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man’s land
di Danis TanovicEcco il girone degli Ignavi: indifferenti ad ideali e sollecitazioni anche politiche, rincorrono freneticamente una bandiera nel vestibolo dell'Inferno, indegni perfino di essere accolti dall'Inferno stesso. Brutto posto l’inferno. Eppure sono sfrattati anche da lì: "la setta d'i cattivi a Dio spiacenti ed a' nemici sui" (inf. III,62-64), coloro che nella vita non presero mai una posizione. Esiste una trincea di mezzo, che non appartiene né al fronte bosniaco né a quello serbo, nella quale sono capitati tre uomini: due bosniaci e uno serbo, gli uni superstiti di un attacco improvviso, gli altri alla ricerca dei sopravvissuti. Sperano di essere salvati, di essere trascinati fuori da quell’inferno. Uno dei bosniaci è sdraiato su una mina, pronta ad esplodere ad un suo movimento. Attende che i due si mettano d’accordo e che lo aiutino, guarda la foto della moglie ritratta accanto ai fiori. Interviene l’ONU. Le truppe di pace si rendono conto del dramma, ma i loro superiori le paralizzano per opportunismo, paura, vigliaccheria. Interviene la stampa alla ricerca dello scoop. Informa l’opinione pubblica della situazione. L’opinione pubblica esercita pressione nei confronti dei capi. E questi agiscono, al minimo, per salvare la faccia. E non le persone, e non la Jugoslavia tutta, seduta su una mina pronta ad esplodere, e non serbi e bosniaci, consumati dall’odio, che neppure sanno chi ha iniziato questa assurda guerra, né per che cosa devono morire. Forse non si ricordano più neppure per che cosa si debba vivere, perché al momento opportuno se la giocano, la vita, per un’oncia di odio. Nino è serbo, a nessuno importa del suo nome. Ciko è bosniaco e non vuole imparare il nome del suo nemico perché sa che lo rincontrerà dietro ad un mirino. Si dice di non dare mai nomi ad animali che dovrai ammazzare: ti potresti affezionare. Finalmente un film che ha qualcosa da dire. Premiato dalla critica, ma non dal pubblico. Meditate.
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