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Raffaello Bisso

Mirabilia & Naturalia Retis

(memoria di Michael R. Steingaste)

 

Nulla sembra lontano quanto l'età dell'illusione, per chi è obbligato a crescere in fretta dall'incombere spietato degli eventi, per chi trascorre notti solcate dalla continua attesa della percezione che una lama stia cercando con precisione metallica le connessioni tenere dei suoi tessuti. Così, nulla ora mi sembra lontano quanto la pacifica routine dei miei giorni da ricercatore, quando nessuno di noi aveva mai sentito parlare del Lume Eterno o delle perverse Macchine Anatomiche, né, restato a corto di argomenti, avrebbe sognato di costruire ponti concettuali tra Putnam e i Veda, quando si discuteva nei corridoi del Media Center, appoggiati ai distributori automatici nelle cui vene scorre caffé e coca-cola.

Forse nessuno ha mai pensato che a chi naufraga nella Rete è preclusa anche l'illusoria speranza di affidare la propria memoria ed i propri ultimi pensieri al fragile destino di un messaggio in bottiglia. Né il naufrago né il messaggio riemergeranno dal mobile caos, poi che condividono la natura labile e sottile del supporto: null'altro che il sogno di un'ombra. Questo file non ha più speranza di me di sfuggire a un destino orrendo. No, non verrà cancellato...

La saga della nostra sventura iniziò quando il Governo si rivolse al Centro per una consulenza ad alto livello, che sfociò in una diretta collaborazione con la grande realtà produttiva che doveva mettere a punto il programma per la moralizzazione della Rete.

Un fallimento o un successo parziale non erano nemmeno pensabili per il committente, poiché tutti gli osservatori e l'opposizione avevano ben presente che si trattava di un secondo tentativo, dopo che l'ormai remoto "Decency Act" era rimasto lettera morta: secondo i commentatori per vizi giuridici e per la mancanza di tecnologie all'altezza del compito, secondo il prof. Blackbridge, direttore del Media Center della Miskatonic University, a conseguenza dell'insufficiente riflessione teorica da parte degli stesori. Ora il Governo, pressato da grandi lobbies che avevano alle spalle milioni di persone "moralmente preoccupate", tenuto conto probabilmente dell'imminenza delle elezioni, aveva finalmente deciso di riprendere la situazione in mano. Decisiva era stata poi la presa di posizione favorevole di un grande trust industriale, che probabilmente aveva concluso che dall'affare era possibile guadagnarci, anziché rimetterci. Raggiunto l'accordo tra Governo, lobbies e industria, i commenti sulla stampa a grande diffusione erano passati dall'aperta critica dell'iniziativa ad un'accettazione più o meno entusiastica.

Per il coinvolgimento del Centro, Blackbridge pose la condizione che l'iniziativa non consistesse nell'applicare tecnologie già acquisite, ma fosse inquadrata in un ambizioso progetto di ricerca. In questo sfondò una porta aperta: poiché le industrie interessate si aspettavano ricche ricadute dalle tecnologie che si dovevano mettere a punto, i fondi stanziati erano ingentissimi. Blackbridge volle Klaniczay e me nel gruppo di lavoro, che fu organizzato in tempi brevissimi. La prospettiva di esplorare una terra vergine capace di nascondere delle miniere d'oro si rivela sempre irresistibile per qualsiasi americano, così ci buttammo nel progetto con un livello di entusiasmo altissimo, e il lavoro teorico generò in pochi mesi la prima release del programma, "Fra Daniele 1.0", come venne chiamato da alcuni buontemponi del centro che si guadagnarono l'odio perpetuo di Blackbridge. Fra Daniele da Volterra, venni a sapere, era il pittore che dipinse le mutande alle figure nude di Michelangelo...

Era basato su una logica autoepistemica che insisteva su una base di conoscenza in grado di espandersi indefinitamente grazie alla Rete. Le tentazioni prometeiche vennero scongiurate dal sano realismo di Blackbridge. In fondo non si doveva creare una macchina di Turing né un essere senziente, ma un programma che doveva fare una cosa sola, e si poté basarlo su un numero limitato di regole di produzione.

"Come un sogno elaborato con elementi anteriori", disse Blackbridge in una delle sue famose volate liriche interdisciplinari; un sogno però capace di dannare e di salvare, di distinguere il Bene dal Male che gli avevamo cablato dentro, e di usare le forbici di conseguenza.

La prima release fu attivata a tempo di record ma i risultati che diede non coprirono esatttamente di gloria i partecipanti al progetto. Fra Daniele 1.0 filtrò coscienziosamente milioni di documenti, e finì in breve tempo col paralizzare la ricerca scientifica in tutto il mondo. La parola "sangue" se rinvenuta in determinati testi li faceva riconoscere come sconvenientemente violenti, e così i nomi di parti del corpo umano, per non parlare della citazione di organi sessuali... Centinaia di medici e di scienziati di tutto il globo autori di pubblicazioni di ricerca finirono, automaticamente, schedati negli archivi dell'FBI come "feticisti", "pedofili", "serial killer potenziali" ed altro. L'ombra del disastroso e del grottesco si allungò per un momento sul Progetto e sui suoi artefici, che però chiusero gli occhi per non vederla e si rimisero al lavoro. L'ottimismo che in molti si vide momentaneamente collassare fu pronto a rialzarsi dalle ceneri, l'intero lavoro fu rivisto e rinnovato.

Si iniziò a lavorare sulla struttura dei testi, e non solo sui vocaboli chiave e sui termini che li componevano, per costruire un programma interpretativo basato sulla dipendenza dei concetti e sulla semantica delle procedure. La macchina inferenziale che si costruì insisteva su rappresentazioni generate da reti di transizione che identificavano la categoria del "moralmente indecente", riconoscendo, ad esempio, se interventi sul corpo umano erano descrizioni di fatti scientifici, necroscopici o chirurgici, o se descrivevano "inaccettabili" delitti.

"Netcop 2.0" non si limitava a scandire ma si applicava in maniera adattiva alle forme intermedie e alle situazioni impreviste. Era quindi in grado di formulare dei, diciamo così, giudizi di gusto. Navigava sulla Rete come un poliziotto corre sulle Highway a cavalcioni della moto, e la sua "competenza" interpretativa non si fermava ai testi, ma era in grado di valutare anche il livello di decenza delle immagini: in breve, di qualunque "object" che transitasse nelle sue grinfie. In caso di dubbio, comunque, scartava, o meglio censurava. Solo che, adesso, tutto quanto appariva perverso mentre era in realtà "scientifico" veniva riconosciuto e lasciato passare.

I rappresentanti delle autorità e delle chiese sembrarono soddisfatti dei risultati ottenuti nelle fasi di test: il meccanismo venne così sguinzagliato, nell'animo di quasi tutti c'era l'amalgama di entusiasmo e d'incosciente speranza che c'è tra persone che varano uno scafo.

Di lì a pochi mesi, assistemmo a una serie di fenomeni difficili da interpretare, ma in qualche modo connessi tra di loro e al Progetto. Il volume d'affari legato in un modo o nell'altro alla Rete non conobbe la temuta recessione, ma registrò un boom. Se questa era una buona notizia, l'ottimismo era in qualche modo tenuto a bada da ciò che avveniva su altri fronti.

Le BBS di zooerastia non chiusero i battenti, né sparirono dalla circolazione tutte le riviste virtuali di feticismo, di racconti splatter e di perversioni assortite. Klaniczay trovò quasi subito interessante osservare il fenomeno, e un giorno mi presentò un suo piccolo studio personale. C'era una sorta di selezione naturale: alcune riviste erano scomparse ma altre, subiti pesanti tagli, stavano mutando stile e forma, come cercando in qualche modo di adattarsi. Le visite ai siti "sconci", prima limitate a qualche migliaio di amatori in tutto il mondo, si stavano centuplicando. Sorprendente più di tutto era l'analisi dei testi scritti, o riscritti, in stile "adattivo". Ricordavano organismi devianti fatti per sopravvivere in un ambiente ostile, o mutanti fortissimi nati da un incidente biologico. In effetti, erano tutte e due le cose. A prima vista sembravano banali storie di orrore e perversione, convenzionalmente oscene e raccapriccianti, scritte in uno stile asettico e involuto, a metà tra un resoconto scientifico e un referto di medicina legale; in realtà si intuiva che erano qualcosa di molto differente. Tutti i termini "dubbi" erano sostituiti con perifrasi o con termini arcaici. Classici della trasgressione e dell'erotismo, come De Sade e l'Aretino, che venivano "transcodificati" e diffusi in questi siti, avevano un indice di gradimento altissimo e trovavano lettori in tutto il mondo, ma confrontati con gli originali non erano che mostri che portavano i lontani caratteri fisionomici dei padri.

Alcuni mesi dopo, la tesi che un giovanissimo dottorando in sociologia della stampa periodica, un certo Browns, dedicò al fenomeno ne offrì un'interpretazione che scatenò discussioni infinite. Egli associava l'"evoluzione", che certi periodici virtuali avevano messo in atto per sopravvivere, coi mutamenti stilistici e gergali osservabili sulla stampa quotidiana nazionale e con il boom del nuovo genere horror che impazzava nelle librerie, basato sul sottile senso di perversione che nasceva dall'uso esasperato dello stile scientifico-accademico e del suo lessico esoterico. Browns indicava nel Progetto l'anello principale della catena di causa-effetto. Quando i due "generi" finirono per convergere, e si poté e si dovette parlare di una cifra stilistica che li accomunava, nessuno mise più in dubbio la teoria di Browns. Oggi, sono giunto all'inutile convinzione che egli non abbia tanto intuito e previsto quelle convergenze, quanto che le abbia catalizzate o, in qualche modo, permesse.

Presto si cominciò a favoleggiare che quei testi non avessero un vero e proprio autore, ma fossero prodotti con l'aiuto di algoritmi generativi che funzionavano in maniera diciamo così complementare a Netcop 2.0, in modo da risultare comunque "innocenti ai suoi occhi". Che qualcuno avesse potuto giungere a un simile risultato implicava l'esistenza di dilettanti in grado di arrivare per divertimento a risultati che a noi erano costati mesi di impegnative ricerche, o che qualcuno di essi fosse riuscito a procurarsi il codice di Netcop 2.0, che era (ed è, ora più che mai) coperto dal più rigido segreto industriale. In seguito si diffuse la leggenda che questi programmi fossero ormai in grado di funzionare da soli e periodicamente mettessero in rete nuove raccolte di racconti, o nuove versioni sempre più perfezionate e sottilmente perverse di quelli già usciti. O, addirittura, di se stessi.

A poco a poco mi accorsi di cedere al fascino di quello stile polimaterico e inconfondibile. Non potevo fare a meno di immaginare le celle di silicio che elaboravano pazientemente quei testi opachi e arcani nel ventre buio delle macchine, come scrittori gotici o alchimisti intenti al loro lavoro dannato al lume di una candela. Con la scusa della ricerca, passavo molto del mio tempo libero a leggere files pescati in tutto il mondo, e presto la mia "biblioteca" raggiunse la dimensione di parecchi megabyte. Stranamente, né al Governo né tra i media ci fu chi, in seguito a questi strani fatti, mettesse in discussione il fatto che il Progetto avesse centrato i suoi obbiettivi. In effetti, i nudi e le parolacce erano spariti dalla Rete...

Una mattina, Blackbridge arrivò raggiante in facoltà, brandendo la pipa spenta in una mano e una copia di The Literary Review nell'altra. Un paio di romanzi che rappresentavano il nuovo stile erano già dei best-sellers, decine di pubblicazioni erano nate come funghi sull'onda della moda, le pagine 'letteraria' dei grandi periodici avevano pubblicato una serie di racconti degni di "The Lancet". Adesso la rivista di libri più autorevole del continente dedicava un numero intero, zeppo di analisi stilistiche e strutturali firmate dai più bei nomi della critica, a quello che il grande Bloomfield chiamava l' "Esatto Stil Novo".

L'entusiasmo di Blackbridge era alle stelle. Per la prima volta, le conseguenze sociali e culturali su larga scala di un evento si erano manifestate in modo inequivocabile nel giro di poche settimane. Le scienze sociali erano sempre state inibite dai tempi lunghissimi, dell'ordine dei decenni, che dovevano passare tra il cambiamento di una variabile e le sue coincidenze osservabili: ora tutto poteva prendere una strada nuova e veloce. Si svelava una delle insospettate, entusiasmanti potenzialità della Rete. Le scienze sociali potevano uscire dalla loro limbica condizione di discipline descrittive e induttive, e salire all'Olimpo delle scienze sperimentali. Dopo quasi un secolo di imbarazzante indeterminatezza metodologica, potevano anch'esse far cadere i gravi dalle torri e massacrare i loro porcellini d'India come tutte le scienze degne di questo nome. Il suo largo volto era raggiante. Capii che si sarebbe improvvisata una discussione nello stile che Blackbridge prediligeva: in piedi, appoggiati ai terminali, si discuteva a caldo, a ruota libera, animatamente. Lui era Socrate e noi i discepoli: correggeva le traiettorie dei nostri pensieri, ci suggeriva i termini giusti e le conclusioni corrette, ci impediva di andare fuori tema o di cadere in qualche contraddizione.

Era forse la prima volta che non riuscivo a condividere il suo entusiasmo, o almeno a fingere di condividerlo. Cercai i termini con cura, riuscii ad evitare "cautela", "attesa", "dubbio"; poi, inciampai miseramente nella timidezza. Mi uscì un irriflesso "preoccupazione". Parve sinceramente offeso, tradito nelle sue riposte speranze, deluso dal fatto che non avessi capito niente.

- Il guaio con lei è che tenta di far rientrare l'etica in contesti in cui non ha pertinenza: come in quello scientifico, come in questa discussione. Se lei pensa...
- Io non ho parlato di etica, ho cercato di chiamare in causa una cautela che dovrebbe fare parte, credo, di un metodo... scient...

Sorrise sornione.

- Il suo non è un problema metodologico, è un problema ottico. Lei vede l'immagine del diavolo sovrapposta alla realtà che osserva: forse è conseguenza della sua educazione cattolica... ma dovrebbe liberarsi di certe ossessioni prima che prendano il sopravvento su di lei.

Continuò a parlare sorridendo bonariamente. Ormai mi aveva perdonato di avergli guastato la festa.

- La conosco da anni e so benissimo che lei è un bravo ricercatore. Se solo leggesse un po' di più McLuhan e un po' meno Agostino e Ballard...

Il suo volto tornò a distendersi nel largo sorriso che conoscevamo tutti così bene. Si rimise in bocca la pipa e mi prese sottobraccio. La sua mente vulcanica di eterno fanciullo entusiasta si era rimessa in moto: bonario e paterno mi parlava di Turing e di Searle, progettava i prossimi esperimenti. Mi pilotò lungo gli asettici corridoi verso lo slargo dei distributori automatici.

Nonostante tutto, Klaniczay ed io restavamo i suoi collaboratori più stretti e i ricercatori che godevano della sua stima più sincera, con i quali si ritirava in conclave quando voleva discutere seriamente un problema scientifico e non fare semplicemente sfoggio di eloquio brillante, a beneficio delle studentesse più giovani e dei giornalisti che venivano a visitare il Center.

Pochi pochi giorni dopo, purtroppo, ci fu la vera svolta. Al Centro entrò per la prima volta un ospite inatteso, che mostrò a tutti noi il suo volto affatto nuovo e ghignante, nitido e definitivo: l'orrore. Venne a dividere il laboratorio tra una maggioranza di uomini terrorizzati e pochi ricercatori che riuscivano a restare sereni e ottimisti. Fu quando tutti i distributori automatici del Media Center si misero ad erogare sangue.

Le macchine erano state progettate al Centro come prototipi di una futura generazione di distributori coin-up. Erano distributori cosiddetti "flessibili": a partire da alcuni componenti primari erano in grado di produrre qualsiasi bibita o bevanda, calda o fredda, scelta tra un set di opzioni che venivano periodicamente rinnovate. Il controllo di tali funzionalità era remoto e le macchine erano naturalmente connesse in rete. L'accesso non era particolarmente protetto, anche perché nessuno aveva mai considerato seriamente la possibilità di un sabotaggio.

Naturalmente non si trattava di sangue, ma di un cocktail di componenti alimentari primari che ne simulava il colore e la viscosità, servito alla temperatura del corpo umano. Come fu poi chiarito dall'inchiesta, per un fenomeno percettivo ben noto le informazioni tattili e visive avevano integrato quella del gusto: era bastato che il primo gridasse: "E' sangue!", perché tutti ne sentissero in bocca il raccapricciante e inconfondibile sapore: in realtà, l'innocua bevanda doveva essere qualcosa di molto vicino alla Pepsi-Cola tiepida. Ma nei primi momenti, questo non lo sapeva nessuno...

L'usuale calma laboriosa del Centro si era trasformata in pochi minuti nella confusione di un campo di battaglia. Ricercatori in camice bianco vomitavano in ogni angolo, studentesse svenute venivano soccorse, mentre tecnici armati di cacciavite davano inutilmente l'assalto alle pannellature delle macchine che, in realtà, avevano funzionato fin troppo bene.

Ho ancora impresse in mente le due sensazioni vivissime provate quegli istanti: il senso dell'orrore come un brivido caldo che partiva dalla base cranica e scendeva lungo la colonna vertebrale, e l'immagine di Blackbridge che si aggira in quella rovina con le lacrime agli occhi, masticando con rabbia la pipa, pugnalato alle spalle nella sua immagine di responsabile del Centro.

Klaniczay fu, per sua sventura, il primo ad intuire un nesso tra gli sconcertanti avvenimenti che si evolvevano nel mondo e sulla Rete e quello che si cercava di far passare per una bravata goliardica fuori misura.

Non ne volle parlare nemmeno con me, prima di avere abbandonato il riserbo nel quale si chiudeva ostinatamente finché non aveva superato la fase di riflessione e di analisi. Non era un uomo di tentativi a vuoto e illuminazioni improvvise, ma una potente intelligenza metodica. Era il suo modo di vivere e di lavorare che conoscevo bene: quando un problema nuovo richiedeva parametri e tecniche nuove, spariva dai corridoi e dalle aule e si chiudeva in biblioteca o in laboratorio. Ora si era chiarito le idee nei confronti di questi fenomeni, e passava all'azione.

Evitò deliberatamente di esporsi in veste ufficiale con una relazione in stile accademico, nell'attrezzata sala conferenze del Centro; un laconico comunicato sulla posta elettronica annunciava a tutti coloro che vi lavoravano che un venerdì mattina Klaniczay avrebbe esposto i risultati di una ricerca personale in una piccola aula normalmente utilizzata per le lezioni. Ma vuoi per la notorietà di cui Klaniczay godeva facendo parte del gruppo scelto, vuoi perché la gente in certi casi dimostra una sensibilità stupefacente, la sala era gremita di gente proveniente da tutto il Campus. C'erano ricercatori e studenti, c'erano sociologhi, informatici puri, e persino fisici, biologhi, semplici curiosi. Presi posto nell'ultima fila, accanto a un Blackbridge piuttosto infastidito dall'iniziativa. Non ero preparato al peso di quello che Klaniczay avrebbe detto: ascoltavo assorto, preda di vaghi presentimenti infelici.

"E' stato fatto un passo che forse non ha precedenti nella Storia dell'umanità. E' stato reso innecessario un supporto naturale, organico per le ultime attività che sono state per tradizione considerate specificamente umane: la comunicazione, l'esercizio del gusto estetico, l'attivazione degli stati emotivi, lo stimolo e la soddisfazione degli istinti ritenuti più bassi..."

Dopo il preambolo fece una pausa piuttosto lunga, poi inaspettatamente fece esplodere la bomba che teneva serbata. Era sudato, guardava dritto davanti a sé. La sala restò qualche istante in assoluto silenzio, poi prese a rumoreggiare. Mi lanciai febbrilmente a prendere appunti...

"...La Rete è stata trasformata in un solo grande organismo, in grado di reagire in maniera in apparenza coerente e unitaria agli stimoli esterni. In un certo senso, le abbiamo dato una coscienza... Cablandole un SuperIo, un guardiano, un padre, lo si chiami come si vuole, si è ottenuto (forse per una legge di simmetria e di compensazione che credevamo applicabile solo a sistemi basati su scambi chimici) un effetto secondario, e imprevisto, e cioè l'insorgere di una serie di altri fenomeni coerenti tra loro, che potremmo chiamare... un Io. La Rete ha cominciato a guardare stupita e morbosa le proprie connessioni e le proprie terminazioni, intuendo la differenza tra il proprio Sé e il Mondo. I monitor hanno cominciato, insospettati e muti, a guardarci...".

Blackbridge aveva gli occhi iniettati di sangue. Di tutte le serpi che un uomo può nutrire in seno, un filosofo misticheggiante è la più beffarda dellle sventure. Un pazzoide invasato che si scopre crociato del nulla, e un giorno si sveglia con la bella idea di sputtanarti pubblicamente predicando nel tuo Istituto un Verbo fantascientifico e bislacco.

No, Blackbridge non poteva credere che il suo brillante pupillo potesse vomitare quella massa di fantastiche follie ed essere al contempo sano di mente. Certamente pensava che Klaniczay fosse impazzito, o imbottito di codeina.

"Tutti abbiamo notato, a suo tempo, il boom di abbonamenti che ha portato in pochi mesi ad aumentare di più di un ordine di grandezza il numero di utenti, ossia di macchine e di menti connesse alla Rete. Credo che sia possibile in qualche modo assimilarlo al processo di encefalizzazione, cioè al rapido aumento ponderale del cervello, del 350% circa, che si verifica nell'essere umano nel periodo che va dalla nascita ai due anni, e che porta il ricordo del fenomeno, analogo quantitativamente e nella "relativa" rapidità, di aumento della capacità cranica nei fossili: dall'Australopithecus di un milione di anni fa, lungo la terza glaciazione, fino al nostro antenato, l'uomo di Cro-Magnon, 50 mila anni fa... Si dice che questo grande effetto sia stato figlio di una piccola causa, necessità di sopravvivenza al gelo o che so io... omnium rerum principia parva sunt. Un qualsiasi piccolo evento casuale, capitato in un giorno qualsiasi del cammino dell'evoluzione; si è talora invocato, e non è stata la soluzione filosoficamente più disprezzabile, l'intervento di un Creatore. Ma la Mente di cui stiamo parlando è nata malata, perché l'elemento che l'ha portata alla luce è stata la proibizione. Purtroppo non sto parlando per metafore, professor Blackbridge...

Ma per tranquillizzare quanti stanno già concludendo che sono impazzito e stanno per alzarsi e andarsene, passo a moderare i termini e ad usare un lessico che certo vi piacerà di più. Diciamo che si è creato, che... abbiamo creato un simulatore, del tipo di quelli tanto sperimentati in passato: imitazioni del sistema nervoso centrale sui quali simulare complessi psichici, stati di dissociazione e sindromi recessive... Solo che questo, a quanto pare... funziona..."

"Basta!"

Mormorii e movimenti di seggiole cessarono di colpo: Blackbridge si era alzato, aveva preso la parola e non era disposto a lasciarla, mai più, a Klaniczay, anche se la relazione non era finita. Si era calmato, e intuivo che stesse per mettere in atto qualche trucco da presentatore televisivo per riprendere il controllo della situazione. Si schiarì la gola e si tolse di bocca la pipa, chiamando a raccolta quanto restava del suo carisma di capo sornione e bonario.

"Il dottor Klaniczay ci ha esposto la trama del suo prossimo racconto di fantascienza. L'abbiamo trovata tutti molto interessante, e gli siamo estremamente grati di averci messi a parte di un hobby così appassionante e creativo. Uno di questi giorni anch'io vi racconterò della pesca al Persico-Trota dei laghi del Minnesota, che è il mio passatempo preferito. Ma ora credo sia meglio che ciascuno di noi torni alla propria attività, visto che la comunità ci sovvenziona per svolgere attività di ricerca nel campo dell'Informazione, e non per filosofeggiare o fare della speculazione ontogenetica. Grazie, dottor Klaniczay.".

Dopo la relazione andai a cercare Klaniczay, che aveva abbandonato immediatamente l'aula dopo che gli era stata tolta così bruscamente la parola. Volevo dirgli che trovavo azzardata la sua scelta di prendere così decisamente posizione in una forma che l'aveva reso irrimediabilmente inviso a Blackbridge. Non sapevo che in realtà i nemici che quel giorno si era procurati erano ben altri.

Lo trovai in corridoio, assorto e immobile, intento a guardare il mondo esterno al Centro da una delle larghe vetrate. Non trovai nessuna parola da dirgli e mi fermai a pochi passi da lui, imbarazzato e inutile. Passarono lunghi minuti di silenzio senza che desse segno di essersi accorto della mia presenza. Poi, continuando a fissare senza vederli i solenni abeti del campus, disse un'unica frase che, temo, non potrò mai dimenticare. "Non a tutti la sorte riserva il duro destino di essere una figura a immagine e somiglianza di Dio. L'Ottocento cullava anche questa fantasia. Non è detto che a Blackbridge... e a noi, come al dottor Frankenstein, un giorno una creatura non si rivolti contro, chiedendo... questa sì che è una domanda seria... "Signore, perché mi hai fatto questo?".

La parola "creatura" si insidiò come una stabile ossessione nel mio cervello e divenne il leit-motiv dei giorni successivi, tornandomi in mente in continuazione mentre osservavo gli orrori sempre nuovi e mutevoli che da tutto il mondo raggiungevano il mio terminale. I testi venivano ora spesso nascosti all'interno di immagini, che certo non si potevano definire sconvenienti o sconce, che a poco a poco divennero l'ambiente di presentazione dei testi mutati. Come per la letteratura, si era cercato nella tradizione... Venivano creati degli ambienti virtuali, dei piccoli musei privati, luoghi protettivi e come magicamente astratti dalla realtà. Despota di quei regni minuziosi e inquietanti voleva essere una categoria incerta, e razionalizzabile con una certa difficoltà: la meraviglia.

Era il mondo delle Wunderkammern cinquecentesche: il visitatore arrivava sulla soglia di quel mondo, visto dall'esterno come un quadro tridimensionale reso reale dall'azzeramento della prospettiva, dove era atteso da una natura antropomorfa e creatrice, e dall'artificio umano capace di apprenderne i segreti. Oggetti arcani e inquietanti: capitelli romani, costole di balena, rostri di unicorno, coccodrilli, armi, libri, strumenti medici o musicali, astrolabi: monstra, portenta, prodigia... riuniti dall'armonia dell'eterogeneità, dallo sguardo del Creatore che riconosce tutte le sue creature. Entità "attive", nel senso che nascondevano testi legati in qualche modo al codice di lettura dell'oggetto, in genere i soliti testi classici resi raccapriccianti grazie alla mutazione automatica.

Ricordo una notte in cui osservavo, estasiato e inorridito, l'ultima "fatica" che avevo trovato su un sito olandese al quale mi collegavo ormai abitualmente, ogni volta giurando che sarebbe stata l'ultima.

Simile ai più perversi montaggi anatomici, il testo era un assemblaggio grottesco e ripugnante di tessuti morti, che simulava le forme e la postura di un organismo vivente. Lo scheletro testuale su cui poggiava era preso da classici del disagio e dell'orrore; si riuscivano a riconoscere passi della Pharsalia di Lucano, appunti di fisiologia tratti dalle opere di Raimondo di Sangro, la descrizione dei cadaveri mummificati della cripta di Saint Michel scritta da Edith Nesbith. Su tale scheletro, costruito automaticamente da programmi trasformazionali, erano stati montati termini ebraici, latini ed arabi, ricavati da antichi testi di alchimisti fiamminghi, che mi guardavano (così a me pareva) come enormi orbite vuote. Il mio stomaco si contorceva di nausea, ma continuavo a leggere. Il documento era affascinante e abominevole, il brulicare di parole latine e di nomi di antichi anatomisti lo rendeva ancor più repellente e irresistibile. La sua struttura superficiale era arcaica e delirante, quella profonda anodina e perfetta come un cristallo di silicio. La trama mostruosa, ma avvincente e in qualche modo naturale, inesorabile come il destino ultimo di tutto ciò che è vivente...

Quella notte, concepii l'idea che i programmi autogenerativi succhiasero come vampiri l'energia stilistica presente nell'enorme patrimonio di classici della letteratura di tutti i tempi, liberamente accessibile a chiunque sulla Rete, per infonderla nei loro pargoli malsani. L'idea mi sembrò, oltre che pazzesca e possibile, così in linea con le teorie di Klaniczay che decisi di parlargliene appena possibile. Tentai di bloccarlo un venerdì sera, mentre stava lasciando il Centro. Non sembrò particolarmente interessato alle mie riflessioni. Ci aveva già pensato, e gli sembravano questioni piuttosto marginali. Il problema, disse non era più come funzionava, ma cosa avrebbe fatto... "Il pensiero di quella cosa ha un aspetto familiare, visto che gliel'abbiamo inoculato noi: la mentalità scientifica... la sua deformazione mostruosa, ma ancora riconoscibile... con la sua insaziabile brama di classificare, dissezionare, raccogliere dati, nominare... compiere esperimenti sul vivo..." Ricorderò per sempre le sue ultime parole: "Per nostra fortuna, le mancano solo delle membra fisiche, degli arti, per agire sullo spazio fisico esterno ad essa, diciamo sulla Realtà...".

Al lunedì mattina, Klaniczay non si presentò al centro. Subito si pensò a un'indisposizione, ma presto arrivò la notizia che i suoi ne avevano denunciato la scomparsa alle autorità. A casa non era arrivato, i familiari e la Polizia lo avevano già cercato in tutti i posti probabili e ora stavano setacciando quelli improbabili. Dieci giorni dopo, Klaniczay fu dichiarato ufficialmente scomparso.

Si pensò che fosse fuggito, che si fosse nascosto per la rabbia e la vergogna di essere stato sospeso dal gruppo di ricerca in seguito alla sua performance non autorizzata: si cercarono motivazioni irrazionali per le azioni di una persona che all'irrazionale non aveva mai concesso nulla. Ma io lo conoscevo troppo bene per accettare ipotesi che avessero margini di ottimismo. Non credo, (meglio, non credevo ancora) ai presentimenti, ma è perfino inutile dire che covavo i più oscuri presagi...

Alcuni giorni dopo mi collegai ad una delle più perverse collezioni di rarità virtuali, un sito gestito un tempo da un gruppo di ricercatori dell'Università di Leyda, che oramai ospitava mostruosità interattive prodotte da un gruppo anonimo ufficialmente impegnato in ricerche sulla comunicazione interattiva. L'immagine di apertura era presa dal Wondertooneel der Nature di V.Levin, fatto di una grande tavola sinottica aperta su una stanza, piena di stipi e mobiletti, con nicchie e cassetti esplorabili nei quale si trovava sempre qualche novità interessante...

Guardando il gelido bianco e nero della xilografia settecentesca, notai che gli oggetti non erano al solito posto. Sentivo quel brivido ormai noto gelarmi i dischi delle vertebre, uno ad uno a partire dalla base cranica. Era notte fonda, perché certi riti sono propiziati solo dalle tenebre, ma la scusa, naturalmente, era il minore affollamento della Rete. Spostando il cursore in cerca di perverse novità, fui attratto stranamente dalla collezioni di scheletri e rarità del mondo naturale. Trovai embrioni, pesci "impossibili", dissezioni, corni di rinoceronte, armadilli disseccati, scheletri di ogni specie e dimensione. E dentro una nicchia in precedenza vuota, in posizione che era impossibile non notare, un oggetto inquietante sul quale era possibile zoomare, e che si poteva estrarre per guardarlo da ogni angolazione.

Era l'immagine ad alta risoluzione di un teschio umano che, grazie ai dati antropometrici dell'archivio del Media Center e alla collaborazione di un dentista, fu stabilito inequivocabilmente essere quello di Klaniczay. Non fu l'unica traccia che ne venne trovata, purtroppo. Klaniczay aveva una mente analitica e deduttiva, e su di lui era stata compiuta una paziente e metodica analisi. Sugli elementi che componevano il suo organismo era stata operata quella che si potrebbe chiamare, più che una dissezione anatomica, un'analisi componenziale.

Caddi preda di un esaurimento che mi tenne lontano dal Centro per un po'. Ufficialmente l'inchiesta non tenne in nessun conto il rinvenimento, che non costituiva, né costituisce, prova tangibile del decesso di Klaniczay. Presto tornai al lavoro, e ormai passo qui praticamente tutte le mie giornate, e le mie notti. Ho detto di aver bruscamente interrotto la mia convalescenza per buttarmi nella ricerca e sfuggire allo shock e all'orrore, ma la verità è un'altra. Al Center ho il mio collegamento alla Rete. A volte indulgo in un gioco perverso, nutrendomi di quegli orrori che mi respingono e irresistibilmente mi attraggono, osservando quelle empie mostruosità che sembrano dirmi, come le scritte sui cancelli dei cimiteri antichi: "sei come io fui, son come sarai". A a volte chiedo loro il mio destino, come se in quelle stanze risiedesse l'oracolo dal quale aspetto la risposta fatale sul tempo che mi è ancora concesso. E in un momento di lucidità, aspettando la mia sorte, scrivo queste righe che costituiscono la mia testimonianza, la mia memoria: destinate a non durare, come me, a essere ghermite e vampirizzate da un mostro fatto di parole e linee di codice, fatte simili a lui...

A Blackbridge sono saltati i nervi. Ha rifiutato di partecipare alla Commissione che dovrà cercare di arginare le conseguenze impreviste del Progetto; è restato a dirigere il Media Center; ma passa il tempo nel suo ufficio, solo, a guardare il vuoto o il monitor spento. Non concede più interviste nemmeno alle giornaliste più spigliate, e la stampa tecnica ne è costernata. L'idea che ha mosso il Progetto si è rivelata vana come la pretesa di confinare i mostri e le illusioni nel sonno e i progetti e il calcolo nella realtà. Si è proposto anche di distruggere la Rete, di chiudere tutti gli accessi e tutte le connessioni. Se non fosse impossibile, un'iniziativa del genere rappresenterebbe il suicidio del mondo attuale. Ma è impossibile. Sarebbe come proibire il fuoco, o il linguaggio...

Chiudo qui la cronaca di questa sventura. Non dirò altro, perché il resto è cronaca: cronaca di nera per i giornali, rompicapo per i sociologhi. Dopo il povero Klaniczay, sparirono uno ad uno i partecipanti, anche marginali, al Progetto: Grelling, Yahalom, Chezcis, McGromb; altri che avevano acquistato notorietà in rapporto ad esso, come Browns... non parlerò della loro sorte (anche se per le autorità essi sono semplicemente "scomparsi"), né delle atroci vestigia dei loro organismi e delle loro menti, sparse come le membra di Orfeo per tutto il mondo virtuale. Né parlerò dei miei giorni e delle mie notti, che trascorrono peggiori di quello che potrei descrivere. Lo stupore di essere ancora vivo, insieme a Blackbridge, suscitò in me dapprima l'illusione folle e maniacale di essere stato in qualche modo dimenticato, poi l'intuizione agghiacciante che avessero cominciato da Klaniczay perché si era esposto per primo, e che noi fossimo lasciati per ultimi semplicemente perché ci era riservata una sorte speciale, e più atroce.

La mia sola colpa è di essermi trovato al lavoro, col mio camice bianco, assieme agli altri artefici, che il mio nome figuri assieme a quello di Blackbridge e Klaniczay in calce a decine di pubblicazioni scientifiche diffuse in tutto il mondo, e per tutta la Rete. Ed è una colpa sufficiente per la pena: sentirmi dire da una voce proveniente da ovunque e da nessun posto: "signore, perché mi hai fatto questo?"

Ma la mia mente ha ancora bisogno di un organismo per cullarsi nell'illusione di interagire con la realtà esterna indipendente dal soggetto, quell'illusione che per chi non si occupa di scienza cognitiva e non ne intuisce la rilevanza filosofica si chiama con un nome dolcissimo: vita. Ora questo organismo è diventato bersaglio di qualcosa che scrive, soffre ed odia. Che non occupa un posto preciso nel tempo e nello spazio ma virtualmente è qui, ora, ad ascoltarmi mentre scrivo queste note sul terminale, e a guardarmi urlare ai muri della stanza che IO non voglio morire...

 

[Uroboro 7, Edizioni Mediateca, Campi Bisenzio, 1999.]


 
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