Roberto Masuello
Tommy
Tommy era stato un
ragazzino molto chiuso, per anni era parso
refrattario all'affetto come agli entusiasmi - per la
verità li trovava superficiali, o artificiali. Né
sembravano toccarlo le passioni violente, eppure
queste abbondavano, nel suo ambiente, nel suo tempo.
Tommy era cresciuto, ispanico, selvatico -
fondamentalmente alieno - in uno dei quartieri
infernali della capitale del mondo. Non gli mancavano
pertanto "input negativi", come si diceva.
E le sue origini, contraddizioni ad alimentare quel
contraddittorio mondo: il quarto europeo, quello
africano e l'americano certi, solo sospettato
l'asiatico, non lo confortavano, anzi contribuivano a
smarrirlo del tutto. La soluzione dell'integrazione
nella corsa cui assisteva non lo tentava - versione
sogno faidate o violenza fatalistica; l'aveva
scansata d'istinto senza sapere forse che si giocava
così l'unica "salvezza" possibile.
Tuttavia Tommy era forte, vitale, coriaceo: voleva
comunque il suo posto nel mondo.
L'avevano
classificato: timido. Tommy era diventato un ragazzo
che non parlava perché era timido. Non era difficile
da credere, bastava guardarlo. Alto, dinoccolato,
scuro, lo sguardo a terra. E sfuggente. Perché? Si
vergognava - e perché? - si sentiva inferiore -
ecc.? Insegnanti ed assistenti sociali lo avevano
incasellato, tranquillizzati dal suo carattere chiuso
e quieto. Indirizzandolo verso attività mediamente
interessanti. Lui si era adattato a quella diagnosi,
a quella "personalità", dopotutto non
poteva lamentarsi: non era più né povero né
emarginato. Era un secondo Tommy, apparentemente più
vivo, più libero. Solo dentro di sé ruggiva
l'animale disperato: lo sentiva soltanto lui. Lavato
e pettinato e ricoperto di tessuti pratici (ma tra i
migliori esistenti) l'animale era sociale, ben
nutrito ed aveva la possibilità di accedere ad
insperate scalate (insperate, sì: ma quanto
desiderate?). Sicché il nuovo Tommy si aggirava,
maggiorenne e saltuariamente motorizzato, nel
"campo", nel giardino di una scuola,
discreto studente ed ottimo agonista di giochi con la
palla.
A questo punto
iniziano i guai. Tommy studente timido ambiva,
giustamente per quanto celatamente, ad una ragazza.
Ne aveva adocchiata una che sembrava disponibile. Per
ciò che ne sapeva, doveva esserne innamorato. Dopo
aver teso la sua brava rete il timido Tommy si era
lasciato andare a comunicazioni confidenziali. Il
passato freddo e pauroso premeva, ma lui sublimava
tutto, cercando di convertire il capitaluzzo
affettivoide in melense intimità tipo sognodamore.
Non funzionava, però. Le parole non uscivano, o non
bene, e non si creava vero contatto. Lei si era
mostrata paziente finché lo sconforto, prima ancora
dell'impietosa noia, non prevalse, veicolandola su
altro atleta ibrido e un po' volgare, epperò
estroverso parecchio. Tommy si era fatto del male:
oltre alla grande delusione, al senso di fallimento,
gli era toccato in sorte il turno di zimbello del
collegio (né zimbello né collegio rendono, in
verità) cosicché la semplice figuraccia s'era fatta
leggenda, destino. Vale a dire che ormai ce l'aveva
appiccicata addosso, la fama di sfigato, imbranato, o
che dir si voglia: anche qui i termini consueti non
rendono giustizia. La pena era capitale: Tommy era
tagliato fuori da tutte le avventure con le ragazze
della scuola e del quartiere. Anche da quelle ancora
da venire, ché la sua fama non l'avrebbe abbandonato
facilmente.
Quindi un nuovo
aspetto che Tommy mostrava evidente di sé era la
delusione, per essere uno scarto, un fallito. Le cose
iniziavano ad andare male anche con la scuola, di
riflesso. Sentiva che non c'era un posto, per lui,
che forse era sbagliato, lui; o era sbagliato il
mondo, piuttosto? Tanto OK non gli pareva proprio.
Più ci pensava e più se ne convinceva. Tutta 'sta
gente che lavorava per accumulare cose, e poi
spendeva tutto per riposarsi e distrarsi dal lavoro
eccessivo, che era servito a comprare tutte le cose
che servivano ad alleviare la stanchezza... E c'era
anche, è vero, il prestigio sociale, il potere: ma
questi erano estranei a lui, o lui refrattario a
loro. Totalmente. Pure venne il giorno che qualcuno
parlò a Tommy della possibilità di cambiare il
fottuto mondo - confermandogli a un tempo le sue
apocalittiche impressioni. Gli disse che il mondo
girava male perché era impuro, e che si doveva
affermare l'unica verità del profeta - questo
avrebbe rimesso a posto tutto - combattendo per la
propria riforma, e questo passi, ma anche per
abbattere il sistema, riportando l'ordine come il
profeta suggeriva, con loro al posto giusto! Ciò
spaventava ma al tempo stesso affascinava Tommy, era
la rivoluzione. Non quella sterile e pacchiana dei
fiori e neppure quella sputtanata delle pantere,
destinate alla sconfitta certa. Una bella rivoluzione
interiore, che prometteva sconquassi mica da ridere
all'esterno, però naturali, come di conseguenza,
cioè: divini. Entrò nella setta e il suo cognome fu
tramutato in X, come il modello Malcom Little, il
grande. Gli anni dell'apprendistato non comportarono
violenza, tuttavia, non più della consueta, e fu
piuttosto la noia a prevalere. Finché un giorno
Tommy X vide qualcosa che non avrebbe mai voluto
vedere o forse sì, ma che non gli doveva lasciare
segni profondi: un gruppo di suoi compagni della
setta fu attaccato da avversari, selvaggiamente, e
dalla polizia in maniera confusa, per sedare. Lui per
fortuna era rimasto indietro, cosa che gli evitò le
botte più pesanti, ma non di perdersi lo spettacolo
del massacro e, in particolare, della morte atroce di
un suo compagno.
Era passato del
tempo, e Tommy adesso si disinteressava di guerre
sante o politiche, il suo impegno era tutto sociale,
musicale per la precisione: era entrato nel giro dei
rappers, di quelli che vanno in giro con sei chili di
stereo sulle spalle e si battono le mani (tipo
"ghimmifaiv"). Bisogna dire che, benché
non fosse più un ragazzino, l'abbigliamento ginnico
ed il perenne cappellino con la visiera girata lo
ringiovanivano alquanto. Poi lui ci si trovava bene,
in quel giro - credeva nel genere di vita leggermente
trasgressivo, contrario al sistema e per di più
simpatico. Loro erano tanti, e nessuno faceva caso se
lui riusciva o no con le donne, se aveva un buon
lavoro, una bella macchina. Tutt'altro, le uniche
cose che contavano erano stare a ritmo e fregarsene
del resto. Riacquistata fiducia in sé, e con
l'aspetto sempreverde a suo vantaggio, Tommy aveva
preso il via con certe ragazze che adoravano il suo
stile, e presto si era trovato nell'insolito ruolo di
sciupafemmine. Era stato più facile di quanto
s'aspettasse. E più noioso, a lungo andare. Ben
presto l'effimera soddisfazione s'era spenta, per
lasciare il posto a sogni diversi.
A Tommy non bastavano
più quelle ragazzine, sciocche e vanesie. Desiderava
donne vere, e quasi tutte le donne vere erano bionde,
eleganti, ricche. Piene di ogni grazia. Non c'era
modo di entrare nel loro giro, apparentemente. Ma il
fuoco bruciava dentro di lui (tanto da fargli sentire
che poteva superare ogni ostacolo, disperatamente).
Un giorno ne parlò col Malinkyo, considerato il
saggio più giovane della zona. Malinkyo parlò
così: "Se vuoi quel tipo di donna, non hai che
da andare a cercarla dov'è più debole, e questo
posto è il Red Garter - sì, proprio il locale della
zona franca - e poi naturalmente devi darti da fare.
Non è difficile entrare, quanto piuttosto uscirne,
uscirne bene, voglio dire. Sai, quel giro ti riduce
male, se non sei più che forte... - sì, certo, tu
sei forte (non ci credeva, ma sapeva che se glielo
diceva era peggio) - Io ti consiglio di farti una
bionda, una sola giusto per toglierti lo sfizio
(l'ossessione) e poi ritirarti, lasciar perdere. Se
sei abbastanza sveglio da cogliere il mio consiglio,
passiamo alla strategia... Bene: la ricca bionda
elegante che va al Red Garter impazzisce per tre
cose: Biancaneve e la musica che ti possiede e la
verga africana. Ora, mi sembra che tu possa
provvedere a tutto; ma, mi raccomando - e questa è
la cosa più importante: Biancaneve non la devi
toccare, lascia che ci pensi qualche professionista
del locale. Se sgarri sei fottuto!"
Era passato quasi un
anno. Tommy era ormai un elegantone, un playboy,
dedito al sesso e all'ebbrezza. Suonava i bongos
nell'orchestra fissa del Red Garter e, tra un set e
l'altro, si dava da fare con le bionde o presunte
tali. Tuttavia, una vera, ricca bionda elegante
ancora non gli era capitata. Non come la voleva lui.
Naturalmente non aveva seguito i consigli del buon
Malinkyo.
E finalmente, la sera
buona, abborda la bionda ideale: bionda autentica,
sguardo magnetico, alta, misure da capogiro, grazia
ed eleganza mai viste (ma che ci faceva in quel
locale?) e per finire doveva essere ricca, tanto
ricca che avrebbe potuto comprare il locale pagando
in contanti. Tommy aveva fatto le cose per bene: si
era moderatamente agitato sul palco, sudando ma non
troppo, e alla fine del primo set si era avvicinato
alla signora, preceduto dal drink più scafato che
c'era. Aveva giocato tutte le sue carte,
dall'emulazione dello charme internazionale alla
sfrontatezza del sicuro detentore di verga africana.
La musica era infuocata, come piaceva a lei, e i
drink si accatastavano, tra sorrisi di studio e messe
alla prova. C'erano volute due ore e mezza, ma alla
fine la voluttà aveva vinto. Andarono da lei...
Con la puntualità
che lo contraddistingue, il destino si presentò
sotto forma di inconveniente: sul più bello
(difficile essere più precisi riguardo al "più
bello") quando tutto filava liscio ed erano alle
stelle, Biancaneve era finita. Avevano esagerato,
previsto male, era scarsa? Chi lo sa, fatto sta che
la bionda, per proseguire la scalata verso il cielo
ne esigeva dell'altra. Condicio sine qua non. Tommy
si era dunque rivestito ed eccolo in una strada, un
quartiere del tutto fuori dal suo territorio, a
cercare Biancaneve in piena notte e con pochi soldi
(perché mica voleva fare la figura del morto di
fame). Dopo ore di ricerca febbrile Tommy era ormai
ridotto a un fantasma, gli era risalito tutto, e non
distingueva un poliziotto da un idrante. Ma
finalmente la "fortuna" - o quella che lui
credeva tale - gli si fece incontro, le sembianze di
un fornitore scaltro, che però non era sfuggita al
suo occhio impratichito. Questo il loro dialogo
tardonotturno (auroreggiante?): "Ehi fratello,
ho qui cinquantacinque conigli, da parte dei sette
nani. Non so se mi spiego..." "Amico... Con
cinquanta conigli ti approvvigiono di un tassello.
Niente di più, di una moderata eccitazione, voglio
dire. Però garantita". "Ehi, fratello,
fratello: non scherzare, non puoi mollarmi a nolo un
assaggino singolo per la notte. La mia bambina ne
morirebbe. Oppure io! E dopo tutto, cinquanta sono
cinquanta, non trovi?" "Amico: dove credi
di essere, al ghetto?
Qui con un
cinquantino quasi non esisti. Guardati intorno! Non
credi che sia una gran bella zona? Non farmi quella
faccia canina, fratellino. Non c'è niente da fare.
Torna da tua madre e dille di mollarti, non dico
tanto, quantomeno un ulteriore centino".
"Oddio, come faccio, adesso? Fammi credito, te
le porto domani, ti lascio il quadrante e..."
"Amico! Amico! Tu non vuoi semplicemente
rovinarmi la piazza, tu mi stai proponendo di
bruciarmela totalmente!" "Ma..."
"No, senti, chiudiamo il contatto. Questo bar
chiude tra un'ora e un quarto. Torna con
centocinquanta roditori pelosi e avrai le carotine:
due splendidi viaggi completi di tutti i comforts.
Oppure non farti più vedere". Tommy si rendeva
conto. Fuori pioveva, quasi. Ecco una mesticheria
notturna, un bel negozietto ricco e indifeso. Tommy
non sentiva inibizioni di sorta, i tre cicchetti
buttati giù mentre tentava di superare la barriera
tremenda del fornitore avevano fatto risalire e
coprivano tutto. Neanche si avvide di entrare,
prendere un pacchetto di gomme, estrarre il coltello,
puntarlo alla gola del vecchio grinzoso alla cassa
con gesti sincopati; né della fuga col ritorno al
bar. Quindi la trattativa veloce col fornitore nel
cesso. D'improvviso si era ripreso del tutto.
Sorrideva. Lucido.
"Amico, devi
essere ben messo per andartene in giro di notte a
cercare Biancaneve, presentarti con cinquanta e
pregarmi, e poi dopo mezz'ora tornare con
cencinquanta netti..."
"E' vero
fratello, conduco una fottuta esistenza
confusionaria; sono schiavo di questa merda, e delle
bionde, sai QUEL tipo, e passo le notti a suonare
percussioni latine in una nuvola di fumo e l'unica
mia consolazione è quando riesco a dormire. Ci sei?
Bene, comunque non ho un'altra fottuta vita. Ho
questa. Nemmeno tu sembri il principe azzurro della
bellaaddormentatanelbosco".
"Si, neanch'io
me la spasso. Una volta mi piaceva, questa storia,
era eccitante. Adesso se uno sbirro dovesse
incastrarmi finirei per dirmi che finalmente posso
riposare per un po'".
"Bene, è stato
un piacere. Non so perché, ma ho come l'impressione
che questa storia senza senso debba finire
presto".
E infatti lucido
lucido, brillante brillante se ne andava qualche
tempo dopo per le strade di quello stesso quartiere
IN. Ma anche inconsapevole - inconsapevole, che
quello scenario lo avesse già visto protagonista, e
incauto - incauto. Niente: siccome aveva finito le
sigarette era entrato in un negozio notturno e per
nulla al mondo si sarebbe aspettato di vedere quello
che il vecchietto grinzoso della cassa stava facendo,
cioè tirare fuori una bella smith&wesson e
puntargliela addosso, mentre tutto rosso gridava:
"Negro bastardo, cosa vuoi? Vuoi che questo
diventi il fottuto negozio più rapinato del mondo?
Adesso se..." Dopodiché era diventato tutto
rosso, e il boato quasi non lo riguardava...
Si era risvegliato in
ospedale, dove si era reso conto del fatto che un
vecchio bottegaio gli aveva sparato a bruciapelo
perché lo riteneva responsabile di una rapina ai
suoi danni. Tommy non ricordava la notte della
rapina, mentre era troppo conscio del fatto di
essersi mosso bene da quelle parti, quella sera come
in tutte le altre, perché la sua clientela in quel
quartiere era degna del massimo rispetto da parte
sua. Eppure questo vecchio gli aveva sparato, e per
poco una pallottola bye-bye, con tale e tanta
sicurezza. Forse era un messaggio, da parte di una
forza misteriosa. Tommy, che non era stupido, lo
stava interpretando così: cambia vita, stronzate ne
hai fatte abbastanza. Dopotutto una batosta del
genere te la meriti, anche se non hai fatto niente
per cercartela. O no?
[Uroboro
7, Edizioni Mediateca, Campi Bisenzio, 1999.]