Subsonica
Microchip Emozionale
So cosa state pensando.
Ma
tu, Andrea, non eri quello che "la musica leggera italiana
è noiosa e inutile" e via discorrendo?
Si, ma ho anche detto che ci sono delle eccezioni. E questo
disco ne è un esempio. Meglio: credo che i Subsonica siano uno
dei pochi gruppi realmente significativo nel panorama italiano
degli ultimi anni.
Ho scoperto quasi per
caso la band di Torino al concerto del 1° maggio a Roma nel 1998.
Per l'occasione erano stati accompagnati sul palco da Antonella
Ruggero (probabilmente l'unica "vera" voce dei Matia Bazar, per
lo meno la più importante), proponendo assieme Per un'ora d'amore.
L'idea mi piacque
molto, in particolare l'utilizzo di Samuel di un doppio microfono,
che aggiungeva alla sua voce un delay e un'eco piuttosto originali.
Da quel giorno sono passati ormai due anni e mezzo, i Subsonica
hanno calcato pure le scene sanremesi con il singolo Tutti i miei
sbagli, con notevole successo, tra l'altro, e sono diventati in
breve tempo quasi delle rock star nazionali.
Potere del festival
dei fiori.
Ho ascoltato a lungo
Microchip emozionale, il loro secondo e ultimo album uscito
nel 2000, ma registrato quasi completamente tra l'aprile e il
maggio dell'anno precedente. Ed è un disco molto più complesso
e profondo di quello che appare ad un primo distratto ascolto,
sia da un punto di vista strumentale, che testuale. C'è una sottile,
ma evidente, venatura malinconica e assolutamente metropolitana
che accomuna tutte le canzoni, quel tipo di sentimento che credo
sia una sorta di patrimonio genetico di che nasce in città industriali
o postindustriali, come ad esempio Torino, o Milano.
E questo emana un
fascino irresistibile quando si ascolta il disco.
Lo si nota dagli arrangiamenti
musicali, dove i campionamenti in perfetto stile dub e drum
& bass si intrecciano con suoni al limite dell'ipnotico e
del dark, e con la voce echizzata di Samuel.
E poi i testi. Notturni,
postmoderni e, nuovamente, metropolitani, a volte
affilati come lame di coltello (Colpo di pistola), a volte
dolci e commoventi (Lasciati), a volte ancora delle vere
e proprie dichiarazioni di odio-amore (Il cielo di Torino).
Tredici brani (più
una ghost track) che non ti lasciano spazio e che ti entrano dentro,
e che, finalmente, fanno riflettere. Sul mondo che ci circonda
e ci controlla, sulle nostre paure e paranoie, sulle libertà vere
o presunte.
In questo senso il titolo del disco è piuttosto emblematico: il
microchip, sintesi inquietante e allo stesso tempo affascinante
del progresso tecnologico, e l'emozionale, che riassume
i nostri più reconditi istinti e passioni, celati in modo quasi
automatico da sovrastrutture di quasi marxiana memoria, e capaci
però di esplodere in tutta la loro folle forza in un attacco furioso
e incontrollabile alla "sicurezza di chi è sempre a tempo".
Una segnalazione particolare
per Aurora sogna, angosciante brano che racconta la vera
o presunta infelicità ed inadattabilità mentale e fisica di una
figura femminile notturna, incapace di interagire con sé stessa
e col mondo che le gira sempre più velocemente attorno.
Ed improvvisamente
mi viene in mente Blade Runner.
Chissà perché…
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