoramenti, ma alla fine esce dalla sala con un dubbio: - …non è che sotto sotto mi sono annoiato?-
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