ALLEGORIA
Definizioni
enciclopediche e citazioni
Diamo qui di seguito alcune definizioni di
"allegoria" tratte da manuali di
retorica, enciclopedie o saggi di analisi letteraria
pubblicati nel corso del XX secolo. La selezione è
quanto mai limitata e deve servire da spunto sia per
andare a leggere nella loro completezza i testi da
cui le citazioni sono tratte, sia per operare
ulteriori approfondimenti. A questo proposito
rimandiamo alla selezione bibliografica dal
sito internet del Servizio Bibliotecario Nazionale
riportata in fondo.
Demetrio Ferrari: Traslati o tropi.
Allegoria.
L'allegoria (esprimo altra cosa) metafora
continuata, che cioè si distende di seguito a più
proposizioni e periodi e, talvolta, anche a discorsi
interi. Essa mostra in apparenza un oggetto, ma in
realtà ne intende un altro somigliante. Si usa
quando, non potendo o non parendo conveniente
significare apertamente una cosa, si manifesta
figurandola in un'altra consimile.
Così il Giusti rappresenta l'Italia facendo la
storia di uno stivale, e il Casti, nel suo poema Gli
animali parlanti, rappresentò sotto forma di
bestie i vari governanti dell'Europa. Del resto sono
allegorie le favole, gli indovinelli, ecc.
L'allegoria poi si distingue in pura e mista,
secondo che è formata di sole parole traslate, o
anche di parole usate in senso proprio; è pura
l'allegoria seguente che usa il Manzoni giudicando,
in una lettera, alcuni versi del De Amicis: "Ho
qui nel mio giardinetto un giovane melagrano, che
questa primavera ha portato molti fiori, i quali in
parte sono caduti, in parte allegano; il rigoglio di
tutti e il sano vigore di alcuni annunziano insieme
che questo alberetto è destinato a dar frutti
copiosi e netti". Parimenti è allegoria pura
l'ode con cui Orazio esorta i romani alla pace
dirigendosi alla Repubblica che rappresenta come una
nave sbattuta dalla tempesta; sono miste invece
l'allegoria della nave che rappresenta l'animo
agitato del Petrarca (Son. CXXXVII: Passa la nave
mia, ecc.); quella del ruscello, con cui il Testi
adombra e morde l'uomo, che, da umili natali salito
in grandezza, si fa orgoglioso e prepotente; e questa
di Dante (Purg. I):
Per correr miglior acqua alza le vele
Ormai la navicella del mio ingegno,
Che lascia dietro a sé mar sì crudele.
[Da: Demetrio Ferrari, L'arte del dire,
Hoepli, Milano, 1919, pp.54-55 (n.ed.
Cisalpino-Goliardica, Milano, 1977).]
Walter Benjamin: Allegoria e dramma
barocco.
Questa circostanza porta alle antinomie
dell'allegorico, che non si potrà omettere di
trattare dialetticamente se si vuole evocare
l'immagine del dramma barocco. Ogni personaggio,
qualsivoglia cosa, qualsiasi situazione possono
significarne un'altra qualunque. Questa possibilità
implica per il mondo profano un giudizio di
annientamento, benché equo: esso viene
contrassegnato come un mondo in cui in fondo il
particolare non è poi tanto determinante. Eppure,
soprattutto per colui che ha presente l'esegesi
allegorica, è del tutto incontestabile che quei
requisiti del significare acquistano tutti, appunto
col loro alludere ad altro, una potenza che li fa
apparire incommensurabili con le cose profane e che
li può innalzare, anzi santificare, su un piano più
alto. Per cui il mondo profano allegoricamente
considerato è insieme promosso di rango e svalutato.
Questa dialettica religiosa del contenuto sostanziale
ha come correlato formale quella di convenzione e
espressione. Perché l'allegoria è le due cose
insieme: convenzione e espressione; e queste sono per
natura contraddittorie. Eppure, così come la
dottrina barocca concepiva in generale la storia come
un accadere creato, specie l'allegoria, sia pure in
quanto convenzione allo stesso titolo di ogni
scrittura, è considerata creata, come la scrittura
sacra. L'allegoria del diciassettesimo secolo non è
convenzione dell'espressione, bensì espressione
della convenzione. Espressione, anche,
dell'autorità: segreta per la dignità della sua
origine e esplicita quanto all'ambito della sua
validità. Ed è la stessa antinomicità che si
scopre, raffigurata, nel conflitto tra la tecnica
fredda e disinvolta e l'eruttiva espressione
dell'allegoresi. Anche qui, una soluzione dialettica,
che è radicata nell'essenza stessa della scrittura.
Della lingua rivelata è infatti pensabile, senza
contraddizione, un uso più vivo, più libero, in cui
essa non perde nulla della sua dignità. Ma non così
della sua scrittura, mentre l'allegoria cercava di
spacciarsi per tale. Il carattere sacro della
scrittura è inseparabile dalla nozione della sua
rigorosa codificazione. Perché ogni scrittura
sacrale si fissa in complessi che alla fine ne
costituiscono uno solo e immodificabile, o che
perlomeno cercano di costituirlo. Perciò la
scrittura alfabetica è quella che più si allontana,
in quanto combinazione di atomi scritturali, dalla
scrittura dei complessi sacrali. Questi si plasmano
nel geroglifico. Se la scrittura vuole garantirsi il
proprio carattere sacrale - e sempre di nuovo la
investirà il conflitto di validità sacrale e di
comprensibilità profana -, essa tenderà ai
complessi, al geroglifico. Ciò avviene nel barocco.
Esteriormente e stilisticamente - nella drasticità
della proposizione scritta come nella metafora
ridondante - ciò che è scritto tende all'immagine.
Rispetto al simbolo artistico, al simbolo plastico,
all'immagine della totalità organica, non è
pensabile contrapposizione più rigorosa del
frammento amorfo quale risulta l'immagine grafica
allegorica. In essa il barocco si dimostra la
magistrale controparte della classicità, quella che
fino ad ora si voleva riconoscere soltanto nel
romanticismo. E non va respinta la tentazione di
ricercare la costante di entrambi. In entrambi: nel
romanticismo come nel barocco, non si tratta tanto di
una rettifica della classicità quanto di una
rettifica dell'arte stessa. E a quel contrastante
preludio del classicismo, al barocco, sarà ben
difficile negare una più alta concrezione, anzi una
maggiore autorità e una durevole validità di questa
rettifica. Là dove il romanticismo, in nome
dell'infinità, della forma e dell'idea, potenzia
criticamente la forma compiuta, di colpo lo sguardo
allegorico, che è sguardo in profondità, trasforma
cose e opere in una scrittura emozionante.
[Da: Walter Benjamin, Il dramma barocco tedesco,
Einaudi, Torino, 1971, pp.184-186 (ed.or. Ursprung
des deutschen Trauerspiel, Rowohlt, Berlin,
1928).]
Guido Mazzoni: Allegoria.
Fu già definita (Aristot., Poet., 21;
Cicer., Orat., 94; Quintil., IX, 2, 46) una
metafora continuata; e veramente, a considerarla nei
termini stretti, ha una fondamentale attinenza con
l'espressione metaforica di un concetto: se non che
l'allegoria non è solamente parlata o scritta, è
anche figurativa; e contiene assai più di una
metafora continuata, in quanto suole svolgere un'azione
a modo di racconto o di romanzo, o determinarne in
forme plastiche o disegnate alcuni essenziali
elementi, perché il lettore o l'osservatore vegga,
di là dal racconto reale, un senso ideale o morale.
Convien dunque considerare l'allegoria come
un'espressione del pensiero e della fantasia anche
fuori dei trattati retorici e del linguaggio poetico.
Come meglio apparirà dalla trattazione ulteriore,
si devono distinguere nell'allegoria almeno due
principalissimi aspetti. Il primo si ha quando
vocaboli oppure segni furono a bella posta adoperati
in guisa che, dopo l'impressione e l'intelligenza del
senso offerto dal racconto, dalla pittura, dalla
scultura, si abbia la riflessione e la penetrazione
di un'intima verità concettuale. Il secondo, quando
a una verità concettuale un pensatore cercò di dare
con l'arte propria una determinazione letteraria,
pittorica o scultorica, così che la veste apparente
sia soltanto un tramite, più o meno agevole, verso
l'idea originaria. Nel primo caso, la lettera, i
tratti, i colori devono avere tal valore in sé e per
sé, da poter conseguire un effetto estetico anche su
chi non si accorga del riposto significato o non si
curi di raggiungerlo. Nel secondo, la lettera, i
tratti, i colori devono fin dall'origine e
costantemente subordinarsi all'intendimento morale,
politico, sociale, ecc., onde ebbero la ragione vera
dell'essere loro.
Naturalmente l'un caso e l'altro né si
contrappongono sempre in una maniera recisa, né si
escludono mai compiutamente dentro una medesima opera
d'arte, anzi sogliono alcun poco frammischiarvisi.
Un'interpretazione allegorica può, del resto, come
vedremo, esser data anche da altri a un'opera che
nelle intenzioni dell'autore non la richiedeva; e
poté, per giunta, esser data altresì ad avvenimenti
storici o leggendari, a fenomeni naturali, a
organismi vegetali e animali, ecc.
Rientrano nell'allegoria, a giudicarne da codesto
punto di vista, i cosiddetti Bestiari Lapidari Erbari
moralizzati, e vi rientrano le parabole evangeliche,
le favole esopiche, alcune caricature. D'altro lato
vi rientrano perfino, in grandissima parte sia le
medaglie, le monete, le insegne o imprese, sia le
moderne réclames che con parole o con disegni
cerchino d'attrarre l'attenzione per qualche merce o
festa pubblica o convegno industriale, ecc.
Simbolo e simbolismo sono espressioni che non è
possibile distinguere oramai nettamente da allegoria
e allegorizzamento. Comunque se ne vogliano delineare
i termini rispettivi, conviene genericamente
riconnetterli a quell'antica e sempre in modo vario
vigorosa forma del pensiero e della fantasia da cui
sorsero tante bellissime invenzioni in quasi ogni
campo dell'arte.
[Da: Guido Mazzoni, Allegoria, in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Roma, 1929, vol.II, p.534.]
Ernst Curtius: Omero e l'allegoria.
Chiedendosi quale sia la funzione del poeta nel
mondo, Goethe fa rispondere a Wilhelm Meister:
"Nato in fondo al suo cuore, cresce il bel fiore
della saggezza, e quando gli altri sognano vegliando
e sono sbigottiti in tutti i loro sensi da immagini
mostruose, egli vive il sogno della vita come chi è
desto, e ciò che di più singolare può accadere è
per lui ad un tempo passato e futuro. Così il poeta
è simultaneamente maestro, profeta, amico degli dèi
e degli uomini". In questo brano riecheggiano
concezioni classiche. L'intera Antichità vede i
poeti come sapienti, maestri, educatori. Ad Omero,
tuttavia, una simile concezione è estranea. Il
cantore omerico che presenta le sue composizioni alle
corti principesche della Jonia lascia gli ascoltatori
entusiasti e "incantati". Risuonano, in
questo termine "incantati", ricordi della
primitiva affinità tra poesia e magia? Come che sia,
anche se diamo alla parola il significato usuale di
"pieni d'ammirazione", esso esprime
ugualmente l'effetto purissimo di tutta la poesia e
allude ad una verità atemporale sempre valida, che
sovrasta tutte le concezioni pedagogiche della
poesia.
Ma era proprio l'elemento pedagogico che appariva
importante agli antichi. La poesia aveva il solo
compito di piacere, o anche quello di essere utile?
Orazio riassunse le annose disquisizioni sul tema
nella banale dottrina secondo cui la poesia deve
dilettare ed essere utile insieme. Ma Omero era di
una qualche utilità? Insegnava cose vere? Questi
sono problemi fondamentali della teoria letteraria
antica, che hanno avuto grande importanza storica per
i successivi sviluppi. Esiodo fu il primo ad
attaccare Omero: egli si rivolge al più basso strato
sociale della Beozia, biasima la nobiltà corrotta,
si professa sostenitore di una riforma morale e
sociale. Mentre egli si trovava sull'Elicona a
pascolare il gregge paterno, le Muse lo avevano
consacrato poeta e gli avevano annunciato: "Noi
sappiamo dire numerose menzogne con l'apparenza di
verità; ma quando lo vogliamo, sappiamo anche
proclamare il vero". Le "verità" di
Esiodo riguardano origine del mondo, mitologia, ecc.,
ma - oltre a ciò - indicano regole sacrali:
Non orinare stando in piedi, rivolto al sole;
e dall'ora in cui il sole tramonta, - rammenta, -
fino all'alba
non dovrai orinare sulla strada né uscendo dalla
strada,
e neppure levarti la veste: le Notti appartengono ai
Beati;
l'uomo pio si siede, o s'accosta al muro del cortile.
In Esiodo è espressa in versi tanta materia
semplicemente didascalica, che non gli è rimasto
alcun discorso poetico da trasmettere ai posteri.
Egli credeva di proclamare il vero; ma le opinioni
sul vero o sul falso mutano assai rapidamente. Il
pensiero di Esiodo si fondava sul mito; ad esso si
contrappose, dal VI secolo a.C., il pensiero
scientifico della filosofia naturale ionica. E'
meraviglioso l'impeto con cui la filosofia penetra,
di gradino in gradino, nello spirito greco. Fu la
rivolta del logos contro il mythos: ma
anche contro la poesia. Esiodo aveva criticato
l'epica nel nome della verità; ma ora anch'egli,
insieme ad Omero, viene giudicato dinanzi al
tribunale della filosofia. Eraclito dichiarava:
"Omero dovrebbe essere escluso da ogni
competizione, ed essere anche fustigato". E
Senofane: "Omero ed Esiodo hanno attribuito agli
dèi tutto ciò che per gli uomini è colpa e
vergogna: il furto, l'adulterio, il reciproco
inganno". Così, la critica dei filosofi in
apparenza era diretta contro la religione, di fatto
contro la poesia; infatti, dal momento che i Greci
non possedevano né fonti religiose, né caste
sacerdotali, né "libri sacri", la loro
teologia era forgiata dai poeti. Gli dèi omerici
erano soggetti ad emozioni decisamente umane che
nell'epica davano talvolta luogo ad episodi comici.
Anche lo spodestamento di Urano da parte di Crono e
poi quello di Crono da parte di Zeus - come li
racconta Esiodo - offendevano il senso morale. E' per
questo che il poeta è respinto dallo Stato ideale di
Platone. Le critiche mosse da Platone ad Omero
rappresentano il culmine di quella contesa fra
filosofia e poesia che, al tempo di Platone, era
considerata già "vecchia". E' una contesa
che affonda le radici nella struttura stessa del
mondo spirituale; perciò essa può riaccendersi in
qualunque momento (lo vedremo nel Trecento italiano),
ed ogni volta resterà alla filosofia l'ultima
parola; la poesia infatti non le replica, possiede la
sua propria saggezza.
I Greci non volevano rinunciare né ad Omero né
alla scienza; cercarono dunque un compromesso: lo
trovarono nell'interpretazione allegorica di Omero.
L'allegoresi omerica è immediatamente successiva
alle critiche mosse ad Omero dai presocratici;
incomincia già nel medesimo VI secolo e si sviluppa
in diverse correnti e fasi, che non occorre qui
analizzare nei particolari; essa acquista poi, nella
tarda Antichità, un nuovo ascendente sugli animi e
viene applicata all'Antico Testamento dall'ebreo
ellenizzante Filone. Da questa allegoresi biblica
ebraica nasce l'allegoresi cristiana dei Padri della
Chiesa. Il paganesimo ormai declinante applica anche
a Virgilio l'interpretazione allegorica (Macrobio).
Durante il Medio Evo l'allegoresi biblica e quella
virgiliana si fusero in una sola; l'allegoria divenne
perciò l'elemento assolutamente fondamentale per
l'interpretazione di ogni testo; è alla base di
tutto ciò che si indica come "allegorismo
medievale". Esso si esprime nella
"moralizzazione", mediante interpretazione
allegorica, persino di Ovidio e di altri autori; ma
si esprime anche nel fatto che personificazioni di
entità astratte - figure gradite, come abbiamo
visto, alla esperienza vitale (Erlebnis) dell'uomo
tardo-antico - poterono divenire personaggi di opere
poetiche: dalla Psychomachia di Prudenzio ai
poemi filosofici del XII secolo, e da questi al Roman
de la Rose, a Chaucer, a Spenser, agli autos
sacramentales di Calderón. L'interpretazione di
Omero in chiave allegorica sembrava ovvia ancora ad
Erasmo e a Winckelmann: questi osservava che nei
poeti preomerici la sapienza era ancora avvolta in
enigmi, ma "finalmente, quando in Grecia la
sapienza si accostò più vicino agli uomini per
rivelarsi a molti fra loro, essa gettò via il velo
esteriore che la rendeva quasi irriconoscibile;
sebbene senza velo rimase però rivestita in modo
tale che poteva essere riconosciuta da chi la
cercasse con attenzione; e in tale forma essa ci è
apparsa nei grandi poeti; Omero ne fu il massimo
maestro: solo Aristarco - unico fra gli antichi -
osò negargli tale superiorità. L'Iliade doveva
essere un manuale di istruzione per re e governanti; l'Odissea
assolse analoga funzione nella vita domestica;
l'ira di Achille e le avventure di Ulisse sono
semplicemente il tessuto necessario al rivestimento.
Omero trasformava in rappresentazioni le speculazioni
filosofiche intorno alle passioni umane e dava corpo
ai concetti, animandoli con meravigliose
immagini".
L'allegoresi omerica era sorta per giustificare
Omero di fronte alla filosofia. In seguito fu
ripresa, oltre che dalle scuole filosofiche, anche
dagli storici e dai naturalisti. Essa rifletteva una
caratteristica basilare del pensiero religioso greco,
la convinzione cioè che gli dèi si manifestassero
in forma enigmatica, come negli oracoli e nei
misteri. Era compito degli "iniziati"
penetrare con lo sguardo oltre i veli e i tegumenti
che nascondevano il segreto agli occhi delle masse -
secondo una concezione che si fa sentire ancora in
Agostino...
...Teoricamente distinta dall'allegorismo, ma in
pratica generalmente ad esso collegata (così anche
nel brano citato di Winckelmann) è l'idea secondo
cui la poesia non solo contiene, e deve contenere,
una sapienza segreta, ma anche una conoscenza
universale delle cose...
...Nel tardo rigoglio della cultura romana del IV
secolo, Virgilio prende il posto di Omero...
[Da: Ernst Curtius, Letteratura europea e
medioevo latino, La Nuova Italia, Scandicci,
1992, pp.227-230 (ed.or. Europäische Literatur
und lateinisches Mittelalter, A.Francke Verlag,
Bern, 1948).]
H. Lausberg: Tropi di dislocazione o
di salto. Allegoria.
L'allegoria è la metafora continuata come
tropo di pensiero e consiste nella sostituzione del
pensiero che si intende per mezzo di un altro
pensiero che si trova in un rapporto di somiglianza
con il pensiero che si vuole intendere.
Si debbono distinguere due gradi di totalità
dell'allegoria:
1) La tota allegoria, conchiusa in se
medesima (cioè senza alcun elemento del pensiero che
si vuol intendere).
2) La permixta apertis allegoria che, con
segnali rivelatori, viene unita al pensiero che si
vuol intendere. Se il pensiero vero e proprio non
viene solo indicato con segnali, ma viene anche
espresso apertamente, si hanno le figure della
definizione allegorica e della similitudo.
- I limiti non sono netti. Così la parabola
biblica viene formulata ora come allegoria, ora come similitudo,
ora come definizione allegorica.
Molte allegorie (per esempio, la
"navigazione" per "direzione degli
affari dello stato" e per "condotta
individuale in tempi particolarmente
pericolosi") sono divenute patrimonio comune
della consuetudo linguistica per mezzo della
tradizione orale e scritta. La tradizione e la
trasformazione dei "campi di immagini" è
un fenomeno della Geistesgeschichte.
Un'allegoria racchiusa in se stessa, la cui idea
fondamentale si possa intendere e riconoscere
difficilmente (cioè soltanto conoscendo in precisi
dettagli la situazione sociale e psicologica di chi
parla) (obscuritas), si chiama
"enigma".
Anche la metonimia mitologica e simbolica può
essere trasformata in allegoria. - L'allegoria viene
chiamata "simbolo" o "allegoria
simbolica", quando tra l'oggetto inteso e
l'allegoria, si presume una partecipazione reale resa
possibile dell'allegoria medesima. Così per esempio
il faggio nella novella di Annette von
Droste-Hülshoff "Judenbuche" ("Il
faggio del giudeo") è un simbolo. V. Pöschl
attribuisce a molte allegorie di Virgilio forza di
interpretazione simbolica.
Se un'allegoria è composta di elementi presi da
diversi campi di immagini, ne deriva una mala
affectatio, che viene chiamata inconsequentia
rerum. Come i tropi in generale anche i campi di
immagini possono venir meccanizzati, tanto che il
loro carattere di immagine non viene più sentito nel
discorso vivo anche se resta comprensibile grazie
ella riflessione etimologica. E' esattamente questo
stato di insensibilità che giustifica la
"incoerenza delle immagini", che è
addirittura un mezzo di deduzione linguistica della
realtà (non legata al precetto di unitarietà delle
immagini). [...]
L'allegoria può diventare anche Principio di
interpretazione, quando, per esempio, si attribuisce
a un discorso di ri-uso un senso nuovo, dovuto alla
modificazione della situazione.
Affine all'allegoria è la tipologia biblica, che
riunisce in una corrispondenza tipologica le realtà
storiche: lo storico re David è cosi un typus dell'antitypus
Cristo. [...]
Una variante di realizzazione dell'allegoria è la
"personificazione" (fictio personae,
prosopopoeia), che consiste nell'introdurre
cose concrete (per esempio un fiume) e concetti
astratti e collettivi (per esempio la patria) come
persone che agiscono e che parlano (come nell'antico
Roman de la Rose e nel teatro di Calderón). Anche la
favola degli animali (fabula, fabella, apologus)
può essere inclusa per analogia in questo
tipo.
[Da: H. Lausberg, Elementi di retorica, Il
Mulino, Bologna, 1969, pp.234-237 (ed.or. Elemente
der literarischen Rhetorik, Hueber, München,
1949).]
Nicola Abbagnano: Allegoria.
Nel mondo moderno l'Allegoria ha perduto il suo
valore e si è negato che essa possa esprimere la
natura o la funzione della poesia. Si è visto in
essa l'accostamento di due fatti spirituali diversi,
il concetto da un lato, l'imagine dall'altro, tra i
quali essa stabilirebbe una correlazione
convenzionale e arbitraria (Croce); e soprattutto la
sì è accusata di trascurare o di rendere
impossibile l'autonomia dell'imagine poetica la quale
non avrebbe una vita propria perché sarebbe
subordinata alle esigenze dello schema concettuale
cui dovrebbe dar corpo. Buona parte dell'estetica
moderna dichiara perciò l'Allegoria fredda, povera e
noiosa; e piuttosto insiste, nell'interpretazione
della poesia e in generale dell'arte, sul valore del simbolo
che può essere vivo ed evocatore perché
l'imagine simbolica è autonoma e ha un interesse in
se stessa cioè un interesse che non mutua dal suo
riferimento convenzionale a un concetto o ad una
dottrina. Tuttavia, se si tiene conto della potenza o
della vitalità di certe opere d'arte di chiara
struttura allegorica (per es., della Divina
Commedia e di molte pitture medievali e
rinascimentali) si deve dire che l'Allegoria non
necessariamente rende impossibile l'autonomia e la
leggerezza dell'imagine estetica e che, in certi
casi, anche la corrispondenza puntuale tra l'imagine
e il concetto può non riuscire mortificante per la
prima e non togliere ad essa la vitalità dell'arte o
della poesia. T. S. EIiot ha fatto, proprio a
proposito di Dante, una difesa in questo senso
dell'Allegoria.
[Da: Nicola Abbagnano, Dizionario di filosofia,
Utet, Torino, 1971, p.16 (ed.or. 1960).]
Paul Zumthor: Il messaggio poetico.
Tipologie.
Conviene a questo proposito dare la più grande
importanza a una nozione di cui il medio evo stesso
spinse molto avanti l'elaborazione: quella di
allegoria. Le definizioni che ne sono state date in
epoca moderna non sempre concordano. Ora l'accento è
messo sulla personificazione delle realtà astratte,
ora sul fatto che si tratta di una metafora
prolungata; a volte le due nozioni sono abusivamente
distinte. Il proprio della figura allegorica
consistette piuttosto, se ci riferisce ai documenti
forniti da Lausberg, nella loro associazione. E' in
questo senso che considero qui il termine [...]
In tutti i casi, l'allegoria funziona in modo
identico: senza trasparenza propria, come una glosa
integrata al testo che non esiste su nessun altro
piano tranne quello, attuale, della sua
letterarietà. Essa unisce un soggetto non metaforico
a un predicato che appartiene all'ordine della
metafora, in una figurazione che comporta insieme i
caratteri del concreto e del generale. L'oggetto di
cui si impadronisce si trova, proprio per questo,
spogliato di tutto quello che ha di unico e di
personale. E tuttavia essa lo sottrae all'astrazione
del puro intelligibile. Essa parte da una metafora,
data come littera, dotata di un senso proprio,
sensus litteralis, al quale aggiunge con un
legame manifesto, grazie alla personificazione, una sententia.
In altri termini, passa da una metafora a una
realtà: operazione esattamente inversa a quella del
simbolismo, che, dal sensibile, passa ad altro. Di
qui il carattere razionale dell'allegoria: essa
estrae da un frammento del reale un senso
indiscutibile; proclama e genera un ordine, chiaro,
privo di frange inquietanti. Essa procede da una
sorta di ottimismo fondamentale: nulla è privo di
senso, e quest'ultimo può essere posseduto. Essa
implica che la struttura della verità è fissa,
oggettiva, spiegabile, e che colui che la conosce
può esserne cambiato. Attesta che il più generale
non è il più immateriale: ciò che ci appare come
una semplice astrazione stilisticamente personificata
è realtà perché Nome.
E tuttavia, appena abbraccia una sequenza di una
certa durata nel discorso, l'allegoria presenta un
carattere sintattico, piuttosto che lessicale:
l'effetto poetico proviene infatti, piuttosto che dal
soggetto, dal suo predicato verbale. L'allegoria è
così percepita a livello della frase più che del
nome: quella rivela quest'ultimo, lo promuove al suo
livello significante. Il fascino dell'allegoria è
tale, è stato detto, che sembra creata dal nulla.
Essa si manifesta come un contrappunto narrativo su
uno sfondo continuo dal quale si distingue in
prospettiva per dei segni facilmente riconoscibili ma
di un'estrema leggerezza: segni semantici, risultato
dell'accostamento di classemi del tipo
"inanimato" + "parola"; segni
sintattici come l'apostrofe. Ma niente mai impedisce
di mantenere la lettura sul piano del comparante,
come se quest'ultimo esaurisse il senso del discorso;
la metafora è colta come una storia [...]
Bisogna evitare a questo punto ogni confusione.
Opporremo l'allegoria al simbolo da una parte,
all'interpretazione figurata dall'altra. Quanto al
primo, diremo che l'allegoria costituisce un discorso
i cui elementi sono facilmente riconosciuti
dall'ascoltatore, che li riferisce a un'altra realtà
ben definita, situata al di là di essi. Un senso
morale, evidente e insieme monovalente, è incluso
nel senso letterale. Il simbolo, invece, comporta,
tra i suoi livelli semantici, una relazione oscura e,
soprattutto, polivalente: esso opera infatti un transfert
non dal particolare al generale, come
l'allegoria, ma dal particolare al particolare: ora,
ogni cosa particolare è in quanto tale illimitata.
L'allegoria si fonda su una proprietà del
linguaggio; il simbolo implica, almeno fittiziamente,
una proprietà degli esseri. L'allegoria trasforma un
nome comune, che designi qualche specie naturale o
razionale, in un nome autodeterminato che rinvia,
come un pronome, al soggetto di azioni reali. Il
simbolo presuppone una concezione delle cose stesse.
L'allegoria riposa così sulla volontà del poeta, e
non parla se non in virtù della sua intenzione. Essa
tende a costituirsi, in modo virtuale, in scienza,
mentre il simbolo dipende da un'arte. Questa
opposizione non manca di ambiguità nella pratica. Mi
sembra tuttavia necessario mantenerla in teoria,
secondo l'insegnamento già datato di C. S. Lewis e
malgrado le attenuazioni apportate in seguito alla
sua teoria da G. Hough e da M. Bloomfield, che fanno
dell'allegoria una specie del genere simbolo.
Tuttavia simbolo e allegoria hanno in comune di
stabilire un rapporto tra un termine
"reale" e un altro termine che potremmo
designare come segno o icona. L'interpretazione
figurale, invece, lo stabilisce tra due termini
concepiti come ugualmente reali. Essa non comporta
finzione, ma la fede sicura in un piano di realtà
superiore. Questa differenza non sfuggiva ai dotti
del medio evo: essi oppongono, all'uso di questa
interpretazione nella lettura e nell'insegnamento dei
libri biblici, la pratica letteraria che è o
parabolica o metaforica. L'allegoria propriamente
detta, in quanto contrassegnata dal suo statuto
metaforico, ripugna agli "effetti di
reale", alle descrizioni che rimandano
all'incongruo o al burlesco del quotidiano, al
pittoresco della storia: la narrazione allegorica ha
sempre una qualche dignità morale, un'altezza, una
generalità che orienta la decodifica.
Ciò non toglie che il senso prodotto dal simbolo,
dall'interpretazione figurale o dall'allegoria, sia
generato, in ultima analisi, dall'universo
intellettuale degli uomini del XII secolo. E' dunque
naturale che si producano degli scambi a livello
delle significazioni seconde e dell'ideologia. Certi
simboli di origine liturgica, o "figure"
tradizionali nella lectio divina, hanno potuto
dar luogo a dei tipi, correnti nella poesia di
argomento religioso e anche profano: dal punto di
vista della Poetica sono semplicemente dei tipi, il
loro statuto primitivo non ha più importanza. Così
l'albero della Croce, la coppia Eva-Maria, i sette
peccati. Così pure dei simboli sociali molto
antichi, il bacio, il saluto e altri. Può succedere
che l'allegoria li integri al suo discorso.
[Da: Paul Zumthor, Semiologia e poetica
medievale, Feltrinelli, Milano, 1973, pp.129-133
(ed.or. Essai de poétique médiévale, Seuil,
Paris, 1972).]
Gianni Vattimo: Allegoria.
...Tuttavia la condanna luterana dell'allegorismo
non rappresenta affatto la fine del metodo
allegorico: la religiosità barocca, sia cattolica
sia protestante, è tutta un fiorire di letture
"spirituali" della Scrittura, che anzi si
sviluppano soprattutto nel mondo protestante
parallelamente al proliferare delle diverse sette.
La spiritualità barocca, del resto, rappresenta
un terreno fertile di sviluppo dell'allegoria anche
al di fuori del campo teologico: già Dante nel Convivio
aveva distinto un senso allegorico dei poeti da
quello dei teologi: l'arte e la poesia barocche sono
largamente improntate all'allegorismo, come tipico
procedimento compositivo. Il classicismo
settecentesco preparò le basi per la svalutazione
dell'allegoria nell'estetica e nella teoria artistica
degli ultimi secoli: benché Winckelmann, il
fondatore e l'ispiratore di tutto il classicismo,
parlasse ancora positivamente di allegoria,
intendendola però piuttosto genericamente come la
forza mitopoetica da cui scaturisce l'arte antica, le
sue premesse teoriche generali preparano la
distinzione basilare tra simbolo e allegoria
formulata da Goethe: "E' cosa molto diversa se
il poeta cerca il particolare in funzione
dell'universale, e se nel particolare scorge
l'universale. Dalla prima maniera risulta
l'allegoria, dove il particolare non è che
l'emblema, l'esempio dell'universale; ma la seconda
è propriamente la natura della poesia: essa esprime
un particolare, senza pensare all'universale e senza
alludervi" (Massime e riflessioni).
Questo secondo modo di rappresentare l'universale è
il simbolo, che d'ora in poi sarà privilegiato come
caratteristica dell'arte. Il privilegiamento del
simbolo è legato all'affermarsi, soprattutto per
influsso di Goethe, di una visione dell'arte che pone
l'essenziale della produzione e della fruizione nell'Erlebnis,
nella puntuale esperienza vissuta e piena di
senso.
Proprio la scoperta del nesso che lega la
svalutazione dell'allegoria all'estetica dell'Erlebnis,
al classicismo, al culto del genio, spinge oggi a
tentare una riabilitazione dell'allegoria: sia sulla
base di una critica dei limiti della coscienza
"estetica" tradizionalmente concepita, sia,
sul piano delle poetiche e della concreta vita
dell'arte, in accordo alle esigenze fatte valere
dalle avanguardie artistiche del Novecento,
dall'espressionismo al surrealismo, al dadaismo,
all'astrattismo, le quali, contro l'immobile quiete
di un mondo di forme rotonde e compiute, scoprono la
portata positiva della disarmonia, della dissonanza,
proprio come essenza "allegorica"
dell'arte, che per natura richiama oltre l'opera:
è questo lo spirito che, annunciato potentemente da
Ernst Bloch in Lo spirito dell'utopia (1918 e
1923), viene svolto più specificamente in
riferimento all'allegorismo dell'arte barocca da W.
Benjamin nella sua opera su Il dramma barocco
tedesco (1928), che rappresenta uno degli scritti
essenziali sul tema.
[Da: Gianni Vattimo, Allegoria, in Enciclopedia
Europea, Garzanti, Milano, 1976, vol.I, p.293.]
Gian Paolo Caprettini: Fra retorica e
mito.
Tanto il termine "allegoria", quanto il
suo precursore per la lingua greca, la hypònoia,
hanno designato forme di conoscenza indiretta. La hypònoia
corrispose all'operazione del congetturare (la suspicio
latina): a partire da un dato concreto presente
alla percezione, si trattava di inferire l'idea o
l'insegnamento teorico che in esso si celava.
Nell'interpretazione dei miti, della poesia, dei
racconti religiosi, la hypònoia assunse
particolare valore; i significati nascosti nei miti
(o dai miti) potevano essere di ordine fisico,
teologico, morale, o storico. Con hypònoia si
definirono anche tout court i procedimenti del
discorso figurato, il cosiddetto
"schematismo", oppure, nell'allegoresi
biblica, l'interpretazione tropologica. Sia la hypònoia
sia l'allegoria sono state legate alla
dissimulazione, alla conoscenza mediata,
giustificate, in certi casi, dalla necessità di
trasmettere in forma non letterale, non trasparente,
una verità di ordine superiore.
Il passaggio dalla hypònoia all'allegoria
è registrato da Plutarco (I-II secolo d.C.) che
criticò chi aveva voluto, cercando a tutti i costi
sensi nascosti, far violenza ai testi omerici. L'uso
del termine "allegoria" al posto di hypònoia
si affermò in epoca ellenistica col significato
comunemente accettato di figura retorica che consiste
nel dire una cosa per farne comprendere un'altra; il
che corrisponde al suo etimo (gr. àllo-agorèyo,
"dico, sostengo altro").
La definizione classica si deve a Quintiliano [Institutio
oratoria], secondo il quale l'allegoria è
una metafora continuata che mostra una cosa, quanto
alle parole, ed un'altra cosa, quanto al senso. Anche
Cicerone, nel De oratore, riporta l'allegoria
alla metafora, alla translatio, ossia al
trasferimento ad un altro termine del significato di
un termine che ha col primo un qualche rapporto (si
veda il noto esempio omerico riportato da Aristotele:
"Achille si lancia come un leone") e
considera l'allegoria sotto forma di sistema di
metafore, nel senso che il dato in questione non è
una coppia di parole (Achille/leone) ma un gruppo che
forma un tutto unitario ed esplicitabile, per questo
secondo aspetto in antitesi con l'enigma, con la
ricerca dell'oscurità del senso fine a se stessa.
[...]
Due recenti definizioni sembrano riprendere questi
presupposti; per Lausberg [Elementi di retorica]
l'allegoria è una metafora continuata
consistente "nella sostituzione del pensiero che
si intende per mezzo di un altro pensiero che si
trova in un rapporto di somiglianza... con il
pensiero che si vuole intendere"; per Henry [Metonimia
e metafora] l'allegoria è una metafora seriale [filée]
che personifica un'idea astratta: in tal modo egli la
definisce come un caso particolare di metafora
continua che, propriamente, sarebbe invece "una
struttura semantica complessa", costituendo
"in uno svolgimento concettuale unitario una
serie [un sistema] di metafore che sfruttano
elementi di un medesimo campo semico".
L'identificazione dell'allegorico col figurato è
stata più volte ricercata, connessa non di rado ad
un prevalere della retorica; presupponendo un mondo
ordinato, la pretesa che il linguaggio si debba
accordare al senso attraverso un preciso sistema di
regole fa concepire ogni testo come una
rappresentazione fedele di questo accordo istituito.
E' significativo rilevare che il rapporto fra
retorica e allegoria dovette essere chiarito da
Tommaso d'Aquino, il quale, volendo distinguere il
senso letterale, di cui sarebbero produttori gli
uomini (che ad esso possono applicare una
simbolizzazione di primo grado, allegoria in
verbis, i cui tropi sono metafore, parabole,
personificazioni), dal senso spirituale, di cui
sarebbe produttore Dio (che comporta una
simbolizzazione di secondo grado, allegoria in
factis, espressa nell'allegorico, nel
tropologico, nell'anagogico), distingue insomma
retorica umana da allegoria divina, prendendo
posizione nei confronti del dilagare incontrollato
del termine in questione, che stava addirittura (a
partire da Beda, VII-VIII secolo), come "tropus
quo aliud significatur quam dicitur", a
rappresentare, senza più alcuna relazione di
affinità analogica fra il termine
"proprio" e il termine
"figurato", lo scarto fra ciò che è detto
e ciò che si vuol dire, assumendo la dimensione di
etichetta di tutte le forme di "alterità"
e ponendosi in tal modo come definizione di tutta una
parte, se non dell'intera retorica.
Ben diversa la motivazione che stette alla base
della presa di posizione di César du Marsais [1730]
secondo il quale l'allegoria trovava posto nella
classe dei sensi figurati (quelli "che le cose
significate attraverso il senso letterale fanno
nascere nella nostra mente" e che, essendo di
facile riscontro nella pratica linguistica
quotidiana, non sarebbero di specifica competenza
della produzione letteraria); l'"innesto"
però del senso spirituale - e di quello specifico
"letterale-figurato" - sul letterale non
avverrebbe indiscriminatamente, bensì sarebbe
fondato su una sorta di comune "buon
senso", che è una evidente sorta di sanzione
culturale socialmente accettata. La posizione che di
volta in volta, in differenti situazioni
storico-culturali viene assunta nei confronti dei
rapporti fra il senso primo e il senso
secondo è un segno dell'atteggiamento
complessivo nei confronti del sapere, totalizzante o,
al contrario, empirico-liberaleggiante, come nei casi
appena citati.
[Da: Gian Paolo Caprettini, Allegoria, in Enciclopedia
Einaudi, Einaudi, Torino, 1977, vol.I,
pp.362-363.]
Angelo Marchese: Allegoria.
E' una figura retorica mediante la quale un
termine (denotazione) si riferisce a un significato
più profondo e nascosto (connotazione). Ad esempio,
il Veltro dantesco: a livello denotativo,
"veltro" significa "cane da
caccia"; è ben noto che questo termine allude a
un "riformatore spirituale", donde la
connotazione allegorica. Secondo gli autori della Rhétorique
générale [Groupe m]
l'allegoria è un "metalogismo", ossia
un'operazione linguistica che agisce sul contenuto
logico mediante la soppressione totale del
significato di base, che deve essere riportato a un
diverso livello di senso o isotopia comprensibile in
riferimento a un codice segreto. Morier, considera
l'allegoria un racconto di carattere simbolico o
allusivo e l'avvicina alla favola o all'apologo di
tradizione esopica. La favola-allegoria della rana e
del bue metterebbe in rapporto due mondi: mondo degli
animali e mondo degli uomini. [...]
Tra le allegorie tradizionali, ben note quelle
della nave che attraversa un mare in tempesta, fra
venti e scogli ecc.: rappresenta il destino umano, i
pericoli, le discordie politiche, mentre il porto è
la salvezza. Non si tratta di una " metafora
continuata" come pensa Lausberg sulla scia di
Quintiliano, ma piuttosto di un insieme di simboli
astratti.
Il problema della comprensione delle allegorie
dipende dalla loro maggiore o minore codificazione
(ad esempio, una donna bendata con una spada o una
bilancia è ormai un'immagine codificata della
Giustizia); in molti casi, specie in poesia, la
connotazione allegorica dipende da particolari
sottocodici dell'autore. Occorre distinguere
chiaramente l'allegorismo dall'interpretazione
figurale di origine biblica, attiva soprattutto nel
Medioevo e presente in Dante. Se il Veltro è
un'allegoria perché un elemento sta per un altro
(cane-riformatore), Beatrice è una figura perché
non è soppressa la sua realtà storica, anche se
nell'aldilà essa ha assunto un nuovo significato: è
la guida spirituale di Dante. Dunque dietro alla
figura agisce il meccanismo logico "questo e
quello": ad esempio, l'Esodo degli Ebrei
dall'Egitto ha una sua verità effettiva o
"istoriale", ma allude anche a un
significato permanente, la liberazione del cristiano
dalla schiavitù del peccato.
Morier distingue vari tipi di allegoria:
l'allegoria metafisica (ad esempio, il mito della
caverna in Platone, dove si rapporta il mondo
sensibile a quello delle idee); l'allegoria teologica
(dalle composizioni mitologiche ai racconti
cristiani, che hanno bisogno di una interpretazione:
cfr. i quattro sensi della scrittura nel Medioevo);
l'allegoria filosofica ecc.
[Da: Angelo Marchese, Dizionario di retorica e
di stilistica, Mondadori, Milano, 1978,
pp.15-17.]
Angelo Jacomuzzi e Gian Paolo Caprettini: Allegoria.
L'interpretazione "figurale" della
Scrittura, espressa nell'opera di Paolo di Tarso, fa
dell'allegoria un dispositivo di selezione del senso
del testo e del suo destinatario: quello apparente lo
attribuiscono i lettori sprovveduti che di esso si
contentano, quello profondo lo sanno riconoscere,
tramite l'allegoria, i saggi: opposizione che vede,
fra questi ultimi, annoverati quei cristiani che
sapranno strappare il "velo" che offusca
agli occhi degli ebrei l'Antico Testamento e potranno
leggerlo come anticipatore dei fatti narrati nel
Nuovo e di quelli che dovranno compiersi.
L'allegoria, sosterrà S. Agostino, non si trova
nelle parole, bensì negli avvenimenti storici; tanto
i simboli che sono in natura, e a cui viene
riconosciuto un senso ulteriore, quanto i personaggi
prefigurati, i "tipi" dell'Antico
Testamento, sono oggetto di interpretazione. E' così
espressa l'idea di un simbolismo universale che però
mai conduce a risultati ultimi ma incessantemente
accresciuti dal perfezionamento della fede, e
comunque sempre schermati e mediati. E' a S. Tommaso
che si deve la sistemazione dell'uso del termine in
questione che stava ormai a rappresentare un tropo
assai generico, il dispositivo di un'espressione che
significa diversamente da ciò che dice (Beda):
dell'allegoria in verbis, "retorica"
sono produttori gli uomini, di quella in factis,
allegoria vera e propria, è produttore Dio.
Nella cultura medievale (poesia, romanzo, teatro
ma anche scultura, pittura e perfino architettura) le
rappresentazioni allegoriche come personificazioni di
concetti astratti ("vizi" e
"virtù", amore, crudeltà, morte,
paura...), unitamente alle straordinarie serie di
equivalenze simboliche fra i diversi elementi del
reale, hanno costituito la trama di fondo dell'arte.
L'esempio dei bestiari è certamente quello più
diffuso, ma sono i due grandi poemi, il Roman de
la Rose, prima di Guillaume de Lorris (1230
circa), poi ripreso da Jean de Meung, e la Commedia
di Dante Alighieri a rappresentare il vertice dei
procedimenti allegorici. Proprio la Commedia, nella
quale culmina il concetto di letterarietà del
Medioevo, segna anche la tappa suprema e ultima
dell'allegoria come momento centrale del discorso
poetico e figurativo. Il momento del passaggio,
infatti, da una realtà pensata come effetto di un
processo, ordinato per fasi gerarchicamente
decrescenti rispetto alla fonte primaria di coerenza
(Dio) - il teleologismo universale degli esseri in
quanto creature -, a un sistema di dati che stanno
fra di loro in una combinatoria di possibili, è da
collocare verso la fine del sec. XIII.
Questo mutamento della spiritualità e del gusto
già si può avvertire nel trattamento che
dell'allegoria il Boccaccio fa in alcune delle sue
opere minori e nei Trionfi del Petrarca, e si
accentua nel corso del Quattro e del Cinquecento.
Numerose figurazioni allegoriche possiamo ritrovare
nell'Orlando Furioso dell'Ariosto e nella Gerusalemme
Liberata del Tasso: in quest'ultima opera esse
sono piegate con maggior impegno che presso altri
autori a significazioni mistico-cristiane; ma il
significato propriamente allegorico di queste
invenzioni appare marginale rispetto alla sostanza
dell'opera e spesso diventa pretesto per argute o
suggestive digressioni fantastiche.
Walter Benjamin, richiamando gli studi di Giehlow,
ha ribadito che il distacco vero e proprio
dell'allegoria medievale si è determinato nel sec.
XVI. L'allegoria dei misteri religiosi fu
ridimensionata dal "letteralismo" della
Riforma, per cui la Scrittura non va svelata ma
vivificata. E' l'avvento di un'allegoria
storico-morale e politica, la cui origine va
ricercata nelle curiosità umanistiche verso la
decifrazione dei geroglifici egizi e che in Italia
approdò al monumentale repertorio
"allegorico" di Cesare Ripa, la Iconologia
(1593); ma accanto alla sistemazione, la poetica
delle arti sospinge verso il moltiplicarsi degli
orizzonti percettivi. Il famoso detto del Tesauro
(1655): "La Metafora tutti gli obietti rinzeppa
in un Vocabulo: e quasi in un miraculoso modo gli ti
fa travedere l'uno dentro all'altro" ben si
attaglia all'allegoria in generale e alle
contemporanee espressioni pittoriche.
[Da: Angelo Jacomuzzi e Gian Paolo Caprettini, Allegoria,
in Grande Dizionario Enciclopedico, UTET,
Torino, 1984, vol.I, p.573.]
Selezione
bibliografica
La bibliografia che segue è una selezione
ricavata dal sito internet del Servizio Bibliotecario
Nazionale (http://opac.sbn.it/Search.html/). I titoli
sono trascritti con la grafia semplificata
adottata dal sito SBN (niente segni diacritici,
niente maiuscole nei titoli inglesi, ecc.) e sono ordinati
per data.
Rudolf Wittkower, Allegoria e migrazione di
simboli, Einaudi, Torino, 1960.
Erwin Panofsky, Il significato nelle arti
visive, Einaudi, Torino, 1962.
Clive Staples Lewis, L'allegoria d'amore;
saggio sulla tradizione medievale, Einaudi,
Torino, 1969.
Simbolo, metafora, allegoria: atti del IV
convegno italo-tedesco, Bressanone 1976, Liviana,
Padova, 1980.
Friedrich Ohly, Geometria e memoria: lettera e
allegoria nel Medioevo, Il Mulino, Bologna, 1985.
Michelangelo Picone (a cura), Dante e le forme
dell'allegoresi, Longo, Ravenna, 1987.
Jean Pepin, La tradition de l'allegorie: de
Philon d'Alexandrie a Dante. Etudes historiques,Etudes
Augustiniennes, Paris, 1987.
Jon Whitman, Allegory: the dynamics of an
ancient and medieval technique, Clarendon Press,
Oxford, 1987.
J. Stephen Russell (a cura), Allegoresis: the
craft of allegory in Medieval literature,
Garland, New York, 1988.
Georges Couton, Ecritures codees: essais sur
l'allegorie au 17me siecle, Aux amateurs de
livres, Paris, 1990.
Willem van Reijen (a cura), Allegorie und
Melancholie, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1992.
Gian Paolo Caprettini, Simboli al bivio,
Sellerio, Palermo, 1992.
Lucia Perrone Capano, Alle origini
dell'allegoria moderna: testi narrativi di Jean Paul,
Novalis e Goethe, Istituto Universitario
Orientale, Napoli, 1993.
Marlies Kronegger e Anna Teresa Tymieniecka (a
cura), Allegory old and new: in literature, the
fine arte, music and theatre, and its continuity in
culture, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht,
1994.
Anna Teresa Tymieniecka (a cura), Allegory
revisited: ideals of mankind, Kluwer Academic
Publishers, Dordrecht, 1994.
Ulteriori indicazioni bibliografiche si possono
trovare negli altri testi citati in questo file.
[Uroboro 7, Edizioni
Mediateca, Campi Bisenzio, 1999.]