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Caminantes

                                    

 

 

Il viaggio al centro della terra, era questo che sognavo. Eppure mi muovevo tra le sfere alte a spiar dal cielo vizi e virtù di una popolazione antica, che si è stabilita  a popolar questo pianeta come fosse eterna, costruendo e orti e strade.. e poi sventrando montagne e gettando lunghi ponti tra le virtù e le intenzioni.

E  spendevo tanto tempo a distinguere che cosa fosse reale, tempo perso ritengo, perché nel mentre il vivere mi scorrea dinnanzi. Non era infatti giunto il tempo di distinguere che cosa fosse reale, ma piuttosto discernere quanto vivere con passione  e quanto con noncuranza. Che taglio dare alla vita insomma, come se ci fosse altro modo, (se non quello di immergersi in essa fino al collo, rimanerne sconvolta e travolta per poi emergere con gli occhi grondanti di poesia e di morte a scartar fango dalle palpebre e poi serrarle e schiuderle), per poterne trattenere gli istanti di bellezza e di sogno.

Speravo che dietro questa forma variegata si celasse una sostanza universale, comune a tutti gli uomini nel tempo e nello spazio: era per via di questo pellegrinaggio eterno verso l’altro, pensavo, parte remota di me stessa, attraente  nemico, così drammaticamente indispensabile e importante.

 

Così vivendo, tra il serio e il faceto mi imbattevo in facce, gambe , mani denti, capelli, a volte crani, menti calve insomma.

Cercavo di intuire i pensieri che si arenavano dietro lo sguardo fesso. Allora intercettavo le movenze.  Dicono che la mimica corporea dia importanti segnali sull’anima, dicono che riveli addirittura le ansie e i sogni del genere umano. Così seguivo le mani con lo sguardo, intuivo tra i tessuti e i colori i pensieri celati, davo contenuti a quelle fantasie nascoste.

Ora intuivo: il giudizio veniva prima della comprensione. Cominciavo a capire l’errore. Un pass par tout… questo chiedevo alla mente mia. Un criterio universale che mi aiutasse a sentire l’anima del mondo… come un animale cieco contro le pareti del suo cuore andavo cercando le tracce di eternità.

Fosse questo un modo per garantirmi dalla morte cerebrale, dalla noia, dall’ignavia? Forse dalla delusione di un mondo pensato secondo i filtri atavici dell’educazione e dei buoni sentimenti?

Quando penso c’è chi mi esorta a vivere, dice che siano cose diverse, ben distinte e pare che la vita debba prevalere sul pensiero. Eppure quando vivo c’è chi mi esorta a pensare…ora può essere che io viva e pensi disordinatamente… o che agli uomini piaccia esortare, che amino credere che nei panni altrui sarebbero perfetti avendo chiara la strada da percorrere, profondo il giudizio, definita la meta. Che straordinaria lucidità hanno gli uomini nei panni altrui: diventano filosofi, politici,  santi persino.  

Ho viaggiato per le strade strette pensando fossero autostrade e guardavo i profili distinguersi dalle ombre e sgusciare dai vicoli ed insinuarsi nei miei occhi, senza mai essere entrati nella mia testa. 

Nella mio immaginario il mondo era accogliente. Potevo percorrerne i sentieri forte dei miei valori. E’ facile, pensavo, quando sai ciò che è fondamentale.

Ma che cosa conta?…Conta quello che ti hanno detto essere importante. Questo è il primo biglietto per la caccia al tesoro della vita. 

Così il soldato partì per la guerra senza sapere per che cosa combatteva, senza sapere quali armi avesse, senza sapere chi lasciava né chi avrebbe incontrato.  

 

Mi hanno insegnato da bambina a cercare il bene e a rifuggire il male. Mi hanno detto da bambina che cosa fosse il bene, che cosa fosse il male. Mai con le parole, me lo dissero con sguardi e silenzi… e ai loro fantasmi aggiunsi i miei fantasmi.

E i fantasmi ora riposano nei sogni. Talvolta emergono sotto la pelle per parlarmi dei mostri del passato, con i miei occhi scrutano il presente, me lo restituiscono adulterato ed estraneo affinché io mi rifugi in loro: consolatori ingannevoli e fallaci.  

 

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