ARCIPELAGHI A RAFFRONTO: DI MARE (FÆR ØER, DANIMARCA ) E DI TERRA (CARNIA - FRIULI - ITALIA)

ISOLE A RAFFRONTO: DI MARE (MYKINES), DI TERRA (SAURIS)

UN APPROCCIO ETNO-ANTROPOLOGICO A DUE DISTANZE CULTURALI.

di Franco Pelliccioni , Società Geografica Italiana, Roma

[Testo integrale in lingua italiana della comunicazione letta nel corso del Seminario Internazionale: "Two Distant Regions Compared", tenutosi presso l'Accademia di Danimarca a Roma (Det Danske Institut for Videnskab Og Kunst I Rom), il 21 Ottobre, 1997].

1966 - 2006

QUARANTA ANNI DI PUBBLICAZIONI SCIENTIFICHE E DI DIVULGAZIONE SCIENTIFICA  

1. Premessa

Ringrazio l'Accademia di Danimarca che mi ha dato l'opportunità di potermi rivolgere ad un pubblico su un argomento che ha monopolizzato in questi ultimi anni la mia vita. Quanto in questa sede si dirà sulle lontane isole "delle pecore" discende dal lavoro che sto portando avanti da numerosi anni tra le comunità marittime dell'Atlantico settentrionale.

I numerosi contatti preliminarmente intercorsi con l'Accademia hanno sollecitato una maggiore focalizzazione dell'intera problematica, provocando ulteriori riflessioni. La Direzione era interessata a coinvolgere in qualche modo la realtà italiana. Dai colloqui scaturì, innanzitutto, la partecipazione di uno storico danese; nonché l'idea di comparare la lontana situazione nord-atlantica faroese con un qualcosa di analogo o, comunque, paragonabile, localizzato all'interno dello Stato Italiano. Ricordo come il metodo delle scienze antropologiche includa la comparazione con situazioni e realtà culturali "altre". C'è da dire che nel 1996 quello che era stato programmato come un semplice viaggio nella Carnia friulana, per impegno, molteplicità e spessore nei contatti, selezione indovinata a tavolino delle realtà da avvicinare e, perciò, per importanza del materiale raccolto, mi aveva offerto un'insperata, non prevista, ricognizione "informale" del territorio. Dandomi modo di ritenere come un raffronto fosse possibile, se non auspicabile. In effetti le possibili comparazioni e le notevoli somiglianze tra i diversi aspetti della società e della cultura faroese e di quella carnica, nonostante le molteplici differenziazioni, mi sollecitarono ad approfondire ulteriormente l'indagine. Che comunque qui viene solo abbozzata. Nonostante tutto, ciò che sembrava dovesse solo rappresentare poco più di un divertissement intellettuale da parte di uno studioso che aveva avvicinato entrambe le realtà, seppure su piani conoscitivi ovviamente differenti, si è dimostrato interessante, anche dal punto di vista scientifico.

A di là del fatto che la comparazione avviene tra due realtà culturali distanti tra loro (danese e italiana), tra due "diversi" arcipelaghi (di mare e di terra), ho aggiunto alla discussione due "studi del caso". Il primo costituito dalla remota isola di Mykines, l'archetipico simbolo dell'isola fuori dal mondo e da tutto. Il secondo rappresentato da un' "isola" in senso linguistico ed etnico-culturale, sebbene terrestre: Sauris.

Ai fini del raffronto sono stati individuati alcuni indicatori e aree problematiche tra loro comparabili. Alcune sono vere e proprie chiavi di lettura per entrambe le realtà. Le differenziazioni rimangono molteplici e non di poco conto, ma le analogie possibili sono numerose: aspetto geo-storico

(medesima superficie: 1220 Kmq la Carnia, 1399 le Fær Øer); eccentricità e, quindi, marginalità della localizzazione dei due "arcipelaghi" rispetto alle capitali e ai rispettivi territori statali; aspetto climatico (piovosità); povertà, deprivazione passata e marginalizzazione, anche socio- culturale (fino agli anni '60 per la Carnia, e per le Fær Øer fino alla fine: a) del "lungo isolamento" (1856), b) della seconda guerra mondiale; c) degli anni '70/'80. Crisi esistenziali comunitarie del passato e del presente; comunicazioni: (difficoltà nei trasporti e nelle comunicazioni in genere, (mancanza di strade nell'arcipelago danese fino agli anni '50, quando si è dato il via alla costruzione di una moderna rete di comunicazione intraisolana. Quelle nella Carnia risalgono, a parte alcune eccezioni, alla fine del XIX secolo; demografia (uguale consistenza numerica - ca. quarantamila abitanti- e le emigrazioni - recentissime quelle delle Fær Øer (dal 1989), secolari (dal Medio Evo - i prodromi - fino agli '60), quelle della Carnia; amministrazione: acquisizione per entrambe nel 1948 dell'autonomia amministrativa, come contea danese, le Fær Øer, all'interno della Regione a statuto speciale del Friuli, la Carnia; economia: (economia legata all'ambiente, il turismo); cultura e lingua: lingua specifica, insegnamento linguistico nelle scuole; bilinguismo; importanza e vitalità della tradizione culturale, persistenza di un ricco apparato architettonico spontaneo; letteratura orale (la danza faroese a catena: Føroyskur dansur), le poesie (la villotta carnica); strettissimo rapporto uomo-ambiente e presenza di un ricco apparato "fantastico": trølls e sbilfs.

2. Introduzione storico-geografica

2.1. L'arcipelago delle Fær Øer

L'arcipelago delle Fær Øer dal 1 aprile 1948 costituisce una contea autonoma nell'ambito del Regno di Danimarca, con responsabilità notevoli per tutto quanto riguarda l'economia, la salute, la cultura, le comunicazioni, l'educazione e i programmi sociali. Sono 18 isole con una superficie complessiva di 1.399 kmq e una popolazione di 43.717 abitanti (1994), per la maggior parte di lontana origine vichinga. Le Føroyar sono profondamente connotate sul lato occidentale, quello più esposto verso l'oceano, da ripide e pressoché inaccessibili alte scogliere. Ricordo, ancora, come negli stretti esistenti tra le isole la navigazione non sia agevole per l'incontro/scontro tra la Corrente del Golfo e una corrente fredda proveniente dall'Islanda. Dal punto di vista climatico, a parte qualche giornata di bel tempo, ogni giorno passato nelle Fær Øer ha comportato il mutevole, a volte rapidissimo, "avvicendarsi delle quattro stagioni" nell'arco di pochissime ore. La piovosità media è di 1600 mm (circa 280 giorni di pioggia annua). Pioggia, vento, salinità, e l'inconsistenza dello strato fertile, del tutto esiguo al di sopra di quello roccioso, costituiscono fattori del tutto negativi, sia per l'esistenza di una vera agricoltura, sia per la crescita di piante. Solo il 7% del suolo è fertile. Il rimanente 93% è adibito a pascolo.

Quando nel IX° secolo i vichinghi arrivarono nelle isole, le trovarono abitate solo da pecore. Dipendenti dalla Norvegia prima (fino al 1380), e poi dalla Danimarca-Norvegia, fino al 1709 fecero parte del territorio norvegese e dal 1814 della Danimarca. Capoluogo fu subito Tórshavn fondato sulla penisola di Tinganes .

2.2. La Carnia

E' una zona che ha saputo ammaliarmi per molte sue caratteristiche: umane, innanzitutto, e poi naturalistiche, storico-archeologiche, etno-antropologiche e linguistiche. Una regione fatta di valli e splendide montagne, immerse nel verde dei boschi e delle malghe. Percorsa da fiumi importanti e storici. Popolata da gente che ha una propria lingua, il friulano, con cui vigorosamente esprime la propria identità culturale. I friulani della Carnia si sentono dapprima italiani, poi anche friulani e carnici. Parlando in tal modo ben due distinte lingue e un dialetto. Questa è la Carnia, la Carnia verde a causa dell'abbondante piovosità e della conseguente straordinaria presenza di ogni genere di erbe. Tra l'altro le locali condizioni geo-climatiche abbassano i livelli altimetrici di circa quattrocento metri. Ma il corollario di questo fenomeno fitoclimatico è la marcata presenza del terreno boschivo, che toglie sempre più spazio a coltivazioni e pascoli. Il bosco in alcune zone avanza persino oltre ogni misura. Inoltre il clima della Carnia è caratterizzato da inverni rigidi e da estati piovose.

E quest'angolo nord-occidentale del Friuli, ai confini con l'Austria, ha poco più di quarantamila abitanti, di cui più di un quarto nell'unico centro urbano di una qualche consistenza, Tolmezzo. Storicamente la "capitale" della Carnia e sede dell'omonima Comunità Montana. E sì, perché questa terra ha una sua omogeneità, che ha preso corpo nel corso di una più che millenaria storia. Che risale fino all'arrivo dei Carni, popolazione celtica di cui poco o nulla si sa. E che ha conosciuto l'arrivo dei Romani, ed era nota a Strabone, Tito Livio, Plinio. Ma non poteva essere diversamente, poiché una delle più importanti valli conduce ad uno dei principali accessi storici alla Mitteleuropa, e quindi a nord e ad est del continente: il Passo Monte Croce Carnico. Fin da epoca pre-celtica essa fu importante strada di transito, dove passarono le orde dei barbari invasori. E poi Carni, Etruschi, Romani. E in seguito anche commercianti, truppe straniere e i nostri emigranti: verso il nord e l'est dell'Europa. La storia della Carnia è ricca di accadimenti. Ricordo quelli più vicini a noi: le vicende della Serenissima, di Napoleone e della Grande Guerra, quando, prima di Caporetto, rimasero a lungo bloccate nelle trincee le truppe austriache. E ancora quelle che portarono alla liberazione d'Italia dall'oppressione nazifascista, quando le forze di occupazione tedesche erano composte anche dai "cosacchi" appartenenti alla Russkaja Osvoboditelnaja Armija, l'armata dei fiumi perduti di Sgorlon. Ai quali era stata promessa la Carnia come futura Kosakeland in Nord-Italien.

E' terra questa dove tradizione e innovamento vanno a braccetto, integrandosi spesso a perfezione. Per quanto riguarda l'aspetto storico-culturale ed etnografico, ogni villaggio, ogni paese, ogni centro ha un qualcosa che vale la pena conoscere. Poiché la storia è stata anche generosa con questo popolo forte, che è riuscito a superare ogni crisi esistenziale collettiva. Come venti anni fa, all'epoca del grande terremoto, che sconvolse Friuli e Carnia. La ricostruzione ha fatto sì che numerose antiche case venissero completamente restaurate e nuovamente abitate. Senza incidere profondamente sui tessuti urbani con nuove costruzioni, più moderne, ma lontane dal tradizionale modello della casa carnica. Che viene riproposto ancora oggi grazie all'impiego dei materiali tradizionali: legno e pietra, caratteristici tetti in scandole di legno o in tegole smaltate, spesso in un colore verde acceso.

E se lo stile architettonico delle case, anche di quelle più comuni e umili, non può non attirare il visitatore, altre ancora sono le caratteristiche capaci di stimolarne l'interesse. Quelle etnografiche, ad esempio. Legate al perpetuarsi di moduli culturali antichi. Ad esempio le stesse gerle di nocciolo, impiegate come un tempo dalle donne per il trasporto, in particolare del fieno, o le slitte a pattini e ruote. Tutti oggetti non ancora dismessi e relegati in un museo. Ma utilizzati con fierezza, anche se con dura fatica, dagli abitanti di queste comunità.

2.3. Discussione

Quanto precede penso possa giustificare il perché della scelta di comparare l'arcipelago danese con "quello" della Carnia. In effetti questa stupenda regione alpina, corrispondente all'omonima Comunità Montana, vede i suoi numerosi paesi incastonati tra le diverse valli, che qui chiamano canali, come leggiamo in una lettera del 1628. E le comunità alpine, ove non condividano la medesima valle, risultano separate le une dalle altre da alte montagne. Possono quindi essere immaginate, descritte e analizzate come "isole". E le stesse montagne, a volte anche aspre, seppur sempre affascinanti, che cosa sono se non "acque dell'oceano"?! Non solo... Il territorio carnico nel suo complesso acquisisce un'unità che non è solo geografica e amministrativa, ma anche culturale e linguistica, a sua volta differenziabile da quella della regione Friuli, cui appartiene. Quest'ultima a sua volta portatrice di unicità che la differenziano da quelle dello Stato Italiano in toto. Lo stesso Ippolito Nievo scrisse che la Carnia" era un "un piccolo compendio dell'Universo". E quale epitome risulta più indovinato di un'isola?!

Se si considera la "distanza fisica" dalla Capitale, come la stessa sua localizzazione nell'estremo angolo nord-orientale d'Italia, ai confini con l'Austria, comprendiamo come anche in questo caso ci si trovi davanti ad un'altra distanza culturale. Dato che daremo per consolidato, considerandolo come punto di partenza, e lo utilizzeremo come strumento capace di avvicinarci alle altre realtà duali: la "lontananza" tra Copenaghen e le Fær Øer. Due simmetriche distanze culturali alle quali andrebbe aggiunta anche quella tra Roma e Copenaghen (cioè tra Italia e Danimarca). Il contributo che si intende portare alla discussione è di tentare un approccio conoscitivo alle situazioni culturali di Fær Øer e Carnia, ponendone in risalto affinità e somiglianze. Certamente non per rispolverare antiquate teorie diffusionistiche, ma per proporre agli studiosi una "piattaforma" di dati e fatti su società e comunità marginali, per operare futuri approfondimenti euristici.

3. Le identità etnico-culturali e linguistiche comunitarie:

3.1. Fær Øer, una piccola "comunità-nazione"

L'arcipelago costituisce un'eccezionale nicchia linguistico-culturale dove tuttora sopravvive l'antica lingua norvegese (vichinga). Il foroyskt ha infatti diversi punti di affinità con l'islandese ed il landsmal norvegese. Lingua nazionale delle Fær Øer, dalla fine del XIX° secolo ha ricevuto un'ortografia standardizzata.

Il più antico testo faroese è rappresentato dalla "Lettera delle Pecore" (Seyðabrævið) del 1298, che regolamentava, tra l'altro, il massimo numero di pecore che potevano esser tenute nell'arcipelago. Molte sue regole vengono tuttora seguite. Esistono altri documenti successivi alla Seyðabrævið, ma la Riforma nel 1540, assieme all’introduzione del danese nella Chiesa e negli atti ufficiali, danneggiò irreparabilmente la lingua locale scritta. Che rimase solo orale. Attraverso di essa di generazione in generazione, nelle serate accanto al caminetto (un tempo un semplice fuoco acceso nella "stanza del fumo") della roykstova, si tramandavano storie o si cantavano medievali ballate (kvæði), che danno il ritmo alle danze "a catena".

La distanza dalla Danimarca delle isole, ed il suo paesaggio aspro e selvaggio, che le ha preservate da un'intensa colonizzazione da parte danese, si unisce alla caparbietà, alla perseveranza, al coraggio, all'attaccamento alla propria lingua ed alle proprie radici dei faroesi. Ed ancora: il notevole isolamento dell'arcipelago dal resto del mondo, nonché di ciascun villaggio e di ciascuna isola dagli altri villaggi e isole: tutto ciò ha fatto sì che, rispetto ad altri arcipelaghi il patrimonio tradizionale della cultura d'origine, nonché lo stesso stile di vita di questi piccoli agricoltori-allevatori e pescatori, abbiano retto molto bene all'usura del tempo. E molto si deve anche a quell'importante scuola di vita, la tradizione orale, che è riuscita a far passare pressoché indenne il "testimone": il passato, quello fantastico, ma anche quello reale. Nella roykstova avrebbero preso nuovamente vita gli eroi di un mitico passato, e quelli più vicini nel tempo e più veri. Tutti essi avrebbero comunque offerto ai presenti una piccola gemma di vita, di cultura, di quello che nei tempi a venire sarebbe stato ancora lo stile di vita faroese, improntato alla saggezza, onestà, coraggio, perseveranza. Ecco che tra mito e realtà ogni nuova generazione veniva informalmente inculturata, apprendendo man mano quelli che costituivano gli autentici valori della struttura della cultura marittima atlantica faroese. La televisione, che dal 1984 trasmette in pressoché tutte le case, sembra quasi che abbia potuto prendere il posto di quelle serate di un tempo, che così profondamente hanno inciso nella vita di tante generazioni precedenti. Sostituendosi alla catena, che fino ad allora aveva legato emotivamente ed empaticamente le generazioni tra di loro, ripercorrendo i secoli a ritroso nel tempo, fino a giungere con il pensiero alle impetuose scorrerie delle lunghe navi vichinghe, ma ancora oltre, fino ad arrivare alle immagini, del tutto desuete rispetto ai panorami tipici di queste isole, di verdi boschi di conifere, di alte e rocciose montagne, di fiordi profondamente incassati nei monti, dello splendido skjeergard della costa occidentale della Norvegia.... Ecco che la tradizione orale che, almeno nella trasmissione dei ricordi degli anziani, era riuscita a conservare integri ed uniti, gli uni agli altri, come tanti anelli di una lunga ed indissolubile catena, collegando, nel tempo e nello spazio, popoli ormai distanti tra loro, tendeva ad interrompersi, a disgregarsi. Dal punto di vista dell'attuale aspetto societario, la comunità faroese è e si sente come una "sola" grande comunità. In teoria ognuno in qualche maniera partecipa alla vita dell'altro. Molti sono i legami e le comunanze parentali, che tra loro tendono ad intrecciarsi. Altrettanto numerose risultano le amicizie ed infinite sono le conoscenze. Molto accentuato è, perciò, il sentimento che tutti accomuna nell'ampio e rassicurante alveo comunitario, una collettività caratterizzata da un forte grado di endogenismo, anche se numerosi sono i casi di matrimoni e di apparentamenti con danesi, norvegesi, islandesi, ecc.

3.2. Carnia, una forte identità regionale.

Qualcuno ha definito quella friulano-carnica una "civiltà del fogolâr". In effetti, come nelle Fær Øer, la cucina con il suo caminetto (fogolâr) ha sempre assunto un ruolo importante nell'ambito comunitario. "L'unione, l'incontro che avveniva tra persone di ogni età e di più famiglie attorno ad un focolare fu, ed è rimasto in parte ancora, un elemento determinante della nostra cultura, perché in queste serate si consolidavano le unioni e si tramandavano le tradizioni. Questi incontri avvenivano quasi ogni sera durante i periodi invernali. La famiglia ospitante (...) disponeva di un'ampia cucina ed in questa ci si sistemava (...) Gli uomini parlavano di quanto era loro successo all'estero, dei programmi per l'anno successivo, dei lavori da eseguire (...), i ragazzi, che sembravano intenti ai loro giochi...erano invece delle grandi spugne che assorbivano tutto" (Dorigo, 1980:54). E proprio in quelle stesse occasioni, ma anche in altre, nelle "fredde serate invernali trascorse nelle stalle a fare la "file" (vegliare) i vecchi, Dio li abbia in gloria, [che] narravano leggende e miti di cui la tradizione orale carnica è ricchissima".

Il friulano (con il suo dialetto carnico) è lingua che nei secoli assorbì parole bizantine, longobarde, franche, tedesche, slave. All'inizio nell'anno mille il popolo parlava una lingua celto-latina diverse da tutte le altre. La tradizione scritta si instaura nel Trecento, con l'obbligatorietà per i notai di conoscere sia il latino che il volgare (contratti e testamenti erano scritti in volgare, poi tradotti in latino).

3.3. Discussione

Le numericamente modeste comunità delle isole Fær Øer e della Carnia presentano forti identità culturali e linguistiche. Radicatesi nei secoli, non solo a causa di un più che secolare isolamento. Per quanto riguarda infatti il territorio carnico, che ha annoverato insediamenti remoti e, perciò, di difficile accesso

(come la stessa Sauris, di cui avrò modo di parlare), esso in buona parte ha rappresentato una zona di transito e di collegamento tra il mare e l'interno, tra il mondo latino e quello germanico, tra le pianure e il mondo montano e alpino.

Per quanto riguarda l'aspetto linguistico, entrambe le lingue, il foroyskt e il carnico (forma dialettale della lingua friulana) non possedevano fino a non molto tempo fa un'ortografia standardizzata (per la lingua faroese parliamo della fine del XIX secolo, con alcuni tentativi precedenti).

Il foroyskt solo nel 1938 venne riconosciuto lingua di istruzione nelle scuole e dal 1948 è lingua nazionale dell'arcipelago. Sia i Faroesi che i carnici sono, inoltre, bilingui. La lingua faroese ha notevolmente sviluppato la terminologia di aspetti tipici del proprio habitat ed economia: allevamento delle pecore, cattura degli uccelli, pesca, topografia, tempo, clima. Solo per quanto riguarda il movimento delle acque oceaniche (onde, correnti, ecc.), il filologo Jakobsen individuò 44 diversi termini (da lui non considerati esaustivi!).

Per quanto riguarda il dialetto carnico, "la lingua friulana non possiede una grafia standard accetta da tutti e, a differenza dell'italiano, non è lingua dell'istruzione pubblica: ecco una differenza con le isole danesi! In alcune chiese la si utilizza nelle funzioni religiose. A volte la gente preferisce esprimersi in italiano per non chiudersi verso l'esterno, considerata la presenza di turisti e di residenti non friulani. E tende ad identificarsi sia nella comunità locale che in quella nazionale. Ricordo infine come l'art. 13 di una recente legge regionale (22 marzo 1996, n.15) preveda la creazione di una Commissione scientifica per proporre "soluzioni univoche alle residue divergenze tra la grafia della Società Filologica Friulana e la "grafia unitaria normalizzata".

L'inculturazione informale, cioè la trasmissione intergenerazionale e faccia a faccia dei valori e delle conoscenze propri delle due culture, nell'ambito famigliare e domestico, trovava la sua apoteosi nelle serate accanto al caminetto, quando la famiglia estesa aveva modo di riunirsi e "storie", fatti, accadimenti, valori passavano di bocca in bocca, di padre in figlio. La tradizione orale che ha giocato nelle due comunità un ruolo di primissimo piano, sembra oggi aver perso importanza con l'avvento del medium planetario e omologatore per eccellenza: la televisione. Come mi sottolineò nel 1995 il Direttore Generale della SVF, la Televisione Faroese, si cercava di utilizzare la potente funzione formativa del mezzo al fine di sostituire, sia pure in parte, la tradizionale trasmissione orale della roykstova. Un qualcosa di analogo si cerca di attuare in Friuli, grazie all'articolo 29 della legge regionale citata che, allo scopo di sviluppare la lingua e la cultura friulana, prevede la stipula di un accordo con la RAI per la realizzazione di programmi televisivi in lingua friulana.

4. Relazione uomo - ambiente

4.1. Nelle Fær Øer: il mare e le isole

La tradizionale economia faroese era un'economia di sussistenza incentrata sulla comunità, il caratteristico villaggio faroese, il bygd, con le sue multicolori casette in legno, dai tipici tetti in torba ed erba, il molo, la chiesetta, i vicini campi coltivati a patate e circondati da bassi muretti di pietre, e quelli più distanti destinati al pascolo degli ovini. Ogni bygd per un lungo periodo di tempo risultava quasi completamente isolato dagli altri insediamenti, costituendo un mondo a parte, un microcosmo collegato agli altri microcosmi faroesi solo per via mare, o attraverso i sentieri intercomunitari che passavano da costa a costa, attraversando valli e montagne, spesso non solo disagevoli, ma a volte anche pericolosi: per l'improvviso arrivo di una tempesta d'acqua o della nebbia. I faroesi hanno tramandato storie per lo più d'origine vichinga: aventi un fondo di verità, come la sagnir, o fantastiche, come l'aevintyr. Naturalmente i racconti si sono adattati al particolare ambiente oceanico: non ci si perde in una foresta, bensì nella nebbia. Giganti (risar) e trølls fanno così parte della tradizionale letteratura orale dell'arcipelago. Ecco quindi il sjódreygil, o water-dreel, di cui si ha paura in Norvegia. Vivere in stretto contatto con un mondo naturale che incute timore reverenziale rende difficile tracciare una linea tra fantasia e realtà. Ciò che per alcuni assomiglia a fantasia e superstizione, ad altri può invece apparire come realtà oggettiva. "Nei villaggi faroesi il mondo è esistito a due livelli, uno visibile ed uno invisibile, ma ambedue egualmente reali" (Kjørsvik Schei e Moberg, 1991:60).

4.2. In Carnia: il bosco e la montagna.

Nella Carnia verde il rispetto per la natura e l'ambiente è nato molto prima della "invenzione" di ogni VIA ("valutazione di impatto ambientale"). E' questa gente che vive, oseremmo quasi dire, "armoniosamente" con se stessa e con tutto ciò che la circonda. Se non fossimo ben consapevoli dell'inesistenza nel nostro pianeta di utopiche Scian-gri-là, e del fatto che problemi e conflittualità fanno parte integrante del vivere quotidiano di ogni essere umano. Certo è che cordialità, sorriso, ospitalità, generosità, un interesse non superficiale per la natura, il proprio ambiente, la casa, il lavoro, i rapporti con gli altri, sono qui abbondantemente presenti e diffusi.

Per quanto riguarda la Valcalda carnica si possono individuare tre fasi nel rapporto Uomo-Bosco. Nella prima (dal '600-inizio '800) il bosco rappresenta un fondamentale elemento per la sopravvivenza nell'ambiente montuoso; successivamente esso viene ancora gestito in maniera regolamentata e rappresenta una risorsa inesauribile. La terza fase è quella a noi più vicina, e comprende l'epoca attuale: come materia prima il legno non è più economicamente interessante per chi ci vive, ma ha solo valore per i non residenti.

E che dire dell'esistenza degli sbilfs, i folletti dei boschi e delle montagne? Questi esseri della fantasia, buffi e un po' bricconcelli, che tanto si danno da fare per tormentare i poveri esseri umani, con inganni, trappole e dispetti. Alti poco più di un pollice, mobilissimi e luminosi, eternamente fanciulli, amanti dei giochi "e dei tiri più o meno maligni a danno di animali o di uomini (...) tendono...a rifugiarsi in luoghi sempre più lontani dagli abitati ...cercando di ritrovare la semplicità degli ambienti naturali (...)" (Pielli, 1995:12).

4.3. Discussione

Il mare e le montagne, il profilo insulare privo di vegetazione arborea e i boschi che sopravanzano togliendo terra e pascoli a uomini ed animali. In entrambe le realtà siamo spettatori di uno strettissimo rapporto uomo ambiente, che tutto permea e che tutto condiziona. Non si parla qui di "determinismo geografico" vecchia maniera. Quante soluzioni culturali diverse, relative ad ambienti montani o marittimi simili tra loro, sono state comprese in quelle che gli antropologi chiamano invenzioni culturali. Eppure, di fronte ad una natura che si avverte possente e invasiva, e non potrebbe essere diversamente, come ancora una volta ho sperimentato quest'anno nel corso del mio soggiorno di ricerca nelle Ebridi Esterne, si capisce il perché di questo rispetto, il perché di certe soluzioni, soprattutto tecnologiche, ma anche afferenti alla sfera spirituale. Entrambi gli ambienti marittimi e montani sono aspri e duri, anche se potrebbero, e lo sono, essere giudicati da un osservatore esterno stupendi ed affascinanti. Ma la loro storia passata è spesso solo una drammatica, cronologica e cruda sequela di sofferenze e di miserie, di enormi difficoltà dell'esistere e del vivere quotidiano, di una lotta tesa alla sopravvivenza. Dove carestia e malattie, gli elementi avversi della natura (tempeste e valanghe, ecc.) avevano modo di battere impietosamente quelle comunità. Ripetutamente. Non per caso la Carnia per secoli è stata terra di emigrazione permanente e temporanea. Non per combinazione nelle Fær Øer a seguito della Grande Crisi si sta ora emigrando. Prima, anche se si voleva (fino alla metà del XIX secolo), non era possibile fuggire per l'inesistenza di imbarcazioni atte a solcare l'oceano.

Va detto come nelle due comunità il legame indissolubile e strettissimo con l'ambiente circostante trova il suo più palese riscontro nell'esistenza dei folletti che popolano, rispettivamente, i boschi e le acque (e le nebbie) dell'oceano delle due comunità. Naturalmente si può di sfuggita ricordare come tali credenze nascano anche dalla necessità di offrire una sistemazione psicologica, e forse anche logica, a difficoltà e problemi che un abitante di aree remote e aspre, completamente immerse in un "rigoglioso" habitat naturale, può trovare sul suo diuturno cammino.

5.Le due economie tra tradizione e innovamento:

5.1. Fær Øer: il bygd e la tradizionale economia comunitaria e di autosufficienza alimentare

In netta contro-tendenza rispetto alle migliaia di arcipelaghi, isole ed isolotti sparsi nei "sette mari", terre di "storica" e scontata emigrazione verso la terraferma e destinate gradatamente a spopolarsi e ad essere abbandonate

(l'isola di St.Kilda (Hirta), cinquanta miglia nautiche ad ovest delle Western Isles, in Scozia, costituisce un archetipico esempio in proposito), le Føroyar hanno conosciuto, per lo meno a partire dall'inizio del XIX secolo, un concreto incremento demografico.

Il presente è contrassegnato dall'inaspettata inversione di tendenza che ha seriamente inciso, in questi ultimissimi anni, sull'economia e la società faroese, attualmente caratterizzata da una situazione di malessere, assai diffuso in ogni comunità dell'arcipelago, specialmente in quelle medio-piccole e nelle isole marginali. Essa è là ben più profonda. L'emigrazione e la fuga verso la Capitale e, successivamente, l'estero (Danimarca, Norvegia, Scozia, Islanda), ne costituiscono il risvolto più eclatante.

5.1.1. La pesca e il grindadrap (la caccia comunitaria alle balene), l’uccellagione, coltivazione e allevamento

Solo a partire dalla seconda guerra mondiale la pesca comincia ad assumere sempre più importanza. Gli isolani fino alla metà del XIX secolo sono stati solo un popolo di piccoli agricoltori-allevatori, che per la propria sussistenza si basavano anche su quello che si poteva pescare nelle acque costiere, oltre che dai continui rifornimenti alimentari, prima dalla Norvegia, poi dalla Danimarca. In effetti la carne di pecora e di montone, le patate, il ricavato dell'uccellagione (carne ed uova), nonché il grasso e la carne proveniente dalla caccia comunitaria alle balene (Pothead o Pilot Whales, localmente chiamate grind ), non era certamente sufficiente per far vivere gli isolani. Non per niente per molti secoli il numero degli abitanti è stato "contenuto" all'interno dei singoli insediamenti e di ciascun isola, onde scongiurare eventuali carestie. Spesso i rifornimenti via mare tardavano ad arrivare per le cause più diverse (naufragi, guerre, corruzione, ecc.) e i collegamenti tra i vari bygdr e le diverse isole erano del tutto aleatori e pericolosi.

Di derivazione vichinga, l'uccellagione viene praticata con la rete. Inoltre si raccolgono le uova di uccelli marini lungo le ripide scogliere. Sono queste altre due tradizionali attività direttamente collegate all'economia di sussistenza delle comunità. I puffini sono sempre stati preferiti nelle mense faroesi. Ma anche altri tipi di uccelli vengono catturati attraverso le lunghe pertiche a rete prima del loro rientro nel nido. Di norma ci si fa calare con le corde giù dalla montagna. Raccogliere uova e catturare uccelli è stata sempre considerata una sorta di iniziazione all'età adulta del ragazzo faroese, per le doti di agilità, robustezza, nonché per i forti rischi (anche mortali) a cui si sarebbe inevitabilmente andato incontro. Bisognava quindi essere abili e coraggiosi nello stesso tempo. Facilmente si poteva scivolare o cadere, andandosi a sfracellare sugli scogli o a finire direttamente nelle acque dell'oceano.

Vista l'estrema povertà di questi suoli battuti da un clima non molto propizio alle coltivazioni, viene praticata solo una coltivazione di villaggio nei bøur (patate, orzo). Meno del 6% della terra è coltivato. L'allevamento dei circa 70.000 ovini è diffuso in tutte le isole e ha dato modo di portare avanti una discreta produzione di lana. Va ancora detto come fino a non molti anni addietro (almeno fino ad un periodo per lo meno successivo agli anni '50), pressoché ogni famiglia faroese fosse in possesso di una mucca, indispensabile fornitrice di latte per i bambini

(come in Carnia).

5.1.2 L'economia innovativa: pesca oceanica, cantieristica e turismo

L'economia delle isole da decenni si basa sulla pesca e sulla collaterale attività industriale conserviera. Almeno fino alla recrudescenza del presente periodo di depressione, circa il 25% della locale forza lavorativa partecipava alle sue diverse attività. Si pesca all'interno del limite delle 200 miglia di distanza dalle coste, ma non solo. Continua infatti ad essere tuttora praticata la pesca oceanica, che interessa le acque della Groenlandia, del Mar del Nord, di Barents, oltre all'isola di Jan Mayen, e all'Islanda. Ricordo, inoltre, sia la non trascurabile consistenza della sua flotta da pesca, che l'esistenza di cantieri navali, dove ancora oggi si continuano a costruire diversi tipi di imbarcazioni.

In questi ultimi anni si è cercato, inoltre, di valorizzare questo particolarissimo ambiente oceanico, anche a dispetto di certe passate "chiusure" o, comunque, inattività da parte di chi avrebbe dovuto "fare". Ancora nel 1987 si poteva leggere: " Les îles Féroé ne visent pas à devenir un centre pour le tourisme de masse. Mais les étrangers qui ont envie de les visiter se font toujours plus nombreux, et les Féringiens reconnaissent également que, jusq'à présent, ils n'ont pas fait assez pour leurs invités" . Nonostante le non certo facili condizioni climatiche, le bellezze naturalistiche, faunistiche e i motivi di interesse storici ed etnografici sono molteplici e tutti degni di estrema attenzione per un certo tipo di turista "motivato e curioso". E l'arcipelago è ancora pressoché sconosciuto al turismo. La stragrande maggioranza dei visitatori arriva a Tórshavn, la capitale, a bordo di navi da crociera, o nel corso di una sosta obbligatoria di un paio di giorni dei passeggeri dei ferries, en route per l'Islanda.

5.2. Carnia: l'economia tradizionale, l'autosufficienza alimentare

Storicamente l'economia della Carnia si è basata su agricoltura e allevamento, che da sole però non erano sufficienti a garantire la sussistenza alle povere famiglie della zone. Nel Settecento si diffuse la coltivazione di granoturco e patate, che misero un argine alle frequenti carestie del passato. Nel 1781 un documento ufficiale ricordava, comunque, come la raccolta del frumento non bastasse al sostentamento dei 28.070 abitanti dell'epoca, e come l'unica possibile alternativa fosse rappresentata dall'emigrazione. Nella Valcalda, all'inizio del XIX secolo il contadin cjargnel otteneva orzo, segale, frumento (poco), canapa (poca), lino, patate, fagioli (pochi), fave, fieno (fen), formaggio, legna. Il bestiame comprendeva vacche e capre ("da frutto"), ma anche pecore (per la lana), buoi e asini per i trasporti fuori del Comune e suini. "Rarissime erano le famiglie - le più povere - che non possedevano almeno una mucca", parte integrante della famiglia, fornendo il latte, formaggio , burro e vitello "indispensabili alla vita di ogni giorno" (Dorigo, cit: 19). Ma nel 1826 il Morassi riguardo a Ravascletto, sempre nella Valcalda, relazionava come: " il clima deve dirsi piuttosto rigido che temperato, perché la posizione del territorio è tutta montuosa. L'inverno si calcola ordinariamente sette mesi...attese le copiose nevi che qui cadono...Non sono facili da lavorare simili terreni poiché sono quasi tutti in pendenza, di limitato strato fertile ed inoltre, quando la terra si inaridisce a causa dei venti e della lunga durata della neve, si fa più tenace e più forte (...) quasi tutti nel tempo stesso proprietari, agricoltori, artisti e trafficanti se si eccettuano pochissimi braccianti che quasi nulla possiedono (...) questi abitanti attesa la frugalità del loro vitto, aiutati dal ricavato dei loro mestieri che esercitavano si mantenevano mediocremente relativamente al loro stato" (Violino, 1996:112-4). "Il lavoro in queste coltivazioni era duro e lungo: le donne, in primavera, stavano per quaranta giorni cul cûl in sù per vangare, sarî e dà tiára alle colture. Durante questi lavori il sacerdote faceva le "rogazioni", che consistevano in processioni lungo le terre sulle quali veniva invocata la clemenza di Dio con i canti di "a peste, fame e bello" -libera me Domine e a fulgore et tempestate" (Dorigo, cit.: 19). Zootecnia e agricoltura erano sì indispensabili, ma non sufficienti. Vennero perciò affiancate da attività a carattere artigianale, quali la lavorazione del legno, l'estrazione dei marmi, la tessitura, oltre al commercio itinerante. Ricordo come a Tolmezzo, centro servizi e centro industriale, un tempo prezioso carrefour tra il mondo delle pianure (e del Mediterraneo) e quello delle Alpi, già nel XVIII secolo, 1200 telai della fabbrica Linussio esportavano tessuti in tutta Europa. Fabbrica che per le tele era la più grande dell'Europa secondo un'economista dell'epoca.

Durante le due guerre mondiali il bestiame si ridusse drasticamente per le ripetute requisizioni. Negli anni della Grande Guerra avrebbe altresì infierito la spagnola e la difterite (grup). Attualmente le aziende agricole risultano piccole, frammentate con coltivazioni poco intensive. Inoltre va accennato come ancora all'inizio del secolo XIX le comunicazioni fossero del tutto carenti. Con grandi difficoltà, ad esempio, si riuscivano a curare le persone ammalate nei paesi sparsi della Carnia. Spesso soccorse dai famigliari con decotti di erbe.

5.2.1. La moderna economia carnica e il bosco: industria e artigianato del legno; il turismo

Con esplicito riferimento alla Valcalda, nel periodo 1600-1800, le terre adibite al pascolo venivano spesso contese dal bosco. La superficie dei pascoli era appena sufficiente a nutrire i bovini necessari per la sopravvivenza della comunità. Ma il bosco forniva legna per accendere il fuoco del caminetto, per costruire mobili e case, per i trasporti, le strade, i mulini e le segherie e infine per alimentare le fornaci che producevano tegole ed altri laterizi (mattoni, coppi) da costruzione. Il bosco salvaguardava l'equilibro idrogeologico, sia delle valli, che della pianura friulana. Perciò le Vicinie di un tempo cercarono di evitare la rottura della montagna ."Si assiste oggi ad un fenomeno molto interessante che è quello della riconquista da parte del bosco delle superfici che gli erano state tolte nei secoli passati...oggi la società locale, fortemente ridotta, determinata nella sua economia dall'esterno e non più interessata all'allevamento, "concede" agli alberi le aree considerate marginali" (Maniacco, cit: 105-6). Sono oggi abbastanza sviluppate sia le industrie che lavorano il legno, soprattutto mobilifici, che uno splendido artigianato.

Per quanto riguarda il turismo, una prima sua forma si è organizzata in Carnia nello stesso periodo di quello pionieristico delle isole danesi (XIX secolo). In quel tempo, ad esempio, il centro di Forni disponeva già di due alberghi, frequentati da studiosi e da appassionati della montagna e da commercianti. Ma gli inizi di un moderno turismo moderno risale a tempi a noi più vicini (anni '20). La Carnia tende soprattutto a consolidare e sviluppare il profondo interesse che al di fuori della regione le molteplici manifestazioni tradizionali, che ritroviamo nell'originario suo patrimonio culturale, è capace di suscitare. L'offerta tende perciò a rivolgersi ad un turismo motivato, attratto, anche nei week-ends, da zone spesso non molto distanti da quello di provenienza. Cercando altresì di offrire ricettività agli ospiti anche nella cosiddetta bassa stagione.

5.3. Discussione

L'economia delle comunità naturalmente, legata profondamente al territorio, ha privilegiato le attività tradizionali: allevamento e coltivazione, comuni ad ambedue, oltre alla pesca ed alla cantieristica navale - attualmente in crisi - per le Fær Øer, e alle attività artigianali collegate al bosco (taglio del legname, costruzioni, ecc.) per la Carnia. Ma la Carnia si differenzia anche perché sentieri e strade sono sempre riusciti a superare o a bypassare le stesse montagne che ne sottolineano profondamente il territorio. Favorendo sia il commercio itinerante che quello stabilmente esercitato all'estero. Ciò non è stato possibile nelle isole danesi, a causa del loro completo isolamento, che perdurò fino alla fine del monopolio esercitato dalla corona danese. Anche perché know how e intraprendenza imprenditoriale (rischi connessi) non si improvvisano. Dal punto di vista commerciale infatti le isole faroesi furono soggette al monopolio, dapprima della Norvegia (a partire dal 1273), poi (fino al 1856) della Corona danese. Quest'ultimo comportava anche il divieto di costruzione (e di possesso) di navi. I villaggi per secoli risultarono completamente tagliati fuori dal mondo intero.

6 Le grandi crisi esistenziali di ieri e di oggi

6.1. La grande crisi faroese degli anni '90 e l'emigrazione

Va rilevato come per diversi secoli fosse in vigore nell'arcipelago una sorta di "controllo demografico" basato sulla consuetudine, grazie al quale il numero degli abitanti venne costantemente tenuto ridotto e, perciò, limitato, secondo quelle che in fondo erano allora solo delle intuizioni di tipo ecologico, a qualche migliaio di individui. Così facendo si manteneva artificialmente bassa la pressione umana (e, quindi, anche animale) sul territorio, evitando così il pericolo di funeste carestie.

Nel corso degli ultimi due secoli, invece, la popolazione ha avuto modo di triplicarsi ogni cento anni. A partire dal 1989, per la prima volta nella sua storia, è iniziata una lenta discesa demografica, poco avvertibile durante il primo anno, ma con tendenza ad accentuarsi fortemente negli anni immediatamente successivi.Ora le isole stanno fronteggiando una crisi economica. E' questo un periodo di recessione che non avevano mai sperimentato nel corso della loro storia.

C'è da dire come la flotta da pesca faroese, modernamente equipaggiata e munita di tutti i ritrovati ultramoderni ed elettronici esistenti in commercio, avesse sempre offerto una prova più che tangibile di poter continuare, anno dopo anno, a pescare sempre di più. Il prodotto era sempre cresciuto almeno fino alla fine degli anni '80. Quella faroese si è comportata nello stesso modo delle flotte pescherecce appartenenti ad altre nazioni, in nord-atlantico ed altrove. Negli anni passati si è pescato eccessivamente, non essendoci stato alcun "fermo biologico" che avrebbe dato alla fauna marina il tempo per riprodursi. Negli anni successivi al 1989 le tonnellate di pesce faroese hanno iniziato a decrescere fino ad arrivare alla caduta libera del 1993. I faroesi hanno confidato in quelle che potevano essere le possibilità di ripresa, insite nelle loro stesse conoscenze, know how, coraggio ed abilità, oltre che nelle modernissime strumentazioni presenti a bordo delle loro imbarcazioni oceaniche. Inoltre anche la loro stessa tradizione culturale, composta da un blend di coraggio, perseveranza, rischio calcolato, nel lungo periodo avrebbe giocato contro! Essi si sono sempre considerati i migliori, rispetto a tutte le altre flotte atlantiche, ma ciò evidentemente non è stato sufficiente per non collassare. Per anni avevano avuto modo di aumentare notevolmente il loro complessivo standard di vita, che divenne uno tra i più alti del mondo. Le sofferenze, i disagi, i rischi, le insicurezze, che avevano caratterizzato il bagaglio storico di ciascun isolano, diventavano solo cattivi ricordi e incubi del passato. Le cause dell'attuale periodo di depressione stanno proprio nel fatto che numerosissimi faroesi hanno acceso mutui e contratto prestiti. Nello stesso modo hanno agito le società, l'industria del pesce e i cantieri navali, le società di informatica e le banche, ecc. La pesca eccessiva, portando infine al contrarsi del pesce e dei relativi introiti, ha condotto al fallimento di numerose società facendo perdere centinaia di posti di lavoro. A livello pubblico molti tra i finanziamenti ricevuti per l'espletamento di numerosi lavori non riuscirono ad essere rifusi. E molti debiti erano stati accesi, non solo con la Danimarca, ma anche con diversi stati esteri. Lo stato scandinavo si accollò interamente il debito estero delle isole, imponendo nel contempo determinate condizioni, restrizioni e comportamenti, economici e finanziari, di metodo e di contenuto.

6.2. Carnia terra di emigrazione temporanea e permanente fino agli anni '60 e '70

Un tempo le terre della Carnia erano gestite dalla Vicinia, un'assemblea di capi delle famiglie originarie del luogo. Gli "altri", i cosiddetti forestieri, erano esclusi dal godimento dei beni statali e comunali. Grazie a questo sottile accorgimento in realtà veniva mantenuto un perfetto equilibrio uomo-ambiente. Pascoli e boschi erano sufficienti per un certo numero di persone e non più. Ogni aumento della popolazione sarebbe andato a intaccare la sopravvivenza stessa degli abitanti . Un forestiero poteva pagare una tassa per usufruire di un pascolo o per abbeverare gli animali ad una fontana, ma veniva escluso dalla possibilità di affittare malghe o pascoli pubblici.Grazie a questa ferrea regolamentazione, venne tenuto basso appositamente (e sempre sotto controllo) il numero dei "fuochi" che un territorio poteva tollerare.

L'inizio del 1800 rappresentò la fine di un'era, quella dell'economia montana, a causa delle pesanti tassazioni napoleoniche e austriache e ad una spaventosa crisi economica. Intorno al 1860 il Lupieri scriveva come: "la Carnia in linea economica è nel languore del moribondo. Fiaccata dalla sterilità di molte annate, deserto quasi il commercio dei legnami, specialmente da fabbrica, isterilite le industrie, le arti, i mestieri, impoveriti dalle smisurate imposte, sono i popoli della Carnia" (Ganzer, 1990:18). Che furono costretti ancor più di prima a cercar altrove fortuna. La Carnia, che non era mai stata ricca, diventò ancora più povera. Già dal secolo XVI (ma ancor prima), fu terra di emigrazione permanente (fino agli anni '60-'70), o di temporaneo distacco (dal secolo XIII) quando gli uomini dei villaggi, all'inizio di ogni autunno , partivano per lavorare all'estero come boscaioli, tagliapietre e nelle segherie. Per tornare all'inizio dell'estate seguente. E non solo. Molti, i cràmârs, furono anche coloro che andarono di valle in valle, di paese in paese, recandosi nelle varie zone dell'Impero: Ungheria, Baviera, Slovenia, Carinzia. Portandosi sulle spalle, a mo' di zaino, pesanti contenitori in legno (i cràme), che contenevano ciò di cui la gente necessitava: povere e piccole cose, soprattutto merceria. Ma una ricchezza in termini di reciproca utilità, di contatti umani intercomunitari, di acquisizione di conoscenze, di accettazione dell'altro. Tanto che furono i cràmârs (e gli emigranti), al rientro nella loro amata terra, che adattarono modelli stranieri e ne inventarono di nuovi, grazie ai quali all'inizio del secolo il movimento cooperativistico e le Case del popolo ebbero un eccezionale sviluppo in Carnia. E i carnici contribuirono, tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, a costruire la Transiberiana . Sì, suoi erano i figli che, eccellendo in quelle che erano le tradizionali attività collegate al monte e ai boschi, ma anche alla tessitura e alle costruzioni , erano assai richiesti .

6.3. Discussione

Dal punto di vista demografico ambedue le realtà geo-culturali hanno avuto la possibilità, grazie a meccanismi particolari, insiti nelle emigrazioni temporanee e permanenti, ma anche nell'impossibilità di acquisire terre e pascoli all'epoca delle Vicinie (in Carnia), così come dell'acquisizione di campi nelle Fær Øer, di mantenere appositamente bassa e, perciò, costante, la pressione umana sul territorio. Inoltre tutti gli accadimenti naturali, o provocati dall'uomo, che hanno costellato invariabilmente e negativamente la vita delle due comunità, fanno parte di una sorta di controllo naturale: "A peste, fame et bello; a flagellu terremotus libera nos Domine" era un'implorazione che un tempo si udiva frequentemente tra la gente carnica (Rigamonti-Ros, cit.:182-186)

7. Due comunità allo specchio: Mykines (Fær Øer) e Sauris (Carnia)

7.1. Mykines (Fær Øer)

L'isola di Mykines ha una superficie di 10,3 Kmq, ed è la più occidentale e remota dell'arcipelago. Le sue coste sono verticali e inaccessibili ed è circondata da scogli, isolotti e scogliere sottomarine, che ne rendono particolarmente difficoltoso l'approccio. L'omonimo bygd sorge ad ovest dell'alta montagna del Knúkur. Al tempo in cui fu costruita la chiesa pitturata di bianco (fine ottocento) vivevano nel villaggio circa duecento persone. Gli anni '60, anche se ancora non era arrivata l'elettricità, furono tempi di grandi cambiamenti: iniziarono a funzionare una scuola, un alberghetto e tre negozi, fu costruita una piscina. Oggi la campagna non è coltivata come un tempo e l'isola è minacciata dallo spopolamento, anche se la gente ama tornarvi d'estate per qualche settimana. Tempeste e isolamento fanno ancora parte del vivere quotidiano di Mykines, un'isola così remota che, nonostante i tentativi esperiti a partire dal momento dell'arrivo nelle isole, fino a poco prima del rientro in Italia, non mi è stato possibile arrivarci. Tentativi falliti principalmente a causa del persistere delle mutevoli, quasi sempre pessime, condizioni atmosferiche. Nonostante ciò Mykines rappresenta nelle Fær Øer una delle più importanti attrattive, sia dal punto di vista culturale, che paesaggistico e ambientale. E' infatti il simbolo archetipico dell'isola faroese dei tempi andati: per il suo bygd, dalle antiche case multicolori e dai "tetti a prato" raccolto intorno ad un ruscello, e per uno strettissimo rapporto uomo-ambiente, per la vicinanza di una delle più famose scogliere, dove gli uomini un tempo, ma ancora oggi, mostrano la loro virilità facendosi calare sulle pareti a strapiombo per raccogliere uova d'uccello o catturare con la rete le sule. L'isola ha dato i natali al "padre" dell'arte faroese, il pittore Samal Elias Joensen-Mikines. Grazie al quale la dura lotta degli abitanti dell'isola contro un ambiente difficile è stata conosciuta all'esterno, attraverso i chiaroscuri e i colori che contraddistinguono la sua pittura drammatica. E che ci narra la lotta dei suoi pescatori contro le insidie oceaniche e gli elementi avversi della natura. Quando l'isola poteva essere completamente isolata dal mondo per settimane. Ma che ci parlano anche del lato dolce della vita, come delle mura in legno nero e dei "tetti di prato" delle case, dei verdi campi che le circondano.

Mykines era quindi diventata una meta caldamente consigliatami dalle autorità faroesi. Non saprei ricordare quante volte e con quanti miei gentili ed entusiasti interlocutori nordici ho discusso circa l'opportunità di arrivarci. Ma anche delle difficoltà, non solo di raggiungerla, ma soprattutto di riuscire a tornare indietro. Il problema che si presentò ogni volta fu sempre lo stesso: dato per scontato l'arrivo, il rientro non lo sarebbe stato altrettanto! Pioggia battente o nebbia possono drasticamente cambiare le condizioni del mare, inibendo inaspettatamente l'accesso al porticciolo, del resto spesso impietosamente colpito dalle forti ondate della risacca.

7.2. Sauris (Carnia)

Sauris è una comunità di antica lingua germanica. Ancora oggi accedere al suo territorio non è certo agevole, anche se una moderna strada, con diversi tratti in galleria, rende le cose ben più semplici di una volta. Ma è proprio la strada a rappresentare un vero e proprio biglietto da visita, che lascia intuire le difficoltà comunicative di un tempo, quando non esisteva una rotabile che collegasse queste valli con il resto della Carnia e del mondo. La prima, attraverso il Passo Pura, risale alla Grande Guerra. Quella che ho percorso, al vicino 1934. Proprio l'atavico isolamento geo-spaziale di questa zona marginale, all'interno della Carnia friulana, sembrerebbe essere la spiegazione più comune offerta dagli studiosi alla persistenza, nei secoli, di quest'isola alloglotta ed etnico-culturale. L'insediamento, che si distende sui fianchi e nelle vallate di alte montagne, costituisce il più alto comune del Friuli. E la segregazione è stata sentita con sofferenza dall'intera comunità fino a non molti decenni addietro, specialmente nei rigidi, lunghi e nevosi mesi invernali. Raggiungerla o lasciarla diventava, allora, un'autentica, eroica, impresa. Quando una catena umana di spalatori si snodava lungo il percorso, che veniva aperto attraverso diversi metri di neve a prezzo di indicibili patimenti dai "somari" (gli uomini). Consentendo alle donne di raggiungere, con le loro gerle, il fondo valle, per commerciare o barattare.

Questa è Sauris, con i suoi poco più di cinquecento abitanti, ma Zahre nell'antica parlata tedesca locale, appartenente ai dialetti sud-bavaresi, che precedettero il formarsi di una unitaria lingua tedesca.

Per la vita grama che vi si conduceva era chiamata, fino a non molto tempo addietro, Zahrntol, la "valle delle lacrime": "una serie dolorosa di amari sospiri, di fatiche e di stenti sofferti, con dolorose rassegnazioni ai travagli, sarebbe una lunga storia...che veramente si può chiamarla come i nostri vecchi l'hanno chiamata: Valle di lagrime". Sauris costituisce un'isola incastonata, a sua volta, in quell'altra isola che è la Carnia. I primi coloni di lingua tedesca giunsero qui dall'alta valle del Lesach prima del 1280, per coltivarvi. E l'isolamento, che non è stato assoluto, ma che nondimeno ha costretto la comunità a cercare di essere quasi totalmente autosufficiente, ha consentito di conservare e perpetuare lingua e cultura. Naturalmente con tutti i cambiamenti intercorsi nel tempo, sia esogeni (per acculturazione), che endogeni (invenzione culturale). Contatti con l'esterno ci sono sempre stati, specialmente durante la buona stagione. Anche perché fino alla metà del secolo scorso nella Chiesa di S. Osvaldo si venerava una reliquia del Santo Re della Northumbria, meta di continui pellegrinaggi dal Veneto e dalla Germania.

Molto gelosi della propria tradizione e identità culturale, "diversa" da qualsiasi altra circostante, a distanza di venti anni esatti dall'inizio della ricostruzione

(terremoto del 1976), i saurani con orgoglio possono dimostrare la valida utilizzazione dei fondi stanziati. Con il coinvolgimento dell'intera comunità, si sta cercando di valorizzare, quanto più possibile, tale loro unicità (anche con la creazione dell’"albergo diffuso"). Compreso il loro particolare rapporto con l'ambiente, e la completa e meticolosa restaurazione di tutti gli edifici danneggiati dal sisma, secondo lo stile tradizionale: case in legno dal caratteristico zoccolo in pietra. Accanto alla classica orticoltura montana, i valligiani allevano maiali, dai quali ricavano pregiati prosciutti affumicati. L'allevamento bovino è ridotto ai minimi termini, a causa dei disincentivi UE, ciò che ha ristretto considerevolmente gli spazi economici della piccola popolazione. Costretta ora, non ad emigrare come un tempo, specialmente quando la pressione demografica sul territorio non consentiva più una vita, povera ma decorosa, agli abitanti più deprivati , ma a ricorrere ad un uso più sistematico delle stupende bellezze delle sue montagne e vallate. Grazie ad un turismo più accorto ecologicamente, che sappia far risaltare il territorio quale risorsa naturale.

9. Elenco dei "key informers" (interviste guidate e "storie di vita"), Fær Øer

A Tórshavn: Lisbeth L.Petersen , Byraðsformaður ( Sindaco) di Tórshavn; Eilif Samuelsen, Landsstýrismaður ( Ministro) per l'Educazione, l'Energia e l'Ambiente unitamente a Jäkur Thorsteinssen, Direttore Generale per l'Educazione e la Cultura; Beate L. Jensen, Direttrice del Dimmalætting (giornale fondato nel 1877); John Eysturoy del Faroe Islands Tourist Board ; Tróndur Djurhuus, Direttore Generale della SVF, la Televisione Faroese; Per Hansen, Technical Manager del Faroe Islands Tourist Board; Eyðfinnur Finnson, Consulente dell'importantissimo Dipartimento della Pesca (ne è il "numero due"); Sister Frances, una suora inglese appartenente all'Ordine delle Missionarie Francescane di Maria (dalla bell'età di ottantacinquanni, di cui sessantacinque trascorsi nelle Fær Øer, a cui vanno i miei ringraziamenti per il prezioso materiale archivistico sulle isole donatomi), nonché il diacono danese Christian Gabrielsen.

A Vágur: Jógvan Krosslá, Sindaco di Vágur; Hergeir Nielsen, insegnante, già Ministro dell'Educazione e Traffico (1989-90) e Membro del Parlamento, nonché Presidente della Commissione per gli Affari Internazionali ( 1984-1994); Ditlev Hammer (di Hov) , allevatore, appartenente al partito nazionalista faroese; Kãri Poulsen, pescatore e sua moglie, Mary Krosslá; Jan Allan Müller, calciatore professionista in Danimarca; Suni ã Dalbø e sua moglie danese, Anne Dalbø, entrambi studenti universitari (Master) nell'Università danese di Aalborg; Jøgvan Nolsøe, di Klaksvik (ex rappresentante di commercio, ora piccolo imprenditore di pesca e pescatore lui stesso); l'anziano Asbjorn Jacobsen (la "memoria storica" della comunità) e sua moglie Kaja Olsen.

10. La "ricognizione" in Carnia è stata resa possibile grazie:

agli amici Monica Tallone, Guglielmo Favi e Primo Cappellari (a Sauris e Forni di Sopra); alla Presidente della Fondazione Museo Carnico delle Arti Popolari di Tolmezzo, Raffaella Cargnelutti; allo storico ed esperto in Tradizioni Popolari Domenico Molfetta, già Presidente della Fondazione Museo Carnico delle Arti Popolari di Tolmezzo; al Direttore dell'APT Carnia Bruno Giorgessi; alla ricercatrice etnologa Barbara Martinelli (Centro Etnografico di Sauris e Università di Udine), all'arch. Pietro Gremese (Sauris), al Sig. Augusto Petris (Comune di Sauris), alla Sig.ra Paola Schneider (Sauris); al Direttore del Museo della Guerra Linto Unfer (Timau), al Sig. De Infanti (Ravascletto).

11.Bibliografia

11.1. Fær Øer

P. ADERHOLD, Turisme På Færøerne. Resultater af to gæsteudspørgsler sommeren 1992,Tórshavn, Ferdaråd Føroya, 1992.

ANONIMO, "Ci siamo mangiati tutti i pesci. Un allarme ecologico/Lo spopolamento dei mari, L'Espresso, 15/4/94, pp. 166-171,

ANONIMO, "Ma non toccateci il merluzzo.Isole del Nord/Lo strano rapporto con l'Europa", L'Espresso, 23/12/94, p. 92.

T.BADIA, "L'Europa Settentrionale. I Regni Scandinavi", La Terra, vol.III, Milano-Napoli, Vallardi, pp.996-1160, sd.

L.R.BROWN E ALTRI, State of the World 1988. Rapporto sul nostro pianeta del Worldwatch Institute, Torino, Isedi,1988 (1988).

COMMISSIONE MONDIALE PER L'AMBIENTE E LO SVILUPPO, Il futuro di noi tutti, Milano,Bompiani, 1988 (1987).

S.COVA, " Fær Øer.Usi e Costumi", in Il Milione, Enciclopedia di geografia...., Novara, Istituto Geografico De Agostini, vol. V, 1965, pp.284-286.

S. DAHL, "Timber Churches of The Faroes", FIR, I, 2, 1976, pp. 24-31.

C. DERRICK, "Gli isolani delle Fær Øer", in E.E. Evans Pritchard ( a cura di ), I Popoli della terra, vol. IV, pp. 82-91, 1975 (1973).

B. HAGSTRÖM, "The Faroese Language", FIR, 2,1, pp. 31-37.

W. HEINESEN, "Caprices, Whims and Frolics", Faroe Isle Review (FIR) , I,1,1976,pp.4-8.

L. KJØRSVIK SCHEI e G. MOBERG, The Faroe Islands, London, John Murray, 1991.

H. D. JOENSEN, "The Health Service and Health Conditions in the Faroe Islands", FIR, 3,1, pp. 16-22.

G.JONES, I Vichinghi, Roma, Newton Compton, 1978 ( 1973).

W.B.LOCKWOOD, An Introduction To Modern Faroese, Tórshavn, Føroya Skúlabókagrunnur, 1977 (III ediz.).

M. MAGNUSSON, Vikings!, London, Sidney,Toronto, The Bodley Head, 1992 (1980).

M. MAGNUSSON, Vichinghi, guerrieri del nord, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1982 (1976)

L. MILLMAN, Estremo Nord. Lungo le rotte dei Vichinghi, Milano:Garzanti, 1991 (1990)

A. OLAFSSON, Chroniques Danoises.Les îles Féroé, Copenaghen, Ministére des Affaires Etrangéres, 1987.

A.OLAFSSON, The Faroe Islands, A Brief Introduction, Copenaghen, Faroese Government Office, 1989.

H. OLSEN, "Milestones in the North Atlantic. A Story of isolation and Communication", FIR, 1976, pp.38-43.

P. N. PATURSSON, The Kirkjubøur history, Stavanger, P.S.Paturson,s.d.

A. REINERT, "Sea-Birds of the Faroes", FIR, II, 2, 1977, pp. 6-13

R.PÖRTNER, L'epopea dei vichinghi, Milano, Garzanti, 1987 (1971).

K. SANDERSON, Whales and Whaling in the Faroe Islands,Tórshavn, The Department of Fisheries, s.d. (ma 1991).

L.SANSONE, "Affondano nei debiti le "perle" del Mare del nord", Il Messaggero, 13/2/93,p.11.

Statistical Bulletin, Selected Statistics of the Faroe Islands, June 1995,Tórshavn, Hagstova Føroya, 1995.

TARNOVIUS, Færoensia Textus E Investigationes, 1669

Tórshavnar Býráð, Tórshavn í Tølum 94, 1995.

J.F. WEST, "The Land and its People", FIR, I,1,1976,pp. 24-36.

R.WOLFRAM, "I popoli germanici", in H.A.Bernatzik ( a cura di), Popoli e Razze, I, Firenze:Editrice Le Maschere, 1958 (1954), pp. 37-98.

G.V.C. YOUNG, From the Vikings to the Reformation, A Chronicle of the Faroe Islands up to 1538, Douglas, Shearwater Press, 1979.

11.2. Carnia

AA.VV., Dalla donazione Ciceri. Ritratti di Carnia tra '600 e '800. Costumi e tessuti nella tradizione. Comunità Montana della Carnia, Udine: Arti Grafiche Friulane, 1990.

AA.VV., Sauris - Zahre, Fiumicello: Editrice Laser Consult, 1990

AA.VV., Il verde e i colori della Carnia, Tolmezzo: APT, 1995

A. ARGENTIERI ZANETTI, "Contributo" in AA.VV., Dalla donazione Ciceri. Ritratti di Carnia..., 1990, pp. 20-26

W. BERGAMINI, M. MORASS, "L'ambiente carnico", in AA.VV., Il verde e i colori della Carnia, 1995, pp. 7-18

P. CANDONI, "Quando il carnico emigrava nei paesi di lingua tedesca", Tuttomontagna, III, 12, 1996, pp. 38-39.

P. CANDONI, "Occupazione? di male in peggio...", Tuttomontagna, IV, 14, 1997, p.8

CASANOVA P. (a cura di), Valcalda, il tempo, i luoghi, le voci. Ravascletto: Edizioni della Laguna, 1996.

CASSA RURALE ED ARTIGIANA FORNI DI SOPRA, Raccolta di alcuni scritti di Mons. Fortunato De Santa, Udine, s.d. (ma 1980).

CESCUTTI C., "L'Ascenso. Un testo ottocentesco a confronto con la memoria", in Casanova (a cura di), Valcalda, il tempo, i luoghi, le voci. Ravascletto: Edizioni della Laguna, 1996, pp. 157-166.

A. CICERI e P. RIZZOLATI, Vita tradizionale in Val Pesarina, Parte prima, Udine: Arti Grafiche Friulane, 1990.

A CICERI, "Società - Economia", in A. CICERI A. e RIZZOLATI P., Vita tradizionale ... 1990, pp. 81-172

COMUNE DI SAURIS, Progetto Sauris, Sistema di Progetti Integrati, Sauris,1994.

DE SANTA F., "Prefazione", in CASSA RURALE ED ARTIGIANA FORNI DI SOPRA, Raccolta di alcuni scritti di Mons. Fortunato De Santa, Udine, s.d. (ma 1980), pp. 9-10.

DENISON N., "Friuli, laboratorio (socio) linguistico", in Fornasir G. e Gri G. P. (a cura di), La cultura popolare in Friuli. Lo sguardo da fuori, Udine: Accademia di Scienze Lettere Arti, 1993, pp. 27-55.

DE ROVERE A., "Il paesaggio tra ieri e oggi", in Casanova (a cura di), Valcalda, il tempo, i luoghi, le voci. Ravascletto: Edizioni della Laguna, 1996, pp. 11-22.

DE SANTA F., " Elenco delle piante medicinali conosciute che crescono nel territorio di Forni di Sopra", 1901, in Cassa Rurale ed Artigiana Forni di Sopra, s.d., pp. 47-57.

DORIGO E. (a cura di), Forni 1800/1980. Note di economia/storia/cultura, Cassa rurale ed artigiana Forni di Sopra, Udine, 1980

B. FAVI, "Carnia Manifestazioni S.p.A.", Tuttomontagna, III, 12, 1996, p.35.

FEDERAZIONE REGIONALE DELLE CASSE RURALI ED ARTIGIANE DEL FRIULI-VENEZIA GIULIA, Immagini dal Friuli, Fagagna: Grafiche Tirelli, 1977.

FORNASIN A., "Dalla Carnia alla Svevia. Il commercio transalpino in età moderna. Il caso della Valcalda", in Casanova (a cura di), Valcalda..., 1996, pp. 65-73

G. GANZER, "E' popolare la ritrattistica in Carnia nel Settecento?", in AA.VV., Dalla donazione Ciceri. Ritratti di Carnia...,1990, pp. 11-19

GORTANI M., "La Carnia. Tolmezzo e le valli carniche", in Rapporto Carnia Alpe Verde, I cento progetti più verdi d'Italia, Tolmezzo: Moro Andrea, 1995.

GRI G. P., "Per la bibliografia sulla cultura tradizionale di Zahre/Sauris", De Zahre Reidet, 70, aprile, 1996 s.p.

HEADY P., Lingua e identità in Carnia, in Annali di San Michele, 6, 1993, pp. 257-266.

LUCCHINI L., Memorie del Santuario di S. Osualdo, Premariacco: Congraf 1995 (ristampa anastatica ediz. 1880).

G. P. LUPIERI, "Osservazioni sulla Carnia nel 1860", L'alchimista friulano, 4, 1861, pp. 26-27

B. MANIACCO, "Il bosco. Storia e Memoria", in Casanova (a cura di), Valcalda..., 1996, pp. 97-106

MANIACCO T., Breve storia del Friuli. Dalle Origini ai giorni nostri, Roma: Newton Compton, 1996.

MARTINELLI B., "Un progetto culturale per i saurani e uno stimolo culturale", De Zahre Reidet, 70, aprile, 1996, s.p.

B. MARTINELLI, "Com'era il Carnevale di Sauris", Tuttomontagna, IV, 14, 1997, p.29

F. MICELLI, "Sauris: identità ed emigrazione", in Annali di San Michele, 6, 1993, pp. 45-60.

MINIGHER T., "Glossario su un complesso stalla-fienile in Sauris di Sotto", De Zahre Reidet, 70, aprile, 1996, s.p.

MOLFETTA D., "Il Piano delle streghe", Carnia, Alpe Verde, V, 2, luglio 1996, pp. 26-28.

L. ORETTI, "Stavano su fino mezzanotte...". Per un'analisi delle abilità femminili a Sauris", Metodi & Ricerche, Nuova Serie, XII, 2, luglio-dicembre 1993, pp. 61-94.

PETRIS B., Toponimi germanici nella frazione di Sauris di Sopra, Udine: La Nuova Base Editrice, 1975.

PIELLI G., Sbilfs, Tolmezzo: La Vecchia Quercia, 1995

P. PINÇAN, "Culi' o sin in Friûli e o Fevelin Furlan", Tuttomontagna, IV, 14, 1997, p.40-41

RIGAMONTI C. e ROS M., Carnia, Incontro e scoperta, Udine: Istituto per l'Enciclopedia del Friuli-Venezia Giulia, 1978

P. RIZZOLATTI, "Stagioni nella valle", in A. CICERI e P. RIZZOLATI, Vita tradizionale...,1990, pp. 173-195

F. SCHNEIDER, Raccolta di antiche tradizioni ed avvenimenti fino ai giorni nostri di Sauris, Circolo Culturale Saurano "F. Schneider", Tolmezzo: Treu Arti Grafiche, 1992 [Fulgenzio Schneider, n.1864, m.1941, definito un " intellettuale popolare", fu storico e letterato. Il presente lavoro, un corposo manoscritto, fu iniziato nel 1920 e terminato solo dopo tredici anni, nel 1933. Rappresenta un a straordinaria e "unica" testimonianza del drammatico passato della comunità]

S. SIMONETTI, "Alberi in Carnia", in AA.VV., Il verde e i colori della Carnia, 1995, pp. 77-85

STACUL J., "Una "frontiera nascosta" nelle Alpi carniche? Note sull'ergologia tradizionale di Sauris", 109-119

M. TALLONE, "Carnia, culla delle villotte", Tuttomontagna, III, 12, 1996a, p. 32

M. TALLONE, "La Società Filologica Friulana a Tolmezzo. Intervista al Prof. Zanier, Tuttomontagna, III, 13, pp. 30-31

C. VIOLINO, "Territorio e agricoltura nell'ottocento dagli Atti del Catasto austriaco", in Casanova (a cura di), Valcalda..., 1996, pp. 107-128

D. ZANIER, P. CASANOVA, "I luoghi perduti. Mulini, fornaci e segherie", in Casanova (a cura di), Valcalda..., 1996, pp.129-156

L. ZANIER, "Il deflusso minimo vitale è legge", Tuttomontagna, IV, 14, 1997, p.16-17

S. ZILLI, "Il declino dell'allevamento in quota della montagna friulana: il caso di Sauris", in Annali di San Michele, 6, 1993, pp. 95-110

http://users.iol.it/f-pelli/f-pelli.documento3.html

L A PRINCIPALE PAGINA WEB IN LINGUA ITALIANA DI FRANCO PELLICCIONI:

PROGRAMMA COMUNITA' MARITTIME ATLANTICO SETTENTRIONALE

Creata: 29 Gennaio 2000

Modificata: 22 febbraio 2006

Tutte le Pagine Web in lingua italiana di Franco Pelliccioni

RICERCHE ATLANTICHE:  Shetland e Orcadi, Scozia, Regno Unito / Saint-Pierre, Miquelon (DOM, Francia), Terranova (Canada) / Svalbard, Alto Artico, Norvegia / Isole Faroer, Danimarca/ Ebridi Esterne (Western Isles), Scozia, Regno Unito / Islanda-Groenlandia /

Ricerche Artiche / Ricerche Africane / Ricerche Italiane /

Ricerche messicane /

 LE BIBLIOGRAFIE: Bibliografia Generale  

 AREALI: Africa Occidentale/ Alaska Canada   /   Carnia / Creta   / Egitto Italia / Kenya /

Lisbona, Portogallo  /Scozia / Sud Africa / Sudan meridionale /Tunisia 

TEMATICHE Ambiente /Antropologia Applicata Antropologia urbana /Balene Biografie antropologiche / Biografie archeologiche / Esplorazioni / Indiani d'America Inuit (Eschimesi)

L’Avventura al Femminile: Grandi Viaggiatrici, Esploratrici, Antropologhe , Archeologhe

L'immigrazione extracomunitaria e la scuola Mondo Vichingo  / Multiculturalismo /    Musei Marittimi /

Nei Mari del Sud / Naufragi / Pirati e Corsari nell'Atlantico del Nord /  Polo Nord /Razzismo Schiavitù nel Sudan meridionale Treni Vulcani / "West"

17   articoli on line di Franco Pelliccioni 

Collaborazioni Rai-TV

Documento 1 /Documento 2/ Documento 3 /Documento 4 /

Uomini, Genti e Culture del "Villaggio Globale": Una Lettura Antropologica dell’Ambiente    

Natura e Cultura nell'Alaska del Duca degli Abruzzi (1897) 

Guerra o Pace: riflessioni di un antropologo su un eterno dilemma

Problemi socio-antropologici connessi allo sviluppo nel Mezzogiorno

 Isole e Arcipelaghi dell'Atlantico Settentrionale