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La Disco Music

Storia ragionata di un fenomeno di massa.

Disco -o -o, that's where the happy people go..... (1)

Beh, devo ammettere che affrontare un argomento come questo su una rivista dedicata agli appassionati di Musica è un po' un azzardo.

Insomma, sinora si è scritto di musica impegnativa, intellettualmente stimolante, bisognosa di riflessione: musica che non si fermasse sulla pelle, ma che desse la possibilità di penetrare più a fondo, sia nei suoi significati, sia nei pensieri di chi ascolta.

E, dunque, vicino a Mozart, Bach, Hendrix, chi ci mettiamo? Barry White? Urgh!

Già, tutto vero, però....

Però, forse, anche in questo campo non tutto è da buttare.

Già in un precedente intervento sulla musica Fusion ho tediato la platea su alcune considerazioni in merito alla natura "commerciale" della musica. La Rete è comoda per questo: se vi interessa, seguite il link.

Qui mi voglio occupare di un altro genere musicale, assolutamente popolare, "commerciale", sicuramente inviso a molti; e, probabilmente, non considerato un reale fenomeno musicale nemmeno dai suoi principali fruitori (lo vogliamo chiamare il popolo della notte?).

Anzi, forse i REALI estimatori del genere si trovano solo fra gli addetti ai lavori.

Di che si tratta?

Le caratteristiche generali di questo tipo di musica, dunque, vedono, in primo luogo, la sua natura "commerciale", di prodotto industriale nato per soddisfare una specifica esigenza del mercato: far saltellare allegramente qualche migliaio di focosi giovinastri (che poi Tony Manero abbia portato alla luce le sue sotterranee implicazioni di rivendicazione di un'identità definita e di una particolare gratificazione personale in un mondo dove questa viene negata al singolo annichilito, beh, è un altro discorso...).

Suo corollario è la sua immediatezza, la sua epidermicità.
Un prodotto musicale di questo tipo mira, in primo luogo, al successo: di qui l'istantaneo connubio a doppio filo col mondo della moda e, più in generale, con l'elaborazione dinamica e continua della moda stessa. E, per giungere al successo in modo quanto più "ecumenico" possibile, deve dare garanzia di essere facilmente apprezzabile dalla più ampia base di "clienti". Deve, insomma, essere un prodotto musicale di elevata immediatezza: un motivo che colpisce subito e resta nella mente, un ritmo che trascini, un arrangiamento che induca a muoversi. Insomma, anche qui la "costruzione" del "pezzo" è fondamentale. Ovviamente, puntando a colpire immediatamente, non è un prodotto che (di solito) contiene anche una carica di significati tale da consentire quell'elaborazione di "secondo livello", più intellettuale, cui mi riferivo prima, e, quindi, così come cade facilmente "sulla pelle", altrettanto facilmente "scivola via", spesso senza lasciare alcuna traccia.

Ed ecco delineata anche un'altra delle sue caratteristiche, forse quella spesso additata come la più deleteria: è una musica effimera.

Bene, credo che il cappello introduttivo possa terminare qui. Anche perché, sinceramente, non riesco a vedere ulteriori informazioni utili per circoscrivere il discorso.

Anzi, a ben vedere, un'ultima precisazione andrebbe fatta: la "Disco" è un genere di musica strettamente legata alle "discoteche", cioè ad un particolare genere di "sala da ballo". Chiunque sia sulla trentina avrà avuto modo di entrare in una discoteca, ed avrà anche avuto modo di frequentare la sua successiva "evoluzione" in "club". Il luogo è cambiato, però la musica "danzereccia" è rimasta, e ha recato con se, ovviamente, i segni di questo cambiamento (evoluzione?), che si estrinsecano maggiormente nel cambio di denominazione in "Dance". Le mode ed i costumi sono ulteriormente cambiati, ed oggi non ha più molto senso parlare nemmeno di Dance, termine col quale si tende ad indicare genericamente la musica che viene suonata nei clubs, che, però, non sono più i luoghi dove si reitera il rito di osmosi fra riunione, esaltazione e gratificazione del singolo e scambio di idee e gusti. Oggi non pare esserci più un'unicità di luoghi dove tali fenomeni avvengono, e, di conseguenza, è calato anche il ruolo "aggregante" della Disco/Dance.

Anzi, il genere ora vede una specie di inversione di tendenza: viene snobbato dai c.d. "giovani", che si indirizzano verso altre forme (dall'Hip Hop, "a scendere"), recuperando una certa "voglia di contenuto", e rifiutando quella musica solo così "epidermica"; e viene, per converso, "riscoperta" dai critici musicali e da chi si occupa di costume, quasi come se il poterla studiare come un elemento statico e, soprattutto, passato, rendesse oramai dignitoso il potersene occupare e, magari, anche l'emettere giudizi di apprezzamento.

Beh, se siete arrivati sin qui, allora siete incuriositi, quindi, continuo, ed entro nel "merito".

La "Disco", a mio avviso, è la mera evoluzione, del R&B e del soul più commerciale.

Le produzioni iniziali non avvengono su scala globale. Il fenomeno muove, più che altro, dalle comunità locali.
Grosso ruolo svolgono i media, principalmente, la radio. Non è raro che le stazioni radio locali, specialmente quelle dedicate ad un pubblico "black", veicolino i successi dei nuovi ragazzi delle varie scuderie.

Fra queste, sicuramente due vanno segnalate.

Quella della Motown (Chicago) di Berry Gordy, che si sta dando da fare con gente del calibro di Stevie Wonder, dei Commodores, di Diana Ross, ecc. tutti artisti tipicamente "soul". Grossi nomi, che vanno incontro alle nuove esigenze del pubblico. Si curano di più gli arrangiamenti (la tecnica di registrazione migliora), si creano collaborazioni con nuovi artisti (un esempio? Ashford & Simpson che producono "The boss" di Diana Ross....).

E quella della Philly Sound (Philadelphia) di Kenneth Gamble e Leon Huff. Qui siamo su un genere, seppure ugualmente "nero", molto più melodico. Arrangiamenti orchestrali (ci pensate? Una vera orchestra, vere sezioni di archi e di fiati... in un disco da suonare nei locali! E oggi si procede a botte di campioni -BTW: PROPRIO DI QUESTI DISCHI!!!!), fraseggi cantati dal basso elettrico. Gli esempi, qui, portano le firme di McFadden & Withead, con la loro mitica "Ain't no stopping us now" (ri-ri-ri-ciclata moltissime volte, fino al partenopeo d'Angiò e la sua famosa "Che idea": attualmente ne circola una versione ri-cantata -con diversa linea melodica- sul campionamento della sua base....), dei M.F.S.B., di Harold Melvin and the Blue Notes. Né mancano brani più contenutistici, come "Wake up everybody" (sulla coscienza nera), "How can you call me brother" (sulla moralità nera) e "Me and Mrs.Jones" (elegantissima e sensuale ode all'adulterio).

Sicuramente, in una discoteca di base del genere non possono mancare gli Chic, cavallo di razza di un'altra vecchia scuderia soul, la Atlantic, capitanati ed autoprodotti da Nile Rodgers (che dieci anni dopo ha continuato a fare il produttore, dando una reale spinta agli ormai decadenti Duran...), in combutta con la buonanima di Bernard Edwards, che ha firmato uno dei giri di basso fra i più stra-usati, imitati (con "Another one bites the dust", il migliore omaggio gli è venuto da altri Artisti con la A maiuscola: i Queen) e, oggi, iper-campionati. Il giro di basso di Good Times penso che, oramai, faccia parte del c.d. "immaginario collettivo" musicale: va evidenziato che su di esso inizia l'avventura REALMENTE commerciale del RAP, con "Rapper's Delight" (etichetta Sugar Hill: un vero e proprio "indotto" discografico).

La musica degli Chic, a mio avviso, segna le pagine più belle di questo genere.

Nei loro album, prodotti a ritmo sostenuto, si trovano spesso due, tre brani tutti ugualmente ora ritenuti "classici" del genere: il che, per un genere musicale che vede l'album come veicolato dal "singolo", unico suo brano decente, fa una bella differenza. E, cosa, alquanto significativa, i brani sono lunghi, le spire "ben spaziate" fra di loro, i vinili "rigidi": insomma, sono pensati per essere suonati in un locale, per essere "smanaccaiati" dai DJs.

Che tipo di musica è?

Beh, ritmo 4/4 piuttosto sostenuto; chitarra (Nile Rodgers) "funky" ritmica che cadenza pesantemente il "motivo"; basso (Bernard Edwards) instancabile, molto caratterizzante, non limitato al contrappunto con le percussioni, ma, a sua volta, propositore di una linea melodica assai ben riconoscibile e, per il genere, innovativa; batteria (Tony Thompson) tutto sommato poco originale (4/4 si è detto), ma dal suono inconfondibile (pompaggio con l'equalizzatore? Compressione dinamica? Boh? Però si riconosce subito); sezioni di archi più "swinganti" che melodici; voci (Alfa Anderson e Lucy Martin) da oneste turniste, al totale servizio della melodia.
Frullate il tutto, e servite... ben caldo!!! I titoli più gustosi: Est-que c'est chic, Dance, Dance, Dance, Everybody dance, Good Times, My feet keep dancing, Pretty baby, Le freak. Gli LP sono praticamente introvabili (secutate i DJs che "appendono la puntina al chiodo"...), ma esiste qualche ristampa in CD, e, soprattutto, moltissime antologie, più o meno complete.

Di loro produzione vano segnalati anche i successi delle Sister Sledge, "He's the greatest dancer" e "I'm thinking of you": praticamente dischi degli Chic sotto "falso nome", e con un apporto vocale nettamente migliore.

Sul finire dei 70, inizio 80 il fenomeno delle scuderie vedrà due altri esempi.

La SOLAR (Sound Of Los Angeles Records), che ha pubblicato i successi delle produzioni di Leon Sylvers III, nome ignoto ai più, che, però, forse avranno sentito parlare degli Shalamar ("Take that to the bank", "Living in the fast lane", "A night to remember"), o dei Whispers, dei Dinasty, ecc.

E la Prelude, con i successi dei D-Train (con la loro famosissima versione di "Walk on by" di Burt Bacharach, con "You're the one for me", o con "Music"), di Sharon Reed ("Can you handle it"), di France Joly ("Gonna get over you").

Soli, supernove e stelle comete.

Il fenomeno delle "scuderie", però, copre solo parzialmente la produzione musicale di un genere così effimero, più spesso legato al "successo", al brano singolo che incontra, spesso improvvisamente, uno straordinario successo di pubblico.
Ad esso può tanto seguire la nascita di una "stella" destinata a durare, quanto il breve passaggio di una cometa, spesso perché l'artista deve il suo successo al "pezzo", più che a sé stesso, o perché, pur trattandosi di personaggi validi, finiscono "intrappolati" nel loro (primo ed unico) successo.

Un esempio del primo tipo (i "soli"), viene sicuramente da Donna Summer. La notissima cantante vede il successo internazionale grazie alla sapiente opera di ... un'emigrante di lusso, il nostro Giorgio Moroder, che plasma la sua abilità col "moog" (no, non c'era ancora la "DX 7", né la sintesi digitale, né i campionatori, ecc. ecc....) e con i banchi di missaggio (sì, avete indovinato... anche qui tutto analogico) per valorizzare la vocina sexy che canta "I feel love", "love to love you, baby".
Capiamoci: era il tempo della grande liberazione sessuale, i locali newyorchesi "alla moda" erano lo Studio 54 e, ad un livello "superiore", il Plato's Retreat (btw: c'è anche un divertente successo dell'epoca intitolato a questo club), che sarebbe assai riduttivo definire solo un locale per scambisti :-)). Filo conduttore dei temi di moltissimi successi da discoteca era l'attrazione fisica e ... corollari. Comunque, Donna Summer è passata indenne attraverso tre decadi, e, ogni tanto, continua a proporre qualcosa: non sarà più la "regina" di un tempo, quando, addirittura, si vociferava che non esistesse, e che la voce registrata su disco non solo non era sempre la stessa, ma nemmeno aveva alcuna relazione con le (ultrasexi) immagini di copertina; però muove ancora gli interessi delle case discografiche, ed è capace di "centrare" un successo, come la (non recentissima, in verità) "Dinner with Gershwin". Comunque, se l'articolo interessa, vanno segnalati anche brani come "I remember yesterday", il doppio LP "Once upon a time", e "McArthur's Park"

Probabilmente, l'esempio classico di supernova, che poi finisce per essere intrappolata dal suo stesso successo, è Gloria Gaynor, balzata agli onori dei piatti con la stranota "I will survive", non se ne è più riuscita a liberare, nonostante abbia prodotto molte altre cose interessanti, tra cui una splendida versione di "I am what I am", il tema del musical "la cage aux folles" (il nostro "Vizietto") ed una caricatissima "Never can say goodbye". In tutti questi pezzi, sul tappeto di una ritmica sostenuta, la fanno da padrone le melodicissime sezioni di archi e gli assoli di pianoforte; oltre che, naturalmente, la possente voce di Gloria.

Le comete, invece, si sprecano. Fra queste, inserirei anche gruppi che hanno goduto di una discreta popolarità e che poi, "passata" la moda, sono letteralmente spariti. Un esempio su tutti: KC and the Sunshine Band, di cui, comunque, ancora si suonano "Shake shake shake" e "Thats the way" (ah-ah, ah-ah, I like it...), ed il cui stile, molto caratterizzato da un uso ritmico dei fiati, non è stato più ripreso.
E poi... e poi ci sono tutti quegli artisti assolutamente sconosciuti anche durante il loro periodo di massimo fulgore, in quanto anonimizzati dalla popolarità del loro "pezzo". Nessuno ricorda (o ha mai saputo) chi fossero, ma molti ballano ancora "The Hustle", "More, more, more", "Gimme some", "Got to be real".

(1) da "The best disco in town", Ritchie Family

Restate in linea per la seconda parte!

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