Indice Uroboro 7
 
Indice
Uroboro 7
 

Mediateca Italiana
 
Bacheca

 

Paolo Pettinari

BESTIE, UOMINI, VIRTU'
Esempi da due bestiari medioevali*.

 

Il bestiario lo si può considerare come un genere letterario didascalico, in cui la letteratura ha preteso di farsi scienza così da acquisire un contenuto di verità più certo; ma dove paradossalmente, a seguito dei mutamenti epistemologici e dell'acquisizione di nuove conoscenze, è la scienza che si è fatta letteratura, continuando a vivere non più della propria perduta verità empirica, ma della sola verità poetica.

Parlare di verità empirica nel contesto della cultura medioevale è ad ogni modo quanto mai impreciso, dal momento che le verità scientifiche derivavano raramente dall'osservazione e dall'esperienza, ma piuttosto dalla tradizione ellenistica tramandata dalle generazioni di amanuensi, traduttori e volgarizzatori monastici. Così è anche per i bestiari che, con varie differenze, appaiono tutti derivati da un trattato greco del II secolo d.C., il Physiologus, ampiamente diffuso attraverso innumerevoli redazioni latine e in altre lingue.

Fra coloro che nei secoli XII e XIII si cimentarono nel genere si ricordano Philippe de Thaon, poeta anglonormanno, Guillaume le Clerc, cui si deve un Bestiaire divin, Gervaise de Barberi e Pierre de Beauvais del quale si conoscono due redazioni in prosa di un bestiario da cui deriva il Bestiaire d'amour di Richart de Fournival. Quest'ultimo, scritto intorno alla metà del Duecento, istituisce una lunga serie di similitudini fra comportamento animale e comportamento amoroso, elaborando una sorta di sistema di corrispondenze fra simbologia zoologica e fenomenologia dell'amore, che per il successo e la diffusione che ebbe fornì a sua volta lo spunto per ulteriori elaborazioni.

In Italia si hanno diversi esempi di testi poetici riconducibili al modello di Richart. Fra i più noti possiamo citare un ciclo di sonetti di Chiaro Davanzati, poeta del XIII secolo, che può essere considerato un piccolo, essenziale bestiario d'amore; un altro esempio lo abbiamo poi nel Mare amoroso, poemetto anonimo della fine del Duecento, in cui le similitudini utilizzate per descrivere la passione d'amore sono in gran parte di derivazione zoologica. Ma non è soltanto la letteratura profana il luogo in cui gli animali vengono ad essere termine di paragone simbolico; è infatti soprattutto nella letteratura religiosa o morale che il genere bestiario assume la forma più sistematica. Il Libro della natura degli animali (conosciuto anche come Bestiario toscano o, nella redazione veneta, Bestiario tosco-veneto) e il Bestiario moralizzato di Gubbio sono i due esempi più cospicui.

Il Libro della natura degli animali è una compilazione anonima della fine del Duecento, in cui si possono distinguere varie parti: 1) un prologo; 2) una serie di circa cinquanta descrizioni di animali, ciascuna seguita da una dettagliata interpretazione in senso morale, che talvolta assume l'aspetto di un piccolo sermone; 3) un gruppo di favole con animali come protagonisti; 4) un secondo gruppo di descrizioni moralizzate (presente solo in alcuni manoscritti). Le fonti di questa sorta di trattato sono essenzialmente due: il Bestiaire di Richart de Fournival e un Libellus de natura animalium di cui esiste anche una versione provenzale. Dal primo l'anonimo compilatore sembra aver tratto le descrizioni degli animali, raggruppandole in modo più sistematico; dal secondo potrebbe avere avuto degli spunti per integrare l'interpretazione simbolica e morale.

Il Bestiario moralizzato di Gubbio è invece costituito da una serie di 64 sonetti e può essere considerato come una rielaborazione in chiave seria del breve ciclo di Chiaro Davanzati. La struttura argomentativa delle composizioni è costante, e ripete sostanzialmente quella del Bestiario Toscano: una quartina, o al massimo due, con la descrizione di certe peculiarità di un animale, poi il resto del sonetto per stabilire delle similitudini con la dimensione del vivere umano e della morale cristiana. Anche la scelta degli animali ripete quella di altre compilazioni simili: predominano le bestie selvatiche, ma non mancano gli animali domestici, come la gallina o l'asino, né quelli fantastici, come la sirena o il satiro.

Pur nelle loro diversità formali, ci sembra che entrambi i bestiari evidenzino un fatto importante per capire la cultura che li ha prodotti: per gli uomini del Medioevo i rapporti fra gli esseri avevano un carattere allo stesso tempo gerarchico e di profonda, anche se non sempre evidente, uniformità. Oggi l'uomo e l'animale sono visti come il prodotto di differenti storie evolutive e vengono considerati come elementi di un ecosistema che entrambi contribuiscono a perpetuare e trasformare. Nel Medioevo uomini, animali e tutte le altre cose visibili e invisibili, erano anzitutto creature di Dio; il loro posto nell'universo, fissato immediatamente dopo la creazione, era immutabile; e il sistema delle loro interazioni era grossomodo lo stesso a tutti i livelli: nel mondo minerale, in quello vegetale, in quello animale, in quello umano e in quello celeste.

In un piccolo libro pubblicato nel 1943, E.M.W.Tillyard ci dà una descrizione sintetica e molto suggestiva di come gli uomini del Medioevo si raffiguravano il mondo e i rapporti fra le creature. Essi, dice Tillyard, descrivevano l'ordine universale ricorrendo a tre metafore principali: una catena, una serie di piani corrispondenti, e una danza.

L'immagine della catena aiutava a dar conto sia delle differenze sia dei rapporti gerachici fra le creature. Essa partiva dal trono di Dio, si snodava lungo tutta l'indeterminabile varietà della creazione, e giungeva fino all'infima materia inanimata. In questo serpeggiare vertiginoso ciascuna specie, ciascun genere, ciascuna famiglia, da quelle spirituali a quelle animali, giù giù fino a quelle minerali, costituiva un anello della lunghissima catena. Inoltre, venendo uno dopo l'altro secondo un ordine stabilito dallo stesso creatore, gli anelli rappresentavano anche i gradi di una scala: dal massimo al minimo della perfezione.

All'immagine degli anelli ordinati in successione gerarchica, così che la catena dell'essere finiva per tradursi anche in una scala dell'essere, si associava l'idea della corrispondenza dei diversi piani (o anelli o gradini). Così, ad esempio, se sul piano umano si potevano osservare delle società organizzate in forma monarchica, questo fatto non poteva non ripetersi sugli altri piani: su quello animale, dove il leone era considerato re; su quello celeste, dove il sole era il re dei pianeti; su quello vegetale, con la rosa regina dei fiori; su quello infernale, con Lucifero re dei demòni; e così via. Pertanto le relazioni esistenti fra le creature che costituivano un anello della catena erano grossomodo le stesse che si sarebbero potute osservare in tutti gli altri anelli. Ciò significava anche che, osservando certi fenomeni su di un piano, quegli stessi fenomeni erano necessariamente presenti, seppure in forme diverse, anche sugli altri piani, ed era compito degli uomini saperli decifrare e scoprire.

Infine, a queste due immagini di successione e giustapposizione, si aggiungeva l'idea di una danza cosmica che regolava il continuo muoversi delle creature secondo un ritmo stabilito al momento della creazione. Come infatti osservava Isidoro di Siviglia: "Nulla esiste senza musica; poiché si dice che l'universo stesso abbia avuto forma da una specie d'armonia di suoni, e che pure i cieli ruotino secondo i toni di quell'armonia".

Gran parte dell'allegorismo medioevale deriva da queste idee sull'ordine dell'universo. In particolare dalla convinzione che fra i vari anelli della catena dell'essere (o se preferiamo l'altra immagine: fra i vari piani della scala) vi fossero delle corrispondenze strutturali talvolta immediatamente evidenti, talvolta invece così nascoste da rendere necessaria una raffinata esegesi.

I bestiari fondano il loro contenuto di verità proprio su questa convinzione: che, nonostante le innegabili diversità quanto a perfezione, fra piano animale, piano umano e piano spirituale vi fossero profonde similitudini, e che queste similitudini, essendo il più delle volte oscure, andassero lette e decifrate e interpretate con l'aiuto della retorica, della fede o, in prospettiva laica, della filosofia d'amore.

Ciò concorda anche con l'osservazione fatta da Jurij Lotman, in un saggio del 1973, secondo cui la visione medioevale del mondo si basa sul principio paradigmatico della sostituzione, più che su quello sintagmatico della concatenazione. In base a questo codice di cultura, fondato sulla semantizzazione (o simbolizzazione) dell'uomo e di tutta la realtà che lo circonda, ogni elemento del reale ha un significato perché confrontabile con altri elementi che, a livelli diversi della scala gerarchica in cui è organizzato il mondo, occupano una posizione simile.

Nei testi che abbiamo selezionato dal bestiario toscano e da quello eugubino, si parte sempre dall'osservazione (che in realtà è una citazione da altri testi) di un comportamento animale: la tigre alla ricerca dei piccoli che resta ingannata dagli specchi; la farfalla (parpalione) attirata dalla fiamma fino a morirne bruciata; la salamandra che avvelena tutto cio che tocca; il drago che non uccide la preda a morsi, ma leccandola; la pantera che col suo odore attira tutti gli animali tranne il drago; il corvo che becca gli occhi e le cervella dei morti; la sirena che attira gli uomini uccidendoli. Esaurita la descrizione, dal piano animale si passa a cercare sul piano umano e su quello spirituale tutte le possibili corrispondenze: così la tigre corrisponde agli uomini che si fanno ingannare dal demonio; la farfalla è il peccatore attirato dalla bellezza; il drago corrisponde al demonio adulatore; come pure la salamandra e il corvo sono altre manifestazioni del maligno; la pantera è Cristo che si nutre di tutte le anime che attira; mentre la sirena è la donna che attrae carnalmente l'uomo.

In tal modo, se si pensa che anche i lapidari e gli erbari si basavano sul medesimo concetto di corrispondenza, la natura appare veramente una foresta di simboli, simboli per nulla convenzionali o arbitrari, ma motivati da questa idea di una catena dell'essere i cui anelli, via via che si allontanavano da Dio, erano una copia imperfetta del precedente.

 

Nota bibliografica

- A.Carrega e P.Navone (a cura), Le proprietà degli animali. Bestiario moralizzato di Gubbio. Libellus de natura animalium, Genova, Costa e Nolan, 1983. - G.Contini (a cura), Poeti del Duecento, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960. - M.S.Garver e K.McKenzie (a cura), Il Bestiario toscano, in "Studi romanzi", VIII, 1912. - C.Segre e M.Marti, La prosa del Duecento, Milano-Napoli, Ricciardi, 1959.

- Ju.M.Lotman, Il problema del segno e del sistema segnico nella tipologia della cultura russa prima del XX secolo, in Ju.M.Lotman e B.A.Uspenskij (a cura), Ricerche semiotiche, Torino, Einaudi, 1973. - A.Lovejoy, The Great Chain of Being, Cambridge Mass., Harvard University Press, 1936 (tr.it. La grande catena dell'essere, Milano, Feltrinelli, 1966). - E.M.W Tillyard, The Elizabethan World Picture, Harmondsworth, Penguin, 1978 (ed.or. 1943).

* Questo breve saggio è gia stato pubblicato su "L'Area di Broca", XXI, 59, 1994.

 

Dal Libro della natura degli animali

Della natura del lupo.

Lo lupo si è uno animale che have in sé due proprie nature: ché elli sì è nominato rappace, cioè rapitore, ché elli vive de preda; e quando elli viene a intrare in alcuno luogo per involare, sì va molto guardingamente, e se elli facesse alcuno sentore, sì si prende li piedi colli denti e sì se li morde fortemente. L'altra natura si è che elli tolle lo vigore all'omo, se ello vede l'omo 'nansi che l'omo vegga lui; e si l'omo vede 'nansi lui che 'l lupo 1u vegga, sì tolle l'omo lo vigore al lupo.

E anco dice omo che ello have cotale natura che lo maschio non ingenera fine che 'l padre è vivo, né la femina non porta fine che la matre è viva: e questa è la cagione perché delli lupi sono meno che delle pecore; ché la peccora non fa se non uno solo figliolo l'anno, e la lupa ne porta sì como fa la cagna. L'altra natura si è che elli hae sì reddo lo collo, che non lo può vogliere se non collo petto insieme.

Questo lupo sì c'insegna e mostra esemplo di molte maniere di òmini: ché, sì como lo lupo vive de rapina, cussì sono òmini di tanta malvagità che tuto tempo viveno di rapina; e sì como lo lupo intra per involare guardingamente, cussì sono certi òmini meschini che intrano in certi offisii ecclesiastichi e mondani propriamente per involare e per rapire quelle cose che lo conduceno in periculo di morte, e vanno con grande guardia monstrandosi essere quello che non sono per intrare in quello logo; e quando avenisse che elli si fae sentire per alcuna sua malvagia opera, sì tribula poi se medesmo per paura di non essere cognosciuto.

E sì come lo lupo che tolle la voce e lo vigore a l'omo quando lo vede 'nansi che l'omo lui vegga, così divene al malvagio omo che non si guarda del diabole: che se 'l diavole li entra sopra colle sue rie presure, sì li tolle la paraula e lo vigore, che non prende confessione né penitencia del soi peccati. Ché si trova per scritto che uno cavallieri che era molto amato da uno grande signore si infermò molto fortemente; e quando lo signore che tanto l'amava intese la sua gravessa, sì l'andoe a visitare, e cognove che non era campatoio, sì ne li pesò molto, e confortavalo che si confessasse; e quello respose: "Non posso, ché lo dimonio mi tiene sì incatenata la gola ch'io non ho balìa". Ora in cotale mainera era questo isvigorito dal dimonio! E cussì parlando ne portò lo dimonio la sua anima in inferno. Sì come lo omo che tolle lo vigore al lupo quando lo vidde 'nansi che lo lupo vegga lui, cusì devene del buono omo che si sa guardare e vede che cosa è lo dimonio e cognosce le sue opere, sì li tolle forsa e vigore che non pò fare danno alla sua anima, ansi daneggia lo buono omo lui che con soi buone paraule e con soi boni fatti sì li tolle 1'anime le quale elli menarebbe ad inferno; e in cotal maniera 1'omo isvigorisce lo dimonio.

E cossì come lo lupo non engenera né nonne engravida fine a tanto che è vivo lo patre del rnaschio e la madre della femena, cossì vene dell'omo peccatore che infin a tanto che '1 peccatore dimora indel peccato, tutte le sue opere sono sensa frutto dinansi Dio; e infine a tanto che dimora indel peccato, lo padre e 1a matre del peccato non pò fare frutto che piaccia tanto a Dio che lui possa salvare. E chi è padre e madre del peccato? Superbia, che è il

principio del peccato, e ingratitudine, che tutti li nutrica quanti omo ne fae. E sopra queste due malisie si potrebbe molto dire, ma darovene verace esemplo che è come io vo' dico. La Scrittura Santa dice che 'l primo peccato che si pensoe si fue superbia, launde Lucifero cadde in profondo de l'inferno, ch'era indel'alta gloria. Apresso si è ingratitudine notricatrice di tutti li peccati: ché similemente Lucifero, che era lo più bello e lo più savio angelo che Dio creasse, sì regnà in lui la discognoscensia di tutto questo benefisio, e volse essere pare del suo creatore; lo simigliante divenne d'Adamo e di tutti quelli che peccano. Or questi principi delli peccati convene che omo abandoni e possa fare frutto che 'l conducerà indel regno del cielo. Dunqua da che lupo, che è rapitore, ne monstra cotanti esempli, dunqua bene dovemo aprendere della pecora che è sì mansueta ed è di tanto frutto.

 

Della natura del cécino.

Lo cecino si è uno uccello che è de grande corpo ed è quasi tutto bianco, ed have cotal natura ch'elli canta volontieri, e quando omo li sona uno stormento che si chiarna arpa, sì s'accorda con esso in cantare, sì como lo flauto co lo tamboro. E anco è di tale natura che quando si appressima lo tempo che de' morire, sì canta fortimente e bene, sì che cantando finisse sua vita. Anco dice l'omo quando ode uno bene cantare: "Quello cécino è al tempo de finire".

Questo cécino puote l'omo assimigliare a' buoni òmini del mondo, ché li buoni òmini di questo seculo sì sono grandi appresso del Nostro Segnore in virtude, in grasia, e sono bianchi in puritate e in bona operasione. E sì como lo cécino che canta voluntieri e che s'accorda di suo cantare con quello stormento che ditto è, lo simigliante diviene del buono omo: ché 'l buono omo sì dice molto voluntieri lo bene che sa e istudiasene, e sì adora lo Nostro Signore e laudalo; e quando ello ode alcuno buono predicatore sì s'acorda con lui, e piaceli molto lo suo predicare, e ridicelo per quello medesemo sòno a l'altre persone per poterli salvare per le soe buone paraule. E sì come lo cécino che quando viene presso alla sua fine, che se studia molto di cantare e more cantando, cossì divene delli buoni òmini del rnondo, ch'elli se vedeno che intanto che omo nasce in questa temporal vita sì entra indel camino de la morte, sì como disse lo Nostro Segnore indel Vangelio: "Vigilate quia nescitis diem neque horam quando Dominus noster venturus sit". E viveno tutta ora benedicendo, e quando viene a la fine sì si confessono de li loro peccati e pregano lo Nostro Salvatore che li conduca al suo repuoso, e cussì finisseno la lor vita.

 

Della natura della scimia.

La simia è uno animale di cotale natura che ella vole contrafare ciò che vede fare; anco è d'un'altra natura, che ella se fae dui figlioli a una volta, e nutricali ambo voluntieri, ma pone più amore indell'uno che indell'altro, e di questo diviene così che quando lo cacciadore la trova, sì li va sopra per prendere lei e li suoi figlioli. E questa, quando vede venire lo cacciatore, sì prende questi suoi figlioli, e briga scampare con essi in cotal mainera, che elli sì si reca fra le braccia quello che più ama e l'altro getta po' le spalle, e tanto fugge cussì, che lo cacciatore la sopragionge, ed ella vede che non pò campare correndo con due pede: sì lassa quello figliolo che hae entra le braccia per potere campare con quattro piedi, sì che perde quello figliolo che più ama e quello che meno ama sì campa.

Ancora li cacciatori che conosceno ch'ella contrafà voluntieri ciò che ella vede fare, sì vanno in quella locora uv'eli vedeno usare le simie, e portano calsaretti picciuli como piedi di scimie, e ora sì si calsano e se scalsano molte volte, e le scimie stano a vedere; e l'omo sì si parte e lassa videre li piccioli calsari, e la scimia guarda, e non vede l'omo, sì descende de l'arbore a quelli calsari, métteseli in piede e légaseli molto bene stretti, e l'omo stae al tratto e esce fuore per prenderla, e la scimia vole fuggire e non può, sì l'omo la prende.

Questa simia, quando contrafae ogni cosa, sì li simigliano tutti quelli che peccano voluntieri: ch'elli contrafanno lo dimonio, che fue quello che prima peccò. E sì sono altre gente che, si elli vedeno fare usura, e egli la vogliano fare, si elli vedeno lusurii elli la vogliano fare, se elli vedeno biastimare o involare sì vuolono fare, e cussì fanno di tutti li peccati, sì che '1 diaule li cognosce di quale peccato li può prendere, sì lo impania sì che l'omo non se ne sae partire, e ora lo sopragiunge a la fine e portane l'anima in inferno.

E sì como la scimia che abandona lo figliolo che più ama, e quello che meno ama non si parte da lei, lo simigliante diviene dell'anima del mondano omo: che l'anima di collui che non è congiunto con Dio sì ha due cotale figlioli; e ciascuno nutrica voluntieri l'uno figliolo, si è lo corpo e le suoe dilettasione; l'altro figliolo si è l'opere malvagie ch'eli fae. Lo cacciatore che lo vae cacciando si è la morte: ché omo, fin che nasce indel mondo, sì lo va cacciando la morte, e questi va fuggendo dilettandosi indel corpo e in quel1e cose che '1 corpo li dimande, e l'opere suoe si getta dipo le spalle e no ne mette cura. E quando viene a la fine, l'anima non pò dimorare indel corpo, ché la morte la sopragionge, e sì è in besogno che l'anima abandoni lo corpo e le sue delettasione; e le opere suoie mai l'abandona. Sì como diceno li sacerdoti a la fine de l'omo: "Opera enim illorum secuntur illos".

 

De la natura del corbo

[Nel testo che segue il verso del corvo, "crai", viene interpretato come una deformazione del latino cras, che significa "domani".]

Lo corbo sì è uno uccello tutto nero, ed ha cotal natura che quando li suoi figlioli nasceno, sì nasceno tutti bianchi, e quando elli vede che non sono del suo colore, sì li abandona e non dà loro beccare fine a tanto che non sono diventati neri; e Dio li pasce in quello messo di rosata [rugiada]. E la sua voce sì è cotale ch'elli dice: "Crai, crai!" Ed ancho hae cotale natura che quando elli trova uno omo morto, la prima cosa che elli ne becca sì ne tragge l'occhi e vanne fine alla cervella.

Questo corbo, quando che elli abandona li soi figlioli e Dio li pasce in questo messo, sì ce monstra a lodare lo Nostro Segnore che notrica quelli ucelli che sono abandonati. Ché sono una mainera de gente che hanno tal paura che non vegna loro meno le loro richesse, che tutto ciò che elli hanno pare loro poco, e stano piue in rangulo d'acquistare per lassare a li lor figlioli, e non se ricordano de la potensia di quello Signore che nutrica quelli corbi. E cussì sono una mainera di gente che sono in peccati, e tanto li tiene acecati la loro fellonia, che non cognosceno lo loro malo stato, e sì non ne sanno 'scire, ansi pur dicendo: "Dimane, dimane!" Sì se ne vanno sensa confessione e sono perduti.

E sì como lo corbo, quando trova lo omo morto, sì li becca l'occhi e la cervella, simigliante diviene dello dimonio: ché quando lo dimonio trova l'omo che è in peccati, sì li trae li occhi de la mente, e sì ne cava lo cervello, cioè che li tolle la bona materia. Che intanto che l'omo è in peccato, sì è in morte, e lo dimonio have adesso balìa di lui; e perciò dovemo noi guardare di peccare e di stare in morte di peccati, a ciò che 'l dimonio non ci possa tollere lu lume della mente che demonstra a vedere lo criatore nostro e le suoe virtude, né 'l senno materiale che c'insegna la via ch'è eternamente durabile di gloria.

 

Della natura della serena

La serena si è una criatura molto nova, ché elle sono di tre nature. L'una si è messo pesce e messa fatta a similitudine de femena; l'altra si è messo uccello e messo femena; l'altra si è messo como cavallo e messo como femena. Quella che è messo pesce sì ha sì dolce canto, che qualunque omo l'ode sì è misteri che se li apressime; odendo l'omo questa voce, sì si adormenta, e quando ella lo vede adormentato sì li viene sopra e uccidelo. Quella che è messo cavallo, sì sona una tromba che simigliantemente è sì dolce che occide l'omo in quella medesma maniera. Quella ch'è messo uccello sì fa uno sono d'arpa di tale mainera che simigliantemente è omo tradito e morto.

Questa serena potemo noi appellare le femene che sono di bona conversasione, che ingannano li òmini li quali s'inamorano di loro carnalmente, che per qualunqua cagione li òmoni s'inamorano di loro, o per belessa di corpo o per vista che ella li faccia u per paraule inganevile ch'ella dice, si può tenere morto sì como collui cui la serena ne inganna: che chi di folle amore è preso, bene pò dire che sia morto in tutti l'altri suoi fatti. Sì como dice in uno luogo: "Quando l'omo è d'amore preso, arivato è a mal porto; allora non è in sua bàlia"; e chi per sua mala ventura morisse in quello stato, puote dire che sia morto in anima e in corpo.

 

Della natura del tiro.

Lo tiro si è una bestia che è più currente che nulla bestia che omo conosca, ed è de tal natura ch'elli si deletta de mirare indel specchio, sì che quando lo savio cacciatore vae per prendere li suoi figlioli a la tana, se porta con seco molti specchi, e vasene a la tana del tigro, e quinde li soi figlioli trae e partese con essi. E quella via ond'elli fugge sì va ponendo li specchi; e quando lo tiro torna a la tana e non trova li figlioli, sì se mette a correre di grande forsa, sì che bene giungerebbe lo cacciatore; ma trova questi specchi per la via, sì se regge a miralli, e non seguisce più lo cacciatore: che s'elli vedesse li suoi figlioli e vedesse li specchi, si laserebbe portare via li figlioli per mirare li specchi.

Questo tigro significa una partita d'òmini correnti che non hano stabilità neiente: ché quando lo dimonio cacciatore e furatore dell'anime li ha tolta l'anima per alcun peccato mortale, si como per superbia e per vanagloria e per avarisia e per invidia e per molte altre presure con che elli piglia l'anime, si connosceno che sono in malo stato e briganosi di racquistare l'anima con grande furia, digiunando, affliggendo lo corpo in pelegrinaio. E in cotale mainera lu dimonio, che fae più che tra tutti li òmini del mondo in male operare, e di bene fare non ha podere neiente, sì si traversa loro innansi con quelle cose di ch'elli li crede fare bistentare di racquistare le lor anime, e mostra loro ricchessa di pecunia e di possessione che tolleno l'anime delli òmini più ch'altre cose che li òmini danna; dall'altra parte l'inganna per vanità e per diletto di femene e per amore di figlioli: ché ne sono molti ciechi, che per tenerli in agio e per lasarli in agio, che ne lassono perdere le loro anime; e sì como traversa loro innansi questo, così fa de molte altre cose, e li òmini biegi sì ponno tanto lo loro entendimento in queste cose che '1 diavole traversa loro innansi, che n'abandonano la loro anima sie in tal guisa che lo diavole ne va con essa in inferno. E questo divene tutto giorno, che vedeno certanamente perdere la loro anima, e si lassano perdere per questa vanitade.

 

Della natura della pantera.

La pantera sì è una bestia molta bella, ed è negra e bianca macchiata, e vive in cotal guisa che della sua bocca esce sì grande olimento che quando ella grida tutte le bestie che sono in quello contorno trae a sé, salvo che li serpenti fuggeno; e quando le bestie sono tutte a lei, ed ella prende di quelle più li piaceno e mangiale. E possa se pone in alcuno logo a dormire, e dorme tre giorni, e poi se leva e grida; simigliantemente e in cutal mainera se notrica tutto tempo.

Questa pantera significa alquanti boni òmini di questo mondo, li quali gridano ferventemente e predicando le paraule dolcissime che conduceno l'anime a vita eterna, si traggeno a loro per aulimento tutte le creature che credeno in Dio veramente. Secondo che lo serpente fugge della pantera, così fuggeno tutti li mescredenti iniquitosi da udire le paraule delli boni predicatori aulimentosi. E sì como la pantera se notrica di chelli fere che lui più piaceno, simile fae lo bono predicatore: ché quando elli vede li boni òmini e le bone femine che piaceno loro, sì è loro grande vita e grande notricamento. E ancora ce acquistano la vita durabile di paradiso: ché quando elli per la loro predicasione fanno salvare l'altre gente, sì n'acquistano elli le loro anime: ché la Scrittura dice che chi per sua predicasione o per sua bona conversasione fae salvare l'anime, sì have quadagnato la sua anima e la altrui.

E sì como la pantera dorme tre giorni e possa grida simigliante como di prima e pascesi, così fanno li boni predicatori, che più dimorano in leggere le sante scritture e in esponerle e in masticarle e in pensare in la profonditate de la divinitade de Cristo, che non fanno in predicare a la gente. E puosi bene dire ch'elli dormeno quanto che del corpo, quando elli sono occupati de queste ed in queste cotale cose, sì come se trova di molti santi; e diròvi di santo Bernardo, che fu de questi aulimentosi predicatori, che cavalcando elli con soi monaci in uno viaggio, passoe per una cittade e non se ne avide, tanto era occupato indelle celestiale cose, ansi appena lu credea alli soi monaci quando lo disseno.

E sì como è bella ed è de nero e di bianco macchiata, lo simigliante diviene delli amici de Dio, ch'elli sono bellissimi apo 'l nostro criatore, e sono macchiati quanto ch'elli sì hanno molte volte delle tentasione e delli mutamenti, sì como hae ciascuno omo in questo mondo fine ch'elli ci stae. Ma sono di migliori e de' più belli, perché provano bene ch'elli sono simigliati all'oro che rafina indel fuoco.

 

Della natura della vipra dragone.

Uno dragone è lo quale ha nome vipra, che non ce sono di nessuno tempo più che dui, ed hanno una meravigliosa natura: che quando lo maschio vole ingenerare, sì vae e mette lo capo in bocca a la femena, e quella li taglia la testa colli denti e lassalo quine morto. E dello sangue che ingiotte sì ingenera dui figlioli, uno maschio e una femena. E quando elli vieno a nascere, sì fanno crepare la loro matre e escino fuore, e cussì more lo maschio e la femena malamente tutto tempo, e in cotale mainera nasceno.

Questi dragoni significano e mostrano a lodare lo nostro criatore e la potensia, ché indele meravigliose cose si manifesta la grande potensia del nostro criatore. Iesù Cristo disse a li discipuli suoi, quando elli dimandòno d'uno ch'era nato cieco, e dissenoli: "Magistro, per che cagione nacque questo cussì? Che peccato avea elli fatto unde elli debbia avere questa pena?" Elli disse: "In costui si manifesta la gloria e la potensia de Dio".

E in altra mainera sì podemo assimigliare lo dragone maschio al corpo del buono omo, e la femina draga sì potemo assimigilare all'anima del bono omo: ché l'anima e lo corpo tramburo fanno uno omo, e partendo l'uno dell'altro non è mai omo, e tuto tempo che stanno insierne sì hanno contensione, ché 'l corpo vele compiere tutte le sue voluntade e 1'anima fare quello ch'ella vada indello regno di Cielo: ché quando lo corpo non fa la voluntade dell'anima, sì 'l mette l'anima e conduce in aflissione ed in morte e in ispargimento di sangue, sì come divenne dei santi martiri e di quelli che hanno afflitto lo corpo per l'amore di Cristo e per la salute della loro anima. E quando lo corpo pate pena, sì pate pena l'anima, ché l'uno non può patire pena senza l'altro: sì che quando l'anima ha patito pena, sì ne nasceno altre due, cioè anima e corpo; che quando vene lo die del Giodicio, a ciascuna anima buona sì è renduto uno corpo glorificato che fie lucente per sette fiate lo sole. Or in questa maniera rinasce dell'anima e del corpo del buono omo gentile anima e gentile corpo.

 

Della natura della aquila.

L'aquila si è uno gentile ucello, ed è ditto signore de li altri ucelli, ed have in sé due cutale nature: l'una si è ch'ella sì prova li suoi figlioli se elli puono mirare fermamente indel'occhio del sole sì como può fare ella, e dirissali inverso lo sole, e batte l'ale sì che ela li vede chiaramente simile di sé, e possa si fida ch'elli sono suoi figlioli; l'altra natura si è che quando ella è invecchiata, sì si briga di ringiovanire in cotale maniera, ch'ella vola tanto alto in aire quant'ella può, sì che lo calore che è in aire sì l'arde e strina tutte le penne; e quando ella se trova dirissata sopra una fontana, e quella vi si lassa cadere dentro, e voltasi sottosopra tre volte, ed in cutale mainera si muta e rinovella.

Questa aquila, in ciò ch'ella fa prova de li suoi figliuoli s'elli hanno la sua gentile natura, sì significa tutti quelli che mirano co l'occhio del cuore inverso di quello splendore che tutto lo mondo alumina, cioè Cristo, e conosce che quelli è quello che fece lo cielo e la terra e tutte le criature che vi sono, che elli non ebbe unqua comminciamento né non dé avere fine, che tutto lo mondo si governa per lui, e che elli dà penitensia del male u quie u altroe, e che elli dà guiardone de bene o qui o altroe, e ch'elli è giusto e misericordioso e grasioso, e ch'elli discese di cielo in terra per salvare la umana generasione; e che credeno che elli è uno solo Dio in tre persone; e che conosceno l'alta divinitade del figliolo de Dio vivo e vero - tutti questi cotali si puono asimigliare ad aquila, sì como divenne de santo Giovanni evangelista, che si dipinge como aquila per cagione ch'elli fue quelli lo quale parloe e vide di queste altitudine che dite sono, ché elli fue quelli che disse quello Evangelio altissimo lo quale dice: "In principio erat verbum". Dunque di tutti questi cotali puote ben dire lo nostro padre celestiale: "Questi sono veracemente li miei figliuoli".

E sì come l'aquila che si rinovella batteggiandosi tre fiate in acqua, lo simigliante diviene di tutti quelli che si batteggiano del santo battesmo: che vi sono tuffati tre fiate, che vi sono rinovellati indela fede di Cristo e indela sua ubidiensa, ed hanno lassati li peccati d'Adamo e la sua disubidiensia; per li quali vecchi peccati conviene che omo prenda battismo: che se battismo non fusse, per quelli vecchi peccati saremmo tutti dannati. E anco si intende che quando omo è invecchiato indeli peccati, si conviene che si rinovelli per confessione e per contrisione e per penitensia, che si chiama uno altro battismo, sensa lu quale nullo omo si poe salvare. Or in questa mainera conviene che omo si rinovelle sì como fae l'aquila.

 

Della natura del cervio.

Lo cervio sì ha due nature e due figure: l'una si è ch'elli tira a sé di sotterra o de li pertusi della pietra grandi serpenti e mangiali, e lo loro veneno tolle molto indel suo corpo, e allora viene con grande volontà a la fonte de l'acqua ed empiene molto di quella acqua lo suo ventre, e cussì vence lo veneno e fasi giovano e getta le cornua.

Così dovemo noi fare: quando è in noi lussuria o odio o ira o avarisia o altri visii, sì dovemo currere a la fonte viva, cioè a Cristo, con buone opere che per la sua grande misericordia infunde lo Spiritu Santo in noi; si noi serviremo a lui, farà fuggire da noi tutti li nostri peccati, li quali in noi seranno.

E un'altra natura ha lo cervio: che quando elli vole passare alcuno fiume ed è fatigato di natare, apoggiase di sopra da l'altro dosso; e cussì fanno tutti, e per questo giamai non si fatiga quando va lungi a pascere. E cusì dé fare ciascheduno cristiano s'elli vuole andare ai paschi di Cristo, cioè a vita eterna; e cusì dé ciascheduno peso de l'altro portare, secondo che dice Paulo apostulo: "Unus alterius honera portate, e cusì adempiete la legge di Cristo e vita eterna possidrete".

 

Dal Bestiario moralizzato di Gubbio

De la tigra

Quando la tigra va ein alcuna parte,
Lo cacciator con grande maiestria
Li filioli fura e se departe,
E va geiettando specchi per la via.

Ella tornando trova la mala arte;
Mettese a gire, lo vetro splendea,
La sua figura ein eso se comparte,
E pensa che lo suo filiolo sia.

Noi semo quella fera, al mio parere,
E li filioli sono le vertudi,
E lo nemico è questo caciatore,

La cosa che non è, te fa vedere;
Onde sono molti omini periti
Che alentano de gire a lo Signore.

 

Del parpalione

Lo parpalione corre la rivera,
Là ove vede lo claro splendore,
E tanto va girando la lumera
Che lo consuma lo foco e l'ardore.

Pare che tenga simile mainera
La creatura a l'omo peccatore,
Colla beleza de l'ornata cera
Lo lega a terribile encendore.

Chi vede creatura delicata
Dea considerare chi la fece,
E dealini rendar laude d'onni bene.

Cusì la vita sua serà beata;
E in altra guisa piglia mala vice,
Che perde possa e merita le pene.

 

De la salamandra

La salamandra tanto è venenosa
Che li poma de li arbori invenena,
Là ove sale, sì è nequitosa
E de mortalissimi omori plena:

Sua conversione è dubitosa,
Ov'ademora dà tormenti e pena.
La dura salamandra vitiosa
E' lo nemico che a morir ne mena

La creatura, dove pò salire;
Ché li envenena viso e odorato,
Audito, gusto e tatto ensiememente.

Chi non s'aiuta a lo primo sentire,
Esso perescie e fa pericolare
Chi le ten compania lontanamente.

 

Del dragone

Odo che lo dragone non mordesce:
Sotraie dolçemente e va lecando,
E per quello lecare omo peresce,
Ch'a poco a poco lo va envenenando.

Così chi co la lengua proferisce
Belle parole e va male ordinando,
Dà lo veneno a chi lo soferesce,
Ché li falesce ciò che va sperando.

Non morde lo nemico emprimamente:
Lecca e losinga per traiere a luie
La deletosa gente secolare.

Chi più li se farà benevolente,
Maiuremente consuma e destruie,
Ché non è dato a fare altro che male.

 

Del castore

De lo castore audito aggio contare
Una miraculosa maraveglia:
Quando lo cacciator lo dee pigliare,
Nella sua mente tanto s'asotiglia

Che sa la cosa per che pò scampare;
Departela da sé, poi no lo piglia;
E questi son li membra da peccare,
Che occidon l'alma che non se n'esveglia.

E' lo nemico questo cacciatore,
Che caccia l'omo, enveice de castore,
Per prendarelo stando nel peccato;

Ma l'omo che se pente de buon core
Del male fare, e non ce fa retorno,
Remanda lo nemico sconsolato.

 

De la pantera

Vocase una animalia panthera,
Che alenando tale odore rende,
Ne lo paese no remane fera
Che non ce corra, quando se protende,

Sença lo drago, ché no'l soferrera
Lo prezioso odore che li affende:
Ella se pasce per tale mainera.
Homo a salute d'anima se 'ntende:

Cristo è la fera co lo dolçe odore,
Quelle che corrono l'anime sante,
De le quali per vivo amor se pasce;

Lo drago è nemico traditore,
Che de lui odorar non è possante,
E pena dolorosa le ne nasce.

 

[Uroboro 7, Edizioni Mediateca, Campi Bisenzio, 1999.]


 
Inizio