LA VITA NELL'UNIVERSO
"La visione dell'Universo, resa più chiara dall'attento lavoro di quattro secoli di moderni scienziati, supera di parecchio in bellezza e maestà (per quelli che si prendono la briga di guardare) tutte le creazioni di tutti gli artisti umani messi insieme."
Isaac Asimov
Nell'aprile 1960 l'astronomo statunitense Frank Drake utilizzò il radiotelescopio di 25 metri di diametro di Green Bank, West Virginia, puntandolo su due stelle vicine di tipo solare, Tau Ceti ed Epsilon Eridani: egli fu il primo, così, a cercare attivamente dei segnali radio extraterrestri. Nel novembre dell'anno successivo, Drake organizzò un incontro con altri scienziati per discutere le reali possibilità di captare segnali di origine extraterrestre, affinando nel contempo le tecniche radioastronomiche. Durante questo incontro Drake presentò una sua equazione, divenuta poi molto famosa e dibattuta, asserendo che, se fosse stato possibile assegnare un valore sufficientemente preciso a ciascuno dei simboli in essa contenuti, si sarebbe ottenuto il probabile numero delle civiltà tecnologiche esistenti nella nostra Galassia, con le quali entrare eventualmente in contatto per mezzo di segnali radio.
Da allora, questa lunga serie di lettere e di simboli è stata fonte di infinite discussioni e polemiche: è stata elogiata oppure vilipesa; è stata oggetto di moltissimi libri ed articoli, ed ha fatto scorrere fiumi d'inchiostro. Sarebbe tuttavia difficile non riconoscerne il grandissimo valore, che è stato quello di porre in forma razionale - cioè in una formula - ciò di cui prima si parlava in maniera piuttosto vaga e confusa.
Se risaliamo indietro nel tempo, fino all'affascinante epoca d'oro delle scoperte fondamentali dell'astronomia, troviamo che molti celebri astronomi del passato erano fermamente convinti - in un modo che noi oggi troviamo forse disarmante - dell'esistenza della vita ovunque nel sistema solare e, come conseguenza, nell'intero Universo: il grande osservatore William Herschel, per esempio, riteneva abitato persino il Sole! Poco a poco, tuttavia, gli affinamenti dei secoli successivi arrecarono una crescente sensazione di sgomento agli uomini, che si ritrovarono sempre più soli in un Universo sempre più vasto ed inconcepibilmente enorme.
Vi fu un tempo, ormai lontano, in cui si dava praticamente per scontata l'esistenza di una civiltà su Marte, in virtù del fatto che al telescopio, dopo lunghe osservazioni, si potevano notare alcune sfuggenti strutture molto lunghe e sottili. Esse, credute canali scavati da esseri intelligenti per irrigare il loro pianeta, cedettero infine all'evidenza di costituire complesse illusioni del nostro sistema di percezione visiva, dovute allo sforzo eccessivo di interpretare al telescopio un'immagine piccola e sfocata, vibrante e di basso contrasto, come quella appunto di un pianeta osservato attraverso un telescopio di medie dimensioni.
Più di recente, alcune osservazioni effettuate da sonde spaziali automatiche hanno fornito spunti quanto mai scoraggianti nei confronti dell'esistenza della vita al di fuori della Terra: ci riferiamo alla temperatura ed alla pressione atmosferica di Venere, e all'assenza su Marte di ossigeno atmosferico e di acqua allo stato liquido; in compenso, qualcuno nutre la motivata speranza di riuscire a trovare tracce di vita primordiale, poi estintasi, nelle vecchie rocce di Marte, così come possibili semplici forme di vita nel grande oceano probabilmente nascosto sotto la crosta ghiacciata di Europa, un satellite di Giove.
Ma all'epoca dell'entusiastica formulazione dell'equazione di Drake, gli inguaribili ottimisti giunsero ancora una volta a valutazioni molto semplicistiche della vita - anzi dell'intelligenza - nell'Universo, sostenendo che i pianeti sono molto diffusi, che attorno ad ogni stella vi è un determinata fascia di distanze entro cui un pianeta deve necessariamente apparire simile alla Terra (ovvero con acqua liquida), e che la vita è inevitabile come un verme in una mela matura; mentre gli stessi processi evoluzionistici scoperti da Darwin porterebbero naturalmente la vita verso uno stadio di consapevolezza e perciò di intelligenza. La prova che questo approccio semplicistico fosse ampiamente errato non tardò ad arrivare, per mezzo degli stessi intensi programmi SETI di radioascolto di segnali extraterrestri che - come tutti sappiamo - non hanno finora mai dato alcun riscontro positivo. Siamo dunque soli nell'Universo?
Vediamo allora qualche fatto un po' più da vicino. Alcune recenti scoperte stanno effettivamente confermando che la presenza di pianeti attorno alle stelle è un fenomeno molto diffuso. Le cose vanno molto meno bene quando cerchiamo di quantificare il numero di pianeti simili alla Terra, o comunque adatti a sostenere la vita. Infatti, le stesse recenti osservazioni che ci hanno permesso di stabilire che i pianeti sono molto comuni attorno alle stelle, ci hanno anche dimostrato un fenomeno inaspettato e molto spiacevole. E cioè che la maggior parte degli altri sistemi planetari possiede corpi con orbite sensibilmente ellittiche, se non addirittura tendenzialmente instabili e potenzialmente caotiche. Non è difficile immaginare che cosa vorrebbe dire se, al posto delle orbite molto tranquille e pressoché circolari dei pianeti del sistema solare, il grande Giove presentasse un'elevata eccentricità: in breve tempo si creerebbero situazioni singolari, con alcuni dei pianeti più piccoli - come la Terra - che "salterebbero" periodicamente da un'orbita eccentrica lontana dal Sole ad un'altra più vicina, compiendo comunque percorsi sempre molto eccentrici. Qualche pianeta di piccola massa potrebbe venire tranquillamente "sparato" fuori dal sistema, destinato a perdersi negli enormi e bui spazi interstellari, mentre nugoli di nuclei cometari verrebbero richiamati dalla Nube di Oort e finirebbero per impattare frequentemente contro i pianeti interni. Non è certo una situazione adatta né allo sviluppo, né al mantenimento della vita, che richiede - notoriamente - lunghissimi tempi geologici in cui le condizioni climatiche presentano scarsissime variazioni.
Nemmeno qui, tuttavia, mancano i critici. Se, da un lato, è innegabile il fatto che attorno alle altre stelle si siano scoperti quasi esclusivamente dei pianeti aventi orbite estremamente ellittiche, d'altra parte è anche vero che le nostre attuali tecniche di analisi consentono di scoprire soltanto pianeti dotati di grande massa (uguale o maggiore di Giove) in orbita stretta attorno ad altre stelle: non siamo ancora arrivati a riuscire a scoprire l'esistenza di un sistema planetario "tranquillo" come il nostro, in orbita attorno ad un altro Sole.
Recentemente, complesse simulazioni al computer hanno fatto emergere alcune scomodissime evidenze. Anzitutto, se nel nostro sistema solare non vi fosse un pianeta della taglia di Giove, la parte interna del sistema solare sarebbe continuamente bombardata da una continua pioggia di pericolosissime comete. Pertanto, risulterebbe molto più elevata la probabilità di collisione fra una di esse ed il nostro pianeta, con i conseguenti gravi sconvolgimenti del clima e difficoltà per l'evoluzione delle specie viventi. Ad esempio, un impatto violento come quello che 65 milioni di anni fa cancellò dalla faccia della Terra i dinosauri, in questa fattispecie accadrebbe all'incirca ogni 100 mila anni. Infine, a quanto pare, dobbiamo anche dire un sentitissimo "grazie" alla nostra Luna: senza la presenza di un grosso satellite naturale, infatti, è molto probabile che un pianeta subirebbe di tanto in tanto delle variazioni caotiche nell'inclinazione del proprio asse di rotazione (fino a 60°!), con le conseguenti vistosissime ed estreme variazioni nelle stagioni. Questo fenomeno, probabilmente, si è verificato su Marte.
I costituenti primi della vita, amminoacidi e complesse molecole organiche formate da carbonio, ossigeno ed idrogeno, sono stati trovati un po' dappertutto nell'Universo: nelle meteoriti, nelle comete, così come dispersi in grande quantità nelle polveri e nei gas interstellari. Benché questi costituenti non siano "vita", non siano cioè "vivi", ne sono nondimeno costituenti essenziali, ed il fatto che ne osserviamo molti di più nascosti nelle nubi interstellari che nella biosfera del nostro pianeta ci assicura che un bel tratto dell'evoluzione prebiotica avviene proprio all'interno di queste freddissime nubi spaziali. E' ormai un dato di fatto, infine, che la vita sul nostro pianeta - sia pure sotto forma di semplicissime alghe unicellulari - è apparsa molto presto nella sua storia, non appena cessò il periodo di intenso bombardamento dovuto a planetesimi e comete che, a quei tempi, crivellava la superficie caldissima del nostro pianeta, circa 4 miliardi di anni fa. La forma di vita più antica che conosciamo è costituita da un'alga azzurra unicellulare, vecchia di circa 3,3 - 3,5 miliardi di anni fa.
Ma quante volte - verificatisi tutti i precedenti casi - l'intelligenza sboccia effettivamente su un pianeta adatto? Qual è la probabilità che altre intelligenze siano in grado di utilizzare segnali radio per mettersi in contatto con noi? Ed infine, quale potrebbe risultare la durata media di una civiltà extraterrestre? Di tutto ciò noi abbiamo un solo esempio, la Terra, e tentare di dedurre da qui delle regole con validità generale è quanto meno arrischiato e poco significativo. Possiamo infatti pensare all'intelligenza che si è sviluppata sulla Terra come ad un fatto del tutto logico e spontaneo, che discende naturalmente ed inevitabilmente dai postulati dell'evoluzione darwiniana; oppure, al contrario, pensare che l'intelligenza è un fatto unico, verificatosi una sola volta nell'Universo a causa di un intervento divino.
A questo punto, può venirci in aiuto un'altra disciplina scientifica: la paleontologia. Essa ci dice che la maggior parte dei più strani e capricciosi mutamenti topografici, climatici, astronomici, o di semplici apparizioni e sparizioni di interi gruppi di animali avrebbero potuto alterare in modo assolutamente sostanziale il percorso evolutivo della vita, quale ci ha condotto fino a noi, oggi. Da un accuratissimo riesame di impronte fossili molto antiche, risalenti alla fine del Precambriano (circa 600 milioni di anni fa), possiamo dedurre che a quell'epoca vi era un gran numero di forme di vita molto differenti: e qui non s'intende paragonare un uomo per esempio ad un gatto, in quanto si tratta in entrambi i casi di vertebrati ed anzi di mammiferi: diciamo, piuttosto, di paragonare un gatto ad un'aragosta, oppure un cavallo ad una stella di mare. A quell'epoca vi erano dunque molti tipi differenti di animali, fra i quali alcuni profondamente differenti da quelli di oggi: e, fra di essi, i cordati (i precursori degli odierni vertebrati) non godevano certo di una situazione privilegiata, anzi. Però, mentre buona parte degli altri "esperimenti" di vita pluricellulare e complessa finirono per estinguersi, i cordati sopravvissero. E così pure, molto più recentemente, quando i dinosauri dominavano incontrastati il nostro pianeta, i mammiferi erano ridotti a poche specie piccole e pelose, che cercavano disperatamente di sfuggire alle unghie ed ai denti dei feroci e velocissimi dinosauri di piccola taglia che infestavano ovunque la Terra.
Se quelle piccole specie di pesciolini ed i loro più stretti parenti non fossero sopravvissuti nei lontani mari del Cambriano, in mezzo a creature molto più grosse e voraci, oggi non sarebbero qui né gli uomini, né gli squali e né gli usignoli: eppure, come possiamo dare a quel sottile antico pesciolino tutta questa enorme responsabilità? E se, da ultimo, i dinosauri non si fossero estinti 65 milioni di anni fa, i mammiferi sarebbero ancora oggi semplici bocconcini prelibati per i dinosauri, così come lo sono stati per oltre 100 milioni di anni.
A quanto ci è dato di capire, se noi potessimo riavvolgere il nastro della storia della vita sulla Terra - come se fosse una videocassetta - e poi riproiettarlo a nostro piacimento, non troveremmo mai due volte la stessa storia: la probabilità che possano essere i cordati a sopravvivere, quindi i mammiferi a svilupparsi, è semplicemente così bassa ed aleatoria da apparire assolutamente ridicola ed insignificante. E così pure, nel corso di questi nostri playback, non è assolutamente detto che vedremmo sbocciare l'intelligenza sul nostro pianeta - e non importa da parte di quale forma di vita - ma, piuttosto, rischieremmo di non vedere nemmeno svilupparsi la vita pluricellulare, benché la vita unicellulare nei mari sembri quasi una necessità chimica.
Ancora oggi, infatti, non sappiamo perché la vita sulla Terra sia stata rappresentata unicamente da organismi unicellulari per l'incredibile durata di quasi tre miliardi di anni: dopo di che, improvvisamente, circa 580 milioni di anni fa essa parossisticamente "esplose" - per così dire - in un gran numero di forme diverse e pluricellulari, ovvero assai più complesse e di maggiori dimensioni.
Strano caso: nei tempi antichi l'umanità credeva di vivere in un luogo assolutamente unico e speciale: la Terra, ovviamente, si trovava al centro del creato. La scienza moderna ci ha progressivamente messo a fuoco l'immagine disperante di una piccolissima ed insignificante Terra immersa in spazi sconfinati, non più al centro del sistema solare, né della nostra Galassia, né dell'Universo; ci ha così sospinti al largo in un vasto oceano inconcepibilmente sconfinato, per noi praticamente infinito, soltanto aggrappati alla punta di un iceberg sommerso. Ed ecco che oggi, forse, le ultime scoperte ed osservazioni vengono a rinfrancare il nostro orgoglio, assicurandoci in fin dei conti che il sistema planetario in cui viviamo è - forse - davvero speciale. Il concetto, cacciato dalla porta, ci sta facendo l'occhiolino dalla finestra. Ne sapremo di più tra qualche anno.
|